Scrivevo in questo post:
Affermando che l’uomo non è il risultato dalla
suo sviluppo storico, ma il prodotto della sua essenza biologica, si possono poi spiegare
le contraddizioni di una società irrazionale e sperequata, dal lato oggettivo,
ed ingiusta, dal lato morale, come effetto della natura propria ed
intrinseca dell’uomo. Su tale presupposto, le crisi diventano
"disarmonie" nel libero gioco delle forze di mercato, la miseria e le
grandi ricchezze si giustificano con l’essere l’uomo naturalmente competitivo
e il suo essere biologicamente egoista. Del resto, ci fanno
credere, è sempre stato così. Perciò non ci resta che assoggettarci di buon
grado alle sorti magnifiche e progressive di un’organizzazione sociale che, pur
“imperfetta” a causa delle “umane debolezze”, è la migliore possibile.
Riprendo qui il filo su questo tema che appare
così scontato ad alcuni e che invece non è poi tanto pacifico. Intuitivamente
il senso comune comprende che il mondo sta cambiando molto velocemente, anche
perché tali mutamenti avvengono sotto i nostri occhi e soprattutto ci
coinvolgono in prima persona non solo nei nostri modi e stili di vita ma nei
nostri interessi più essenziali. Come per esempio quando si perde il lavoro e
non c’è possibilità di trovarne un altro, oppure, per un giovane, quando è
costretto ad accettare condizioni di sfruttamento che solo vent’anni fa erano
considerate abnormi e fuori dalle regole.
Insomma, per quanto riguarda l’offerta di lavoro,
essa tende sempre più a spostarsi nei luoghi e alle condizioni dettate dal
cosiddetto mercato, termine che gli
ideologi hanno sostituito a un concetto ben più pregnante, ossia a quello di capitale. Perciò quando il candidato a
segretario del Pd, il signor Renzi, dichiara in tv che è necessario creare
posti di lavoro, il giornalista che ha di fronte a sé dovrebbe chiedergli di
rimando, se fosse una persona decente e un professionista serio, come e dove
concretamente il signor Renzi, quale segretario di un partito, intende creare i
milioni di posti di lavoro necessari per dare impiego a tutti.
Più in generale si tratta di prendere atto (e
semmai di agire di conseguenza, ma che può fare il sor Renzino?) che oggi per
produrre una qualsiasi merce è necessaria una quantità di lavoro vivo (cioè di
lavoro immediato) molto inferiore rispetto al passato. Ciò è evidente a tutti
qualora si consideri la massa di lavoro oggettivato che il lavoro vivo può
mettere in moto. In altri termini, la quantità di prodotti disponibili non è
determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla sua stessa forza
produttiva.
Ciò che significa? Si può rispondere a questa
domanda come fanno i vari Renzi in televisione, cioè usando la propaganda e
confidando negli effetti che tale vaniloquio produce sulle menti insufflate di stupidaggini dalla
comunicazione mediatica. Ciò che non vogliono e non possono dire è che non è
più possibile, dato il livello raggiunto dalle forze produttive, che il fattore
decisivo della produzione della ricchezza continui a essere la
quantità di tempo di lavoro immediato. In altri termini, la ricchezza reale si manifesta – quale
risultato storico dello sviluppo delle forze produttive – nell’enorme
sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure
nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto ad una pura astrazione e
la potenza del processo di produzione che esso sorveglia.
Poiché il capitale ha
la necessità di ridurre il tempo di lavoro necessario (spero che ciò risulti
anche a Renzi), e cioè di aumentare la quota di plusvalore estorta – dunque
l’entità dello sfruttamento, ossia la famigerata produttività del lavoro tanto
strombazzata dai media borghesi – incrementa a tal fine l’impiego e il
perfezionamento delle macchine e l’ottimizzazione delle fasi di lavorazione.
Ciò comporta la riduzione della parte retribuita del tempo di lavoro e aumenta
la parte non retribuita (pluslavoro), che il capitale si appropria
gratuitamente. Il risultato è non è solo una sperequazione ulteriore tra lavoro retribuito e non retribuito, ma un prolungamento del
tempo di lavoro assoluto della
giornata di lavoro complessiva.
Viene così sempre più
evidenza una tendenza che porta in
sé il germe della dissoluzione del
capitale quale forma dominante della produzione, essendo il capitale stesso
la contraddizione in processo.
Quando si pone il tempo di lavoro
come unico elemento determinante della produzione, in quanto fondamentale per
la produzione di plusvalore e dunque per valorizzare il capitale, il capitale
stesso è costretto (con l’assorbimento progressivo di conoscenze scientifiche e
applicazioni tecnologiche) a ridurre il
lavoro produttivo a proporzioni sempre più esigue rispetto alla massa del
capitale impiegato.
