lunedì 28 luglio 2014

Quel 28 luglio


Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare un’epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa. Così scriveva con il consueto penetrante realismo Karl Marx [*].

Se ai primi di luglio del 1789 avessero predetto a Luigi Capeto che di lì a tre anni e mezzo egli sarebbe stato ghigliottinato e in Francia instaurata la repubblica, si sarebbe fatto una risata.

Se il mattino del 28 luglio 1914 avessero predetto a Guglielmo II e a Francesco Giuseppe che la guerra che si apprestavano a dichiarare sarebbe durata oltre quattro anni e l’esito del conflitto avrebbe comportato le conseguenze che sappiamo, probabilmente l’avrebbero dichiarata ugualmente, non credendo minimamente a un simile vaticinio. E, del resto, erano prigionieri essi stessi del loro sistema e coltivavano le medesime illusioni di tutti gli altri.



Guglielmo II non avrebbe potuto credere che di lì a pochi anni in Germania sarebbe stata instaurata la repubblica, e Francesco Giuseppe avrebbe preso come una burla di cattivo gusto la predizione che l’impero austro-ungarico sarebbe stato ridotto territorialmente a qualcosa di simile alla Svizzera. Da parte sua, Nicola II, avrebbe anche potuto ipotizzare nel corso del nuovo secolo la necessità di varare delle riforme realmente costituzionali in Russia, ma avrebbe considerato semplicemente irrealistico che nel 1917 certi Ul’janov e Bronstejn instaurassero la repubblica comunista dei soviet.

Ciò prova l’imprevedibilità degli avvenimenti storici, almeno nei loro “dettagli”, e la rapidità con la quale essi si manifestano dopo un lungo periodo di gestazione e stabilità in cui tutto sembra definitivo. E tuttavia, a ben considerare le cose dappresso, non solo la possibilità, bensì l’inevitabilità di una guerra europea era data all’inizio del secolo scorso per certa da moltissimi. Anche le modalità dello scontro, a grandi linee, potevano essere previste. Per esempio, le recenti guerre balcaniche avevano ben posto in luce le nuove dinamiche strategiche e tattiche di una guerra che non poteva essere di movimento e combattuta da truppe allo scoperto stante le nuove armi micidiali come le mitragliatrici e l’artiglieria a tiro rapido.

Stentiamo a crederlo, oggi, ma gli stati maggiori degli eserciti, non meno che i responsabili politici, non si vollero rendere conto di ciò che stava loro sotto il naso. Ed è ciò che succede anche ai nostri giorni, specie per quanto riguarda l’economia, lo sfruttamento delle risorse naturali e la tutela dell’ambiente, senza dire dei conflitti regionali potenzialmente sempre più pericolosi. Ciò avviene non semplicemente perché le classi dirigenti siano stupide, ma perché le loro decisioni sono condizionate in definitiva da ragioni di potere e di classe, di scontro tra interessi e imperialismi. Agire diversamente significherebbe anzitutto rinunciare alla loro egemonia, procedere a un cambiamento radicale dell’esistente e non lasciarsi guidare dalle leggi e contraddizioni del capitalismo. Chi di loro, chi di noi tutti, può credere che in un breve tempo questo ordinamento economico e sociale possa essere sconvolto dalle fondamenta? Eppure la partita è in corso, il futuro è nelle cose di oggi.




[*] Per esattezza e completezza, Marx, nella Prefazione di Per la critica dell’economia politica, così scrive: «Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione».

1 commento:

  1. Totalmente in accordo con la tua analisi, mi soffermo invece sulla conclusione della citazione marxiana.
    Marx dice che "l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione".
    Con immensa modestia (!!) la riformulerei cambiando il soggetto, ovvero: "LA STORIA non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione".

    Il motivo di questa modifica nasce da una considerazione molto pessimistica, ovvero che a ben vedere oggi la "soluzione" potrebbe essere estremamente distruttiva per la società umana, al punto da non lasciare più spazio alla vita come la conosciamo oggi. L'esaurimento delle risorse, la distruzione del pianeta e l'eventuale uso delle armi nucleari potrebbero non lasciare spazio per l'umanità, dopo

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