Per quanto possa contare, sono d’accordo con Malvino
quando dice, a proposito di Renzi, che quanto sta avvenendo porterà «all’inevitabile scissione del partito» e che in tal modo non
avrà solo «rottamato la vecchia classe dirigente del partito, ma il partito». E
sono anche d’accordo quando scrive, un po’ sibillino, che tale risultato «non sarebbe quello che ha voluto o almeno ha fin qui dichiarato di volere».
Credo proprio che l’operazione di Renzi, persona di formazione cattolica e
orientamento reazionario, consista proprio nel far esplodere nel Pd le
irrisolte contraddizioni, quelle di un partito nato come contenitore «dell’ibrida chimera di Moro e Berlinguer», ma che ha trovato sulla sua strada
– mi pare evidente – un blocco sociale che si è opposto – spaventato – a ogni
pur minima velleità riformista (in definitiva a tenere insieme ciò che oggi si
chiama Pd è stato soprattutto l’antiberlusconismo, se non altro quello di
facciata). Dove vada a parare politicamente la faccenda
Renzi, ovviamente i “vecchi” boss del partito l’hanno compreso benissimo. Però
c’è dell’altro, qualcosa che traspare meno e che Veltroni, sempre lesto nel
cambiare distintivo, ha colto subito, smarcandosi per tempo.
Questo
qualcosa ha a che fare – ben oltre le apparenze – pur sempre con quel
blocco sociale che si è opposto – attraverso il berlusconismo – a ogni pur
minima velleità riformista. Anche in questo, Malvino coglie bene quando interpreta
che «Grillo e Renzi insieme fanno il
Berlusconi che fino a ieri incarnava un blocco sociale». Credo però non sfugga a nessuno che si tratta di un blocco sociale di classe che sta usando il malcontento e la protesta a piene mani di un'area sociale tradizionalmente di "sinistra" o comunque intesa come progressista, per un progetto – in definitiva – di conservazione (la "rivoluzione" fascista, non fu conservatrice?). Il solito cambiare tutto perché tutto resti come prima.
Dove non sono d’accordo – se interpreto bene – con Malvino, è quando egli conclude
così: «L’operazione non è riuscita». Non direi. È vero e non è immaginabile che la borghesia possa lasciare in mano a Renzi una qualsiasi effettiva leva di potere (ammesso che oltre a rottamare e spaccare il partito riesca ad imporsi), tantomeno a Grillo, ma l’operazione è ancora in corso e non è detto –
tutt’altro – che ne conosciamo i contorni, nazionali e internazionali. Renzi e Grillo (questi, suo malgrado) – lo si vede dallo spazio mediatico che occupano – fanno parte di un progetto, quello appunto di rottamazione di una classe dirigente per sostituirla con un'altra o comunque ridurne il peso e l'egemonia. Nel 2013 questa operazione di stampo populista porterà alla nascita della cosiddetta terza repubblica.
Il 9
novembre dell’anno scorso scrivevo: «l’errore di ieri, di non aver votato
contro [Berlusconi], è possibile che si riveli anche più grave e denso di
conseguenze. Magari non subito, ma nel tempo, nei prossimi mesi». E il 17
novembre: “Il suicidio politico del Pd, continua. Alle prossime elezioni si
arriverà al funerale”. Se non proprio al funerale, all’estrema unzione.
Assistiamo, soprattutto, a una crisi complessiva di sistema che
lascia spazio a molte incognite e pericolose derive. La borghesia autoctona, il
blocco
sociale di classe di cui dicevo, crede
di poter governare questa crisi e anzi di saperne approfittare ancora una volta
per cogliere, al momento opportuno, fior da fiore. E tuttavia l’Italia, nel quadro
strategico complessivo, ha il destino segnato, da sempre si potrebbe dire. Come
scrivevo ieri, i grandi poteri puntano sulle debolezze nostre (cioè corruzione
e criminalità politica) per distruggere alcuni settori importanti dell’economia che ci vedono come concorrenti sul mercato internazionale e per comprare pezzi rilevanti del nostro patrimonio.
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