Internet è un luogo davvero interessante, dilettevole
passatempo. E si possono imparare tante cose (e parole nuove). Per esempio le seguenti (si
possono consumare integralmente in questo sito che le produce a gratis):
[…] la
produzione consiste in ogni caso nel consumare delle risorse per generare nuovi
beni e servizi. Consumo e produzione, da questo punto di vista, sono
esattamente la stessa cosa: ovvero la trasformazione di una cosa in un’altra
cosa. Carne in cibo e cibo in forza-lavoro — e merda ovviamente, poiché ogni
processo di consumo-produzione comporta una quota di scarti. Come ci ha
ricordato Wim Delvoye con i suoi giganteschi macchinari digerenti (Cloaca), la
fabbricazione di escrementi è un processo del tutto identico alla produzione
industriale: la merda è un prodotto come un altro. Solo che (quasi) nessuno la
vuole.
Potremmo
dire che lo scopo della produzione consiste nel trasformare la materia prima in
un bene utile o più utile, mentre il consumo consiste nel trasformare la
materia prima in un bene inutile o meno utile; ma staremmo dando una
definizione ancora troppo soggettiva. Rischiamo di tornare alla concezione
moralista del lavoro culturale inteso come attività superflua. Dovremmo dunque
dire che la «produzione» realizza qualcosa per cui esiste una maggiore domanda
(rispetto alla domanda per la materia prima) e il «consumo» realizza qualcosa
per cui esiste una minore domanda. Allora inizieremmo a capire il principio che
regola la retribuzione delle attività di consumo-produzione culturale, il
cosiddetto prosuming.
Cos’è il prosumer,
lo si può scoprire qui. Per il resto mi permetto alcune timide osservazioni
tanto per mettere ordine alle mie idee confuse su certi concetti e categorie
economiche rimasti in arretrato.
La merce è un prodotto del lavoro, anche se non tuti
i prodotti del lavoro sono merci. Cagare, per esempio, può essere considerato
un lavoro e costare un grande sforzo, ma non per questo il prodotto di tale erculea
fatica, è merce, anche se qualcuno può sostenere che cagare, o scrivere
stronzate, stanca.
Solo in certe
condizioni sociali, infatti, un prodotto si trasforma in merce: queste
condizioni storicamente determinate sono rappresentate dai rapporti di
produzione mercantili, basati sull’esistenza di lavori effettuati
indipendentemente l’uno dall’altro e collegati dallo scambio. Di per sé, la forma mercantile di produzione non
s’identifica con il modo di produzione capitalistico. È soltanto nel
capitalismo, però, che la produzione mercantile si sviluppa a tal punto da
diventare la forma produttiva assoluta e dominante. Nella società capitalista,
infatti, si trasforma in merce non solamente il prodotto del lavoro, ma persino
la stessa forza-lavoro.
Ma cos’è, più in particolare, una merce? In primo
luogo, una cosa che soddisfa un qualsiasi bisogno dell’uomo e, in secondo
luogo, una cosa che si può scambiare con un'altra. È quindi unità di valore d’uso e valore di scambio. Nella produzione capitalista, il valore d’uso,
in quanto tale, è soltanto il mezzo per raggiungere un fine, cioè la produzione
di valori di scambio (o meglio, la produzione di plusvalore in quanto valore di
scambio accresciuto).
Pertanto le merci debbono dar prova di sé come valori d’uso, prima
di potersi realizzare come valori. Poiché il lavoro umano speso in esse
conta soltanto in quanto è speso in forma utile per altri. Ma solo il suo
scambio può dimostrare se esso è utile ad altri e quindi se il suo prodotto
soddisfa bisogni di altre persone. Pertanto la merda, per quanto abbia reso
necessario un grande sforzo per essere prodotta, prima di potersi realizzare
come valore deve dar prova di sé come valore d’uso, prescindendo quindi dalla quantità che il “lavoratore” riesce a
produrne, cioè indipendentemente dal fatto che questi abbia ingerito molto
capitale in vista della produzione oppure soffra d’inappetenza. E tuttavia,
preciso, in questa analisi astraggo dai casi di stitichezza conclamata, perciò anche dalla qualità del "lavoratore".
Il valore di scambio si presenta in un primo momento come il rapporto quantitativo, la proporzione nella quale valori
d'uso d'un tipo sono scambiati con
valori d'uso di altro tipo; e tuttavia sarebbe sbagliato ritenere che il valore di una merce
dipenda dalla minore o maggiore richiesta sul mercato di un
determinato valore d’uso, e che quindi la merda – quella comune, non quella per
iscritto – non trovi sbocchi commerciali per l’assenza di domanda. Ma questo arcano, ossia da cosa dipenda la formazione del valore, lo lascio scoprire agli audaci studiosi del prosuming, non senza aver prima esposto un altro paio d’osservazioni,
forse utili alla ricerca di tale sacro graal.
