lunedì 7 luglio 2014

Omissioni e reticenze


Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha indirizzato una lettera al direttore del quotidiano la Repubblica in occasione del concerto tenutosi ieri presso il sacrario di Redipuglia, laddove sono sepolti i resti di circa centomila italiani, in prevalenza contadini e salariati, mandati al massacro nel primo conflitto mondiale. Il presidente scrive che tali occasioni concertistiche, come quella precedente del 2010 a Trieste, costituiscono importanti tappe “del processo di riconciliazione tra le nazioni e i popoli dell'Adriatico, dandovi decisivo impulso e cancellando i residui di una tragica contrapposizione bellica”.



Che quei concerti servano a cancellare i residui di una tragica contrapposizione bellica, può essere, ma non i motivi di una contrapposizione etnica e nazionale ben visibili. Non a caso Napolitano scrive di vigenti contrapposizioni causa delle quali si “rischia addirittura, impantanandosi fin dall'inizio in polemiche recriminatorie sulla responsabilità dello scoppio della guerra [1914-18], di veder resuscitare le opposte fazioni del passato, com'è sembrato accadere qualche giorno fa a Sarajevo”. Il presidente Napolitano omette però di citare la recente dilacerante guerra che ha portato alla dissoluzione di quella che fu la Yugoslavia, non certo senza che le potenze europee prendessero posizione per una delle parti in causa.

Il presidente Napolitano è reticente anche in riferimento alle motivazioni per le quali l’Italia ruppe l’alleanza con gli imperi centrali e decise di entrare in guerra a fianco dell’Intesa. Laddove egli afferma che “Si può considerare ormai acquisita un'obiettiva ricostruzione storica della lotta politica tra forze favorevoli e contrarie all'intervento del nostro paese”, egli tace nel precisare che di vero e proprio mercanteggiamento si trattò, sulla pelle di chi era destinato a combatterla quella guerra. E che dunque a essere chiamate in causa quali responsabili dirette di quella strage, non inutile, bensì utilissima dal punto di vista di certi interessi non tanto patriottici, sono  le classi dirigenti europee sostenute dai tanti traditori che si annidavano nei partiti socialisti e che votarono a favore dei crediti di guerra.

Rileva retorico il presidente che “L'Italia ne uscì non solo riunita – con il ricongiungimento di Trento e Trieste – entro i confini sognati dai patrioti del Risorgimento, ma cambiata moralmente perché forte di una nuova e più vasta consapevolezza del proprio essere nazione”. Omette, anche in questo caso, di specificare che la più forte e vasta consapevolezza acquisita dall’Italia con la guerra, non impedì il fascismo. Anzi, il conflitto bellico, nell’esasperare i movimenti nazionalistici e reazionari come poi la spedizione di Fiume dimostrò, incubò e nutrì l’ideologia che porterà alla dittatura.

C’è un’altra frase di Napolitano, non contenuta nella lettera ma pronunciata in occasione della sua visita in Friuli Venzia-Giulia, laddove egli afferma che «Se i giovani non trovano lavoro l'Italia è finita». Ecco qui il punto vero della questione: non solo “l’Italia è finita” perché la disoccupazione giovanile viaggia attorno al 40-50 per cento, ma perché è l’Europa a essere finita in un cul de sac, e non solo a causa delle sue maniacali politiche monetaristiche e recessive, ma perché ciò che non si vuole comprendere è che siamo a un cambio d’epoca, laddove non è più possibile considerare la proprietà, il lavoro e l’economia con gli stessi parametri del passato.

E su questo sono d’accordo anche molti borghesi, ma essi prospettano come cura le “riforme”, ossia dei pannicelli caldi.


2 commenti:

  1. nel cul de sac ci sono finiti, in europa, i paesi concorrenti della germania, ma appunto non la germania stessa e si vede dalla politica di potenza che essa sta attuando. ultima notizia filtrata in germania proprio avantieri: la germania ha aumentato di brutto i finanziamenti per la ricerca sulle armi. se non ci svegliamo, il POTERE TEDESCO ci metterà tutti col culetto per terra, prima noi europei poi con calma gli altri. i vecchi piani degli anni 30-40 del secolo scorso vivono e si stanno realizzando.
    franco valdes piccolo proletario di provincia

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  2. Personalmente penso che più che volontà di potenza si tratti del preciso disegno (più che comprensibile, egoisticamente parlando) di essere l'unico paese europeo a mantenere un discreto status di benessere e ricchezza a fronte del crollo dell'economia europea in generale. Come giustamente rileva Olympe, siamo a un cambio s'epoca e l'Europa è sicuramente un vaso di coccio...

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