Se
n’è accorto anche Eugenio Scalfari:
«… è arrivato il
momento di costruire l'Europa. Non c'è niente da buttar via ma molto da
costruire cambiando. Ci vuole un motore che inneschi costruzione e cambiamento
procedendo nel rispetto della libertà, della giustizia sociale, della
fraternità e della partecipazione. La Germania dovrebbe essere quel motore.
Occorre che se ne convinca perché ormai il momento della scelta è arrivato.»
Troppo
incantevole speranza.
Chi
pensa e decide la politica economica tedesca? Il governo, espressione politica della
volontà del popolo tedesco; sennonché il popolo è un concetto astratto, o
piuttosto una generalizzazione buona per tutti gli usi poiché quella di popolo
è una categoria sociologica che include tutti, padroni e schiavi, sfruttatori e sfruttati.
I
rappresentanti politici del popolo esprimono l’ideologia e incarnano gli
interessi della formazione economico sociale di riferimento, alla cui base,
nella nostra epoca, dominano i rapporti di produzione capitalistici, e dunque,
in primis, i rapporti di proprietà da
cui dipende la forma di tutti gli altri rapporti (*).
I
rappresentanti politici del popolo – i mediatori della sua aleatoria sovranità – non possono agire che entro le coordinate sostanziali di quei dati
rapporti, e pure nelle relazioni internazionali essi si muovono conseguentemente
secondo gli interessi dei grandi gruppi economici e finanziari.
Questo come premessa generale, ma poi se andiamo a vedere il particolare, il fenomeno è come solito più ricco della legge.
In
paesi come l’Italia, dove predomina una classe dirigente che ha il solo fine di
distrarre denaro pubblico e di riprodurre se stessa, fin dagli anni Ottanta, e
dunque ben prima della crisi, dei trattati europei e della moneta unica, sono
state avviate delle grandi operazioni di privatizzazione che anziché rafforzare
i settori industriali strategici, hanno favorito la svendita del patrimonio
industriale e soprattutto di quello bancario a gruppi privati che non avevano e
non hanno altro obiettivo che la rapina.
Il
caso della Germania (ma anche della Francia e di altri paesi) è diverso,
laddove le classi dirigenti sono meno corrotte e soprattutto non colluse con le
organizzazioni criminali come lo sono invece i partiti politici italiani, e il
sistema dell’informazione è più libero e anche l’opinione pubblica è più
alfabetizzata di quella nostrana. La difesa e il rafforzamento degli interessi
nazionali assumono perciò in genere un rilievo preminente rispetto agli
interessi e alle lotte tra le diverse fazioni politiche.
Una
dimostrazione lampante di questa diversità è data dalla stabilità politica del
modello tedesco, dalla capacità dei partiti politici di coalizzarsi e concentrarsi
su determinati obiettivi economici strategici, di avere tra loro una visione
sostanzialmente non diversa rispetto al ruolo che la Germania deve giocare sul
piano europeo e internazionale.
L’Italia,
dopo oltre 150 anni dalla sua unità, non è riuscita a colmare il divario, non
solo economico, tra le regioni del nord e quelle del sud, laddove intere
regioni sono sotto il controllo della criminalità, è diffuso l’abuso di ogni
tipo e una generale arretratezza. La Germania, viceversa, anche se non ha
risolto tutti i problemi ereditati dall’ex DDR, dopo vent’anni dalla sua
riunificazione ha ottenuto in tal senso risultati decisamente importanti.
La
Germania è un paese che tradizionalmente sa far uso della propria forza in
vista degli obiettivi che considera preminenti, non ultimo esempio ciò che è seguito
l’introduzione della moneta unica.
Dapprima
la Germania ha fatto fluire verso gli altri paesi dell’area dell’euro una forte
corrente di capitali; poi, quando il debito pubblico di tali paesi ha raggiunto
livelli tossici, Berlino ha imposto politiche economiche restrittive che invece
di migliorare la situazione l’hanno aggravata, poiché gli aggiustamenti
richiesti producono un calo delle attività economiche.
I
paesi debitori, ancorati all’euro e dunque non più in grado di agire sul cambio
svalutando la propria moneta nazionale, si sono trovati alle prese con un
problema che non può essere risolto in un sistema internazionale capitalistico,
e gli interventi di sostegno della Bce servono solo ad alleggerire la
situazione ma non possono né risolverla e nemmeno procrastinarla all’infinito.
Del
resto, chi può imporre a Berlino una politica economica diversa da quella
attuata e connaturata al modo stesso di produzione capitalistico, laddove
l’attivo commerciale non ha altro significato che la trasformazione dei valori in
profitti? Non è forse la necessità di qualunque capitalista quella di
realizzare maggiori profitti, così come di qualunque stato nazionale quella di
avere una bilancia commerciale in forte attivo?
Il
cosiddetto “secolare problema internazionale” legato agli squilibri commerciali
e ai relativi problemi del cambio, dichiarato insolubile dallo stesso Keynes,
non è forse effetto della natura stessa dei rapporti economici capitalistici? Ed
è qui che entrano in gioco i rapporti di forza tra le nazioni, dunque il peso e
il carattere delle nazioni, con tutto ciò che gli corre dietro. Perciò
auspicare come fa Scalfari che la Germania diventi motore della libertà, della giustizia sociale, della fraternità e della
partecipazione, è solo
vaniloquio.
(*)
Non è sufficiente sapere a chi sono in mano i mezzi di produzione, è
indispensabile sapere come vengono impiegati nel processo di produzione, perciò
non basta trasferirli dalla mano privata a quella pubblica per vedere nascere
un sistema diverso dall’attuale !
Nel domandarsi le ragioni successo di Fabio Volo e di Mattteo Renzi, Scalfari oggi, per emulazione, s'è rifugiato nel vaniloquio.
RispondiElimina1)
RispondiElimina"I paesi debitori, ancorati all’euro e dunque non più in grado di agire sul cambio svalutando la propria moneta nazionale, si sono trovati alle prese con un problema che non può essere risolto in un sistema internazionale capitalistico..."
Invece può essere risolto! E non è neanche tanto difficile. Oh, se solo avessi letto un po' di quelle teorie "borghesi".
2)
Qui invece
"Non è sufficiente sapere a chi sono in mano i mezzi di produzione, è indispensabile sapere come vengono impiegati nel processo di produzione, perciò non basta trasferirli dalla mano privata a quella pubblica per vedere nascere un sistema diverso dall'attuale!"
vedo dei notevoli passi in avanti. Quindi, non è un problema tra "privatizzare" o "nazionalizzare" e vi sono, dunque, alcuni nodi a monte da analizzare e risolvere. Sì, ma quali?
Sarebbe interessante approfondire i due aspetti di sopra. Se solo i compagni avessero voglia di farlo, che scoprirebbero un MONDO.
A buon intenditor.
Tony
Ottimo post, In merito alla questione Germania e sua riunificazione, consiglio questo libro: http://www.correttainformazione.it/economia/anschluss-lannessione-vladimiro-giacche/
RispondiEliminaOttimo post. In merito alla questione Germania e sua riunificazione, permettimi di consigliarti questo libro: http://www.correttainformazione.it/economia/anschluss-lannessione-vladimiro-giacche/
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