La prima è semplice
constatazione, ossia che finora nessun chimico
ha ancora scoperto valore di scambio in perle o diamanti e nemmeno, incredibile
a dirsi, nella merda. La seconda, credo non meno pertinente, riguarda il
ragionamento secondo cui chi consuma dello Champagne è altrettanto produttivo
di colui che produce simile vino. Secondo tale assunto, a quale scopo si produce
vino se non per essere consumato? Se dunque il lavoro del consumatore non
dovesse essere considerato produttivo, a quale titolo dovrebbe esserlo quello
del coltivatore di vigneti il cui lavoro non è se non un mezzo per raggiungere
lo scopo del consumo? Su tali imprescindibili quesiti della moderna ricerca economica, questi esperti avranno tutta la vita per pensarci e dibattere.
Colgo in un paio di punti una certa ironia che suggerisce che l'articolo in questione sia assimilabile alla merda: faccio notare che era appunto la tesi dell'articolo. Gran parte delle tue osservazioni sono coerenti con quello che cercavo d'illustrare -- "Solo in certe condizioni sociali, infatti, un prodotto si trasforma in merce" -- quindi non mi è chiaro il punto della tua critica. Concludi dicendo che "sarebbe sbagliato ritenere che il valore di una merce dipenda dalla minore o maggiore richiesta sul mercato di un determinato valore d’uso", ma ho fatto vari esempi per mostrare che la merda (vera o figurata) può avere valore d'uso e valore di scambio, proprio come ogni altra cosa. In realtà io avevo appunto evitato di parlare di "valore" per evitare gli scogli che ne derivano, mi ero limitato ad definire come "scarto" un particolare tipo di bene che nessuno è disposto a remunerare.
RispondiEliminaScrivi: «mi ero limitato ad definire come "scarto" un particolare tipo di bene che nessuno è disposto a remunerare».
EliminaImmagino che per “bene” tu intenda quantomeno un valore d’uso, di una qualsiasi utilità. Infatti, il valore d’uso, laddove entra in relazione con rapporti sociali di produzione, è una categoria economica. Se nessuno è disposto a remunerare una data cosa, sia per soddisfare un bisogno materiale o anche solo immaginario, significa che ad esso non è riconosciuta una qualsiasi utilità. Se non è riconosciuto come valore d’uso, non può rappresentarsi come un valore di scambio. Perciò si parla di duplice carattere della merce.
Ti potrà sembrare strano, ma succede perfino che un valore d’uso, riconosciuto universalmente come tale, per esempio della frutta, non diventi merce per il semplice motivo che nessuno la raccoglie. Oppure che la frutta raccolta diventi un valore d’uso ma non per questo una merce. Infatti, se leggi con attenzione, vedi che ho scritto: La merce è un prodotto del lavoro, anche se non tutti i prodotti del lavoro sono merci. E la mia frase che tu citi nel commento (Solo in certe condizioni sociali, infatti, un prodotto si trasforma in merce) è appunto talmente esplicita che avrebbe dovuto indurti a una maggiore riflessione. Ma questi fatti straordinari, sui quali poi in filigrana verte il mio post, darebbero luogo a discorsi che riguardano altre determinazioni del valore di scambio che appunto invito ad indagare ciascuno per suo conto.
Quando la merda, lo sterco umano, diventerà valore d’uso in date condizioni sociali, sarà quindi prodotta, raccolta, classificata, pesata, imballata, eccetera, allora sarà possibile scambiarla con altre merci ovvero con denaro. Fino ad allora, ognuno la propria cacca la produce e la gode per sé secondo quantità e qualità.
È stato cmq un piacere trattare l’argomento.
Bene, allora siamo d'accordo su tutto.
RispondiEliminaSempre eccezionale la capacità di trarre anche da un certo mondo fantastico del web spunti per riportarci con i piedi per terra in maniera esemplarmente chiara.
RispondiEliminaMa, detto fra noi, uno che se la prende in quel posto sarà mai ugualmente produttivo a uno che te la mette in quel posto?
Equivalenze fantastiche, tanto l'importante è che i cervelli (?) abbiano la loro dose quotidiana di merda in cui impantanarsi...o no?
ciao,gianni