domenica 23 marzo 2014

Stalinisti, crociani, americanisti, liberisti: antimarxisti


Scrive Scalfari:

Questo è stato il lascito di Berlinguer. Come e perché questa eredità politica sia poi entrata in crisi è un altro discorso che riguarda la crisi della politica, di tutta la politica, del sistema dei partiti, dei loro rapporti con le istituzioni, quella che Berlinguer aveva già identificato definendola questione morale, occupazione delle istituzioni da parte dei partiti, oggi più che mai intensa e di assai difficile risanamento.

Sono questi i reali motivi per cui quella “eredità politica” entrò in crisi? Anche, ma superficialmente. Uno dei motivi fondamentali per i quali quell’eredità entrò in crisi riguarda per così dire il patrimonio ereditato, ossia la natura stessa di quel partito. Se soffrì la crisi della politica, di tutta la politica, è perché era un partito che di quella politica faceva e fa parte. Credo che una buona risposta su ciò che fu il PCI da una certa epoca e su quali eredi abbia allevato, l'offra lo stesso Scalfari:

Il partito comunista italiano guidato da Berlinguer, e prima di lui da Longo e da Togliatti, era nato a Lione, liquidò Bordiga, che l'aveva fondato nel 1921, e si ispirò all'insegnamento di Gramsci. Tra le sue "sacre scritture" non c'erano soltanto Marx ed Engels ma Antonio Labriola, Giustino Fortunato e perfino Benedetto Croce.



Rossana Rossanda, dirigente che il PCI l’ha conosciuto bene dell’interno, nella sua autobiografia (La ragazza del secolo scorso) ebbe a scrivere (leggere con attenzione, prego):

Il marxismo era, sicuro, una filosofia [sic!!!] e se si vuole un umanesimo, ma non si poteva tirare in tutte le direzioni, fin fuori dalla sua origine, nella crudele estraneazione del modo di vivere e produrre nel capitale: né si poteva giocare allegramente Gramsci contro Marx, o addirittura Vico contro Gramsci. Eravamo sempre là, al crocianesimo di ritorno nella formazione del gruppo dirigente comunista (p. 301).

E del resto, scriveva sempre Rossanda, Marx “nessuno lo leggeva”.

Ancora da Scalfari:

La democrazia, secondo il pensiero di Berlinguer, doveva essere rispettata e difesa sempre, nessuno spazio alla "dittatura del proletariato" che Lenin patrocinava come prima fase rivoluzionaria.

Sul concetto di dittatura del proletariato la borghesia va a nozze, sempre dimentica che la “democrazia” è, a tutti gli effetti, la dittatura, mitigata, della borghesia. E per quanto riguarda la formulazione del concetto – lo dico a Scalfari –, non origina da Lenin. Vorrei poi ricordare che la democrazia come l’intende Scalfari, quella delle “libertà”, è affare di una minoranza su questo pianeta, e che sono miliardi coloro che nascono e non hanno nemmeno la possibilità di pensare a chi sono e che faranno di sé, condizione che per certi aspetti sta prendendo piede sempre più anche nella antiche metropoli industriali.

Prosegue Scalfari:

In realtà, almeno una parte del suo gruppo dirigente e perfino quella aristocrazia operaia che rappresentava la classe lavoratrice, fece propria la cultura liberal-socialista che aveva ispirato "Giustizia e libertà" e poi il partito d'azione e di cui il maestro coevo alla leadership berlingueriana fu Norberto Bobbio insieme a Galante Garrone, a Calogero, a Omodeo, a Salvatorelli, a La Malfa.

Precisa Rossanda:

… la rinuncia al “marxismo-leninismo”, formula sciagurata, non era un ritorno (anzi, per il PCI una andata) a Marx, al fine di verificare lui sull’oggi e l’oggi su di lui; era un’inconfessata attrazione per la borghesia come capace di creare un suo mondo ….

Il PCI di Togliatti e Berlinguer non aveva in proposito di rovesciare lo stato di cose presente, stante il quadro geopolitico vigente, ma di rendere agibile il conflitto sociale entro i limiti e le compatibilità accettate dalla dittatura borghese, ossia in una fase storica nella quale la borghesia poteva permettersi il “volto umano” e la tutela, conflittuale, di “certi” diritti dei salariati. Ed è proprio paradossalmente questo aspetto della questione a dimostrare quanto sia stringente la dittatura della borghesia, laddove si consideri, per esempio, la vicenda Segni-De Lorenzo e il “tintinnar di sciabole”, per non dire delle stragi senza colpevoli e coperte ancora dopo decenni – e per sempre – dal segreto di Stato.

Pertanto, personalmente non rimprovero questa strategia a Togliatti e Berlinguer, ma di averla fatta propria con ipocrisia, nascondendosi dietro la falce e martello e una denominazione che non gli apparteneva [*], perché un partito che si prefigga come strategia e obiettivo ultimo un cambiamento del vivere e del produrre nell’ambito del modo di produzione capitalistico, è un partito che aspira semplicemente a prendere parte, in qualche modo, alla gestione del potere, di farsi mediatore tra capitale e lavoro. Operazione lecita, per carità, ma non più come partito del soggetto di classe, ma come forza politica elettorale di una pluralità di soggetti con interessi diversi e spesso antagonisti rispetto a quelli dei lavoratori salariati. Con tutto il carico di conseguenze sul piano economico, sociale e politico che nel tempo lungo si sono prese la rivincita, conseguenze che oggi stiamo vivendo e subendo.


Si dirà allora: ma se il PCI non avesse fatto sua questa strategia sarebbe rimasto una forza elettoralmente minoritaria, non avrebbe potuto concorrere alla creazione di una “democrazia avanzata”. Sciocchezze, la democrazia avanzata è sempre e comunque quel tanto di democrazia che i padroni del mondo reputano conveniente concedere (s'è visto dopo la caduta del Muro).

Il PCI non prense le distanze dall’Urss denunciandone la reale natura, non verificò Marx sull’oggi e l’oggi su Marx; ma già questa premessa si scontrò dapprima con lo stalinismo della vecchia guardia e in seguito dileguò con il potpourri americanista e infine liberale e liberista della nuova leva [**].

[*] Scrive a tal proposito Rossana Rossanda: "perché erano così reticenti e lasciavano il partito nell'illusione?. [...] Se l'idea d'un rivoluzionamento – e lasciamo andare in quale modo – del sistema produttivo era già perduta, certo non era ancora cosa confessabile" (p.316).

[**] "Di Gramsci nessuno leggeva Americanismo e fordismo e moltissimi Il Risorgimento del Machiavelli", ibidem, p. 262.

7 commenti:

  1. Ottima sintesi. Ottima inquadratura della natura del PCI. Ottima demolizione dello Scalfari (borghese) pensiero ...

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  2. Peccato che i termini comunismo e marxismo vengano usati come sinonimi. Altrimenti il discorso avrebbe preso una tutt'altra piega. Come anche tutti i tuoi post.

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  3. Diciamolo un po' più chiaramente. Il PCI non ha preso le distanze dall'URSS perchè faceva parte del gioco internazionale ed era