Scrivevo ieri: “la proliferazione del consumabile non ha un limite
fisiologico, non nella cosiddetta propensione ai consumi e allo spreco come
credono taluni, ma un limite nella natura stessa del capitale”. E ciò
vale per ogni altro aspetto del capitalismo, ossia il vero limite della
produzione capitalistica è il capitale stesso, un limite che ha nulla a vedere con la
produzione della ricchezza in quanto tale. Questo particolare limite – scrive
Marx – testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico, transitorio,
del modo di produzione capitalistico; prova che esso non costituisce affatto
l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza, ma, al contrario,
arrivato ad un certo punto entra in conflitto con il suo stesso ulteriore
sviluppo.
Naturalmente Marx non si
limita ad enunciazioni di principio come un qualunque filosofo, come scienziato scopre ed enuncia “la legge in
quanto tale”, una legge naturale
indipendente dai produttori e che sfugge sempre di più al loro controllo. Tutto
nero su bianco, da ben oltre un secolo. Nessuno ha confutato scientificamente
tale legge, laddove si è cimentato anche quel confuso di Croce Benedetto, con
risultati comici, come già rilevava Plenchanov e poi Gramsci [*].
Al riguardo
soggiungo solo che se, oltre il cap. 13 del III Libro, Croce si fosse
preso la briga di leggere anche i capp. 14 e 15, forse avrebbe evitato di
aggiungere al suo curriculum altre miserabili sciocchezze. Ad ogni modo
l’imbecille pone a presupposto della sua “critica” un presunto “errore del Marx”,
il quale avrebbe attribuito “inavvedutamente” un valore maggiore al capitale
costante che viene messo in movimento dalla stessa forza-lavoro, e ciò
nonostante, obietta Croce, il progresso tecnico faccia scendere il valore delle
materie prime ed ausiliarie impiegate come capitale costante in rapporto al
valore della forza-lavoro.
A quest’asino sfuggiva
un fatto assolutamente elementare, e cioè che allo stesso modo che il progresso
tecnico fa scendere il valore delle merci impiegate come capitale costante, in
modo altrettanto progressivo consente all’operaio di mettere in movimento una
quantità notevolmente maggiore dello stesso capitale. È questa una nozione così
elementare che anche un qualsiasi operaio, per quanto “inavveduto” di filosofia
crociana, può illustrare facilmente.
Se, come dicevo a mia volta, Croce si fosse
dato pregio di leggere anche il cap. 15°, avrebbe scoperto che tale legge non
funziona solo in presenza di un aumento della composizione organica del
capitale, ma anche, come sa qualsiasi Marchionne, con la diminuzione del numero
degli operai impiegati sulla base di un determinato capitale. Si tratta della
tendenza del capitale alla massima riduzione possibile del numero degli operai
da esso occupati, da un lato, in contrasto con la sua assoluta necessità, quella di produrre la maggior massa possibile di plusvalore. Ecco a cosa serve la
dialettica materialista applicata alla scienza economica.
[*] Croce, Una
obiezione alla legge marxistica della caduta del saggio di profitto, poi
raccolto in Materialismo storico ed
economia marxistica, Laterza, Bari 1946, pp. 149-61; Plenchanov, À propos du livre de Croce, in Oeuvres
philosophiques, Mosca, vol. II, pp. 762-63; Gramsci, Il materialismo storico e la fil. di B.C., Einaudi, 1974, 211-15.
*
Non fa più effetto leggere gli appelli di
economisti “de sinistra” affinché siano adottate “condizioni per una riforma
del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale che dia vita a un
piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati, contrasti le
sperequazioni tra i redditi e tra i territori e risollevi l’occupazione nelle
periferie dell’Unione”.
Esistono gli economisti “de sinistra”, sono sempre
esistiti come economisti borghesi, e, da un certo momento storico in poi, come volgari
apologeti del capitale. Consapevoli che il capitalismo lasciato alla sua
spontaneità non tende all’equilibrio ma genera mostri, ritengono che per
ricondurre il sistema all’equilibrio, ossia fuori dalla crisi, sia necessario far
incontrare offerta e domanda. Perciò, stante la natura del modo di produzione
capitalistico, bisogna produrre una domanda
aggiuntiva tramite interventi di ordine politico, quindi di riforma del sistema
finanziario e della politica monetaria e fiscale.
Sia chiaro, si tratta solo di un abbellimento, di un’illusione di breve
periodo, una forzatura delle leggi del modo di produzione capitalistico, ma il
capitale, infine, procede per la sua strada. Essi dunque prendono atto delle
contraddizioni reali, e tuttavia su quali leggi di processo si determinino gli
“squilibri” essi ricamano di pura fantasia, illudendo con le loro parole (ecco il ruolo di apologeti) che il sistema
possa essere ricondotto all’equilibrio agendo sulla spesa pubblica e una
diversa redistribuzione del plusvalore, sorvolando bellamente su quali contraddizioni provochino realmente la crescente divaricazione tra domanda e offerta, la quale è solo l’effetto e non la causa.
Domanda da uno studente del penultimo banco: nel cap. 14 del Libro III, Marx esamina le "cause antagonistiche" alla caduta del saggio generale del profitto (motivo per cui egli l'ha chiamata "caduta tendenziale"). Esse sono:
RispondiElimina1. Aumento del grado di sfruttamento del lavoro.
2. Riduzione del salario al di sotto del suo valore.
3. Diminuzione di prezzo degli elementi del capitale costante.
4. La sovrappopolazione relativa.
5. Il commercio estero.
6. L'accrescimento del capitale azionario.
Dunque; come forse mai prima d'ora, tali cause sono nel loro pieno vigore: saranno esse tutte insieme a dare il colpo di grazia all'animale morente? Ovvero: fino a che punto tali cause antagonistiche dovranno estremizzarsi per determinare la morte naturale del capitalismo?
anzitutto è necessario dire che ogni legge in economia è "tendenziale" e con tale aggettivo in questo caso s'intende un carattere organicamente rilevante della legge;
Eliminaquando la contraddizione raggiungerà un grado insolubile? Per quanto detto sulla tendenza, non si tratta ovviamente di un "momento" cronologicamente determinato, di un crollo reale del capitalismo. le controtendenze invece di invalidare la legge la confermano e ne rafforzano il valore, tanto che Marx scrive nel cap. 14:
«le medesime cause che determinano la caduta del saggio del profitto, danno origine a forze antagonistiche che ostacolano, rallentano e parzialmente paralizzano questa caduta. E se non fosse per questa azione contrastante non sarebbe la caduta del saggio del profitto ad essere incomprensibile, ma al contrario la relativa lentezza di questa caduta. In tal modo la legge si riduce ad una semplice tendenza, la cui efficacia si manifesta in modo convincente solo in condizioni determinate e nel corso di lunghi periodi di tempo.»
Si tratta dunque di un modello – quello marxiano – fondato sulla dialettica e solo con la dialettica materialistica è possibile la sua corretta interpretazione. Dunque attenzione: gli stessi elementi antagonistici della tendenza (pensa alla resistenza dell’aria nella caduta di un grave), ossia gli elementi che attenuano l’aggravarsi della crisi e che consentono il suo provvisorio superamento, sono poi quegli stessi elementi che conducono di nuovo e più rapidamente l’economia capitalistica nella direzione della sua catastrofe storica.
Tra gli elementi di controtendenza, Marx cita il commercio estero, vale a dire non solo l’esportazione di merci ma l’esportazione di capitali in cerca di valorizzazione. Dal momento che tutta l'economia mondiale è ormai dominata dal capitale, diventerà sempre più difficile per il capitale superare le difficoltà di valorizzazione. Ma qui siamo già ad un altro tema.
ciao