Nei suoi effetti viene
in evidenza un altro aspetto contraddittorio e che è già presente in nuce nel
modo di produzione capitalistico, ossia l’opposizione tra la natura sociale
della produzione e il carattere privato dell’appropriazione del frutto di tale produzione.
E qui lasciamo che i moralisti di ogni risma s’indignino e predichino pure le
loro misure di riforma e di “decrescita” quale risoluzione di contraddizioni
che agiscono con la forza di leggi di natura, ossia che, data la loro posizione
ideologica fondamentalmente borghese, guardino agli effetti e non alle cause.
A me, invece,
interessa sottolineare, in altre parole ancora, come si manifesti sempre più
evidente che la sottomissione del processo di lavoro alla produzione di
plusvalore, fatto reale, non regge più (risultato storico), e poiché il
processo lavorativo nel modo di produzione capitalistico si presenta solo come mezzo per il processo di
valorizzazione, ne consegue che tale
contraddizione tende a divaricarsi sempre più.
E allora che succede?
Ce lo dice Marx e lo conferma la realtà storica e quella che abbiamo sotto gli
occhi (ma che non tutti vedono per ciò che è):
«A un dato punto del
loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in
contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di
proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali
forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle
forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di
rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o
meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili
sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento
materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere
constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche,
politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che
permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non
si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha
di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni
della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della
società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché
non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e
superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate
in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco
perché l’umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché,
a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo
quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono
in formazione».
E ora avanti ancora con Cancellieri, le primarie, la Merkel e blablabla.
E ora avanti ancora con Cancellieri, le primarie, la Merkel e blablabla.
Il fatto è che adesso non arriva proprio il concetto del "plusvalore estorto", ma il "dogma" assoluto è quello del "valore" creato nella circolazione, cioè nel mercato delle merci, col gioco della domanda e dell'offerta con tutto il contorno di spiegazioni sulla scarsità, il "soggettivismo psicologico" (l'inesistenza delle classi sociali, si direbbe della Storia tout court...) , l'"utilità marginale", roba ereditata in qualche modo dalla scuola austriaca di Böhm-Bawerk & C., Böhm-Bawerk che di suo cercò di smontare il lavoro di Marx con la sua opera Karl Marx and the Close of His System con le sue presunte contraddizioni tra libro terzo e libro primo del Capitale.
RispondiEliminaIl lavoro nell'analisi economica di questi economisti non è "centrale" e il "valore" in pratica "non esiste" prima della circolazione.
Diciamo pure che in fondo l'analisi economica non è fondamentalmente "progredita" dalla fine dell'Ottocento ad oggi.
Saluti,
Carlo.
infatti è diventata apologia dell'esistente. ciao
EliminaPrecisa come un metronomo. Ecco perché vengo sempre qui, per non perdere il tempo.
RispondiEliminaPost così luminosi mi aiutano molto nella comprensione dei cap. 13, 14 e 15 del Libro Terzo. Grazie.
RispondiEliminaluminosi ma a basso consumo, come sai
Eliminasì, cara stella nana.
Eliminanon rossa?
Eliminaa prescindere dai politicanti italiani, che sinora, da buoni servi neo-repubblichini, non han capito un tubo, perchè lei non riesce a vedere (cosi credo io) la attuale crisi del capitalismo, strutturale, e speriamo definitiva, nella CONCORRENZA tra produttori capitalisti? perchè non ci parla di questa concorrenza, che è il motore di ricerca del cosidetto sviluppo, della tecnologia intendo in primo luogo, che ci ha portato al livello di vita attuale (nel bene e nel male)? il capitalismo nasce ed è concorrenza, la quale, applicata alla produzione di merci, lo ha portato all'attuale situazione. sinora gli unici che han scritto al meglio sull'attuale crisi capitalista, e sue eventuali soluzioni, sono due studiosi tedeschi dell'economia, ernst lohoff e norbert trenkle, del gruppo krisis, un gruppo marxista che in germania poco ha a che fare con spd, verdi, die linke. il libro è: "die große entwertung", editrice : unrast verlag, 48043 münster. i mercati sono saturi, il capitale siede su migliaia di miliardi che perdono sempre di valore, per cui si organizzano i tavoli delle scommese, volgarmente detti mercati finanziari, per saccheggiare la richezza dei popoli e delle nazioni. il POTERE TEDESCO ha iniziato il saccheggio già dalla fine degli anni settanta, grazie ai molti neo-repubblichini sparsi per l'europa. come andrà a finire? bella, la domanda, vero?
RispondiEliminafranco valdes piccolo proletario di provincia