Phastidio richiama un intervento di Fassina e lo
commenta condividendone l’analisi. Scopre che mancò “ai padri
fondatori” una riflessione sofisticata come questa: può mai un paese con l'economia del
Portogallo o della Grecia avere la stessa valuta della Germania? E riflette sul fatto che la Germania non può essere un modello virtuoso da imitare per una serie di motivi altrimenti evidenti anche al
senso comune. Quindi, arriva a questa conclusione finale:
“Non se ne esce”. Guai però a trarne le conseguenze,
almeno sul piano teorico.
Più in generale e di là di quanto sta succedendo all’euro e
al nostro continente, la riflessione dovrebbe riguardare un fatto non meno
reale di quelli che Phastidio si picca di voler esaminare quotidianamente
distribuendo voti e pagelle. Si tratta di una contraddizione fondamentale
empiricamente verificabile da chiunque. Il capitalismo accelera la
socializzazione della produzione portandola a livelli elevatissimi e
storicamente inediti, ma la ricchezza sociale – quella creata da miliardi di
salariati nella fabbrica mondo – continua ad essere accaparrata privatamente
come avveniva nell’evo antico, nel medioevo e agli albori della nostra epoca.
Felici di essere prigionieri di questo anacronismo, i teorici
del modo di produzione capitalistico, inteso come il migliore dei sistemi
economici – pur in presenza dei suoi “difetti” –, non riescono ad immaginare
nulla di diverso da questo sistema pur essendo consapevoli che l’umanità sta
andando verso il baratro, non facendosi capaci che in realtà uscire da questo sistema è una
causa di tutta l’umanità. Inoltre, non si rendono conto che il capitale è limitato per sua natura essendo il suo presupposto teso a riprodurre e tutt'al più ad ampliare una situazione determinata. Questo stesso presupposto – il valore – è posto come prodotto, non come presupposto superiore aleggiante al di sopra della produzione, e si pone quindi antiteticamente come limite dello sviluppo delle forze produttive e dello sviluppo universale degli individui.
La storia non ha fretta di dimostrare ciò che l’adesione di
massa a un’ideologia da mercanti nega anche a fronte dell’evidenza. Non appena le
aree più arretrate del pianeta avranno raggiunto un grado di sviluppo
sufficiente, come sta avvenendo, si porranno questioni dirimenti e che non
potranno che portare allo scontro su ogni piano della contesa imperialistica.
Allora si porrà la questione urgente di come eliminare un sistema dallo
sviluppo anarchico e permettere invece un’economia amministrata direttamente
dai produttori e intesa a eliminare la speculazione, lo spreco, il disordine,
il parassitismo, gli squilibri produttivi tra le diverse aree. Scoprire così
che con l'enorme sviluppo economicamente raggiunto dalle forze produttive è possibile finalmente dare ad ognuno secondo i suoi bisogni e ricevere da ognuno secondo le sue
capacità.
francamente lascerei perdere l'incapacità del Capitale di sviluppare le forze produttive che, come vedi, è capacissimo di sviluppare...
RispondiEliminacomplessivamente, a livello mondiale, il Capitale non se la cava male, ancorchè in occidente l'accumulazione abbia qualche problema..
da
Francamente credevo di aver scritto e inteso una cosa diversa: come si fa a negare al capitale la capacità di sviluppare le forze produttive? Proprio due giorni fa, per l’ennesima volta, scrivevo:
Eliminail modo di produzione capitalistico trova nello sviluppo delle forze produttive un limite che nulla ha a che vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale, poiché non viene prodotta troppa ricchezza, ma perché viene prodotta – per dirla con Marx – ricchezza nelle sue forme capitalistiche che hanno un carattere antitetico.
È pacifico che la tendenza universale del capitale è allo sviluppo universale delle forze produttive, sebbene per sua natura non tenda allo sviluppo libero, illimitato, progressivo e universale delle forze produttive. “Questa tendenza – scrive Marx nei Grudrisse – che è propria del capitale, ma che al tempo stesso è in contraddizione con esso in quanto forma di produzione limitata, e perciò lo spinge alla sua dissoluzione – distingue il capitale da tutti i precedenti modi di produzione e implica, al tempo stesso, che esso è posto come puro punto di transizione”.
Ecco quindi che dovrebbe apparirle più chiaro il signbificato di quanto ho scritto:
il capitale è limitato per sua natura essendo il suo presupposto teso a riprodurre e tutt'al più ad ampliare una situazione determinata. Questo stesso presupposto – il valore – è posto come prodotto, non come presupposto superiore aleggiante al di sopra della produzione, e si pone quindi antiteticamente come limite dello sviluppo delle forze produttive e dello sviluppo universale degli individui.
quindi non ho scritto dell'incapacità assoluta del capitale di sviluppare le forze produttive, cosa assurda, ma di andare oltre un certo limite
ho capito perfettamente
RispondiEliminai passi citati, che conosco, pongono il limite del Capitale in antitesi con il suo carattere modo di produzione socializzata, seppur a posteriori. le forze produttive non sono la ricchezza, certo
ma purtroppo la capillare capacità odierna di sussunzione e di messa a profitto dell' intelligenza sociale, che M intravide, rendono i passi citati fra quelli meno illuminanti e, se piace pensarlo, predittivi
come non detto
da