domenica 21 ottobre 2012

Io lavoro per niente



Ed ecco che nel West subentra il panico, ora che i nomadi vanno moltiplicandosi per le strade. I ricchi sono terrorizzati dalla loro miseria. Individui che non avevano mai provato la fame, ora vedono gli occhi degli affamati. Individui che non avevano mai provato desideri intensi per qualche cosa, vedono ora l’ardente brama che divampa negli occhi dei profughi. Ed ecco gli abitanti delle città e della pigra campagna suburbana organizzarsi a difesa, dinanzi all’imperioso bisogno di rassicurare se stessi di essere loro i buoni e i  cattivi gli invasori, come è buona regola che l’uomo pensi e faccia prima della lotta.

Dicono: vedi come sono sudici, ignoranti, questi maledetti Okies. Pervertiti, maniaci sessuali. Ladri tutti dal primo all’ultimo. E’ gente che ruba per istinto, perché non ha il senso della proprietà. Ed è giustificata, se vogliamo, quest’ultima accusa; perché come potrebbe, chi nulla possiede, avere la coscienza angosciosa del possesso?

E dicono: vedi come sono lerci, questi maledetti Okies; ci appestano tutto il paese. Nelle nostre scuole non ce li vogliamo, perdio. Sono degli stranieri. Ti piacerebbe veder tua sorella parlare con uno di questi pezzenti?

E così le popolazioni locali si foggiano un carattere improntato a sentimenti di barbarie. Formano squadre e centurie, e le armano di clave, di gas, di fucili. Il paese è nostro. Guai, se lasciamo questi maledetti Okies prenderci la mano. E gli uomini che vengono armati non sono proprietari, ma si persuadono di esserlo; gli impiegatucci che maneggiano le armi non possiedono nulla, e i piccoli commercianti che brandiscono le clave possiedono solo debiti. Ma il debito è pur sempre qualcosa, l’impiego è pur sempre qualche cosa. L’impiegatuccio pensa: io guadagno quindici dollari la settimana; mettiamo che un maledetto Okie si accontenti di dodici, cosa succede? E il piccolo commerciante pensa: come faccio a sostenere la concorrenza di chi non ha debiti?

E i nomadi defluiscono lungo le strade, e la loro indigenza e la loro fame sono visibili nei loro occhi. Non hanno sistema, non ragionano. Dove c’è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell’uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque.
Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti.
No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici.
Io ho bambini, ho i bambini che hanno fame! io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste, i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po’ di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po’ di carne per fare il brodo ai miei bambini, e io non chiedo altro.

E questo, per taluno, è un bene, perché fa calar le paghe mantenendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare i prezzi restano invariati.

John Steinbeck, Furore, XXI.

5 commenti:

  1. "Un disfattista". Così venne definito John Steinbeck, dall'Ufficio Federale d'Investigazioni, dopo la pubblicazione di Furore. Un disfattista in odore di comunismo.
    Conscrit

    RispondiElimina
  2. Steinbeck è sempre molto preciso e molto tagliente: per questo le sue opere si prestano facilmente al sostegno delle lotte. Io per esempio ho citato un intero dialogo di più pagine in occasione delle proteste degli operai Alcoa (vedi).

    RispondiElimina
  3. Sono onorato; tu da me lo eri già da tempo :)
    ciao alla prossima

    RispondiElimina