Nell’agosto scorso, un po’ in sordina, con
l’approvazione della Duma, la Russia è entrata a tutti gli effetti nell’Organizzazione
mondiale del commercio. Nella prospettiva di lungo periodo dello sviluppo
capitalistico è questa una tappa importante e peraltro ricca anche di
significato storico, non meno che nel caso dell’entrata della Cina nel WTO.
Come ripeto spesso, il capitalismo è fallito, ma non è morto. È fallito nella
crisi e nelle contraddizioni che gli sono proprie, e tuttavia vive e continua a
svilupparsi. Si può intendere questo fatto come un paradosso, ma non lo è.
La creazione di un mercato mondiale non avviene per
beneficienza verso l’umanità, per produrre “beni” utili ed esportare le virtù
del “libero” mercato come vanno ripetendo numerosi furbi. La valorizzazione del
capitale è l’intrinseco fine della produzione capitalistica, motivo e scopo della produzione, punto
di partenza e punto di arrivo, fine in
sé. Questa condizione e le sue
contraddizioni, immanenti al processo di valorizzazione, costituiscono il
limite storico del modo di produzione capitalistico. Lo sviluppo del modo di
produzione capitalistico, infatti, procede parallelamente con la diminuzione
del saggio del profitto, cioè del rapporto tra il profitto e il capitale
complessivo investito. Si tratta di una legge che agisce come una legge di
natura, ben nota agli economisti, ma solo Marx l’ha messa in chiaro
scientificamente in quanto tale, nel suo sviluppo e nelle sue controtendenze
(Libro III, terza sez., capp. 13, 14 e 15).
La diminuzione del saggio del profitto è provocata
soprattutto dal fatto che il modo di produzione capitalistico trova nello sviluppo
delle forze produttive un limite che nulla ha a che vedere con la produzione
della ricchezza in quanto tale. La produzione capitalistica tende continuamente
a superare questi propri limiti, ma riesce a superarli unicamente con dei mezzi
che la pongono di fronte agli stessi
limiti su scala nuova e più alta. Essendo il vero limite della produzione
capitalistica il capitale stesso, lo sviluppo incondizionato delle forze
produttive sociali viene permanentemente in conflitto con il suo fine
ristretto, la valorizzazione del capitale esistente.
Scrive Marx che questo fatto “testimonia del carattere ristretto, semplicemente storico,
transitorio, del modo di produzione capitalistico; prova che esso non
costituisce affatto l’unico modo di produzione in grado di generare ricchezza,
ma, al contrario, che esso, arrivato ad un certo punto, entra in conflitto con
il suo stesso ulteriore sviluppo”. Scrive ancora: “Se il modo di produzione capitalistico è quindi un mezzo storico per lo
sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente
mercato mondiale, esso è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo
suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono”.
Ad uso del popolo, la frase "La diminuzione del saggio del profitto è provocata soprattutto dal fatto che il modo di produzione capitalistico trova nello sviluppo delle forze produttive un limite che nulla ha a che vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale." va spiegata in modo che sia comprensibile, magari anche con un esempio. In che modo lo sviluppo delle forze produttive porti alla riduzione del saggio di profitto, io, per esempio, non l'ho capito, ed ho letto tutto sino in fondo.
RispondiEliminaGrazie.
ciao Giorgio, forse il post è un po' criptico e tuttavia, credimi, ho cercato di renderlo quanto più propedeutico possibile, tanto che in altre occasioni lo avrei scritto diversamente. poi c'è un problema di spazio, non posso farli troppo lunghi. e di precedenti, come puoi vedere dai link che in fondo ti segnalo. ma vengo al punto:
Eliminale crisi non hanno nulla a che vedere con la produzione della ricchezza in quanto tale. anzi, paradossalmente se ne produce fin troppa. Scrive Marx:
Nelle crisi commerciali viene regolarmente distrutta non solo una parte dei prodotti ottenuti, ma addirittura gran parte delle forze produttive già create. Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in tutte le epoche precedenti sarebbe apparsa un assurdo: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova all'improvviso ricondotta a uno stato di momentanea barbarie; sembra che una carestia, una guerra generale di sterminio le abbiano tagliato tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano distrutti. E perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive che sono a sua disposizione non servono più a promuovere la civiltà borghese e i rapporti borghesi di proprietà; anzi, sono divenute troppo potenti per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse.
sulla caduta del saggio del profitto ho dato questo riferimento bibliografico:
Libro III, terza sez., capp. 13, 14 e 15. se non hai sottomano una copia del Capitale, puoi leggere qui: http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_3/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_III_-_13.htm
Marx è chiarissimo, ma partire da qui è un po' come studiare le equazioni prima delle 4 operazioni
ad ogni buon conto, puoi vedere anche qui:
http://diciottobrumaio.blogspot.it/2011/07/diego-fusaro-marx-sconfessato-dalla.html
http://diciottobrumaio.blogspot.it/2012/01/plusvalore-e-profitto.html