martedì 6 novembre 2012

Non c’è più tempo



I nuovi mezzi di comunicazione stanno condizionando in modo sempre più marcato la nostra vita, l’impiego del nostro tempo, nel bene e nel male. Non è una scoperta e i pregi delle nuove tecnologie non sono certo io a doverli spiegare. Mi limito solo a osservare, per contro, come sia sempre più raro acquistare e leggere un giornale, una rivista, ma anche un libro che non sia il solito ricettario di opinioni di rapido consumo. Non c’è più tempo per la visione di un certo genere di film, per fare una passeggiata, ed è sempre più difficile, più faticoso, prenderci tutto il tempo che serve per queste cose, mentre ne dedichiamo moltissimo per scambiarci in definitiva messaggi inutili, immancabilmente urgenti e tali da interrompere una conversazione o una cena tra amici.

Su un altro versante, la questione si pone anche diversamente. Per esempio, s’è vero che la lotta per l’informazione è lotta per il potere e il controllo sugli individui, noi che ruolo vi giochiamo? Siamo noi a usare questo genere di comunicazione o invece ne siamo usati, contenti di esserlo? Se è vero quello che disse quel tale, ossia che il medium è il messaggio, ci dovremmo chiedere dunque di quale messaggio si tratti, di quale programma, di quale assoggettamento delle volontà e delle coscienze. Siamo sicuri che la frantumazione dei linguaggi alla quale assistiamo non spezzi l’identità degli individui e la loro stessa possibilità di relazione? Non si tratta forse sempre più di quella che Marx chiamava la “comunità illusoria”, sicché anche la coscienza che ne deriva è “coscienza illusoria di sé”? 

1 commento:

  1. Condivisibile, sono ragionamenti che mi trovo molto spesso a fare. È vero, il mezzo condiziona invariabilmente i contenuti: è il motivo per cui su Facebook non sono in grado di portare avanti un progetto di informazione partecipata con contenuti seri, è il motivo per cui vinceva Berlusconi e vincerà Grillo. Anche questa è alienazione.
    Qualche mese fa una giornalista raccontava di dover *spiegare* alle persone come fare a incontrarsi, conoscersi, relazionarsi l'una con l'altra. Lo trovo triste e assurdo, disumanizzante al massimo.

    Avevo scritto qualcosa sull'argomento, lascio il link.

    P.S. Fabio Chiusi, scrittore di Ti odio su Facebook, aveva provato a staccarsi dalla rete scoprendo di esserne dipendente. In realtà, secondo i parametri stabiliti quando venne per la prima volta riconosciuta e diagnosticata la "dipendenza da internet", oggi praticamente tutti siamo dipendenti.
    Anche io ho provato due volte l'esperimento: la prima volta per scherzo, la seconda ho partorito una lunga riflessione nella forma di una micro-inchiesta dal titolo Il popolino del web).
    Internazionale due settimane fa ha pubblicato tradotto un articolo molto interessante sull'influenza dell'uso di internet sull'architettura fisica del cervello. Consiglio di leggerlo, è straordinariamente inquietante.

    Cazzo, è venuto fuori un post scriptum più grosso del corpo del commento... e forse anche fuori tema.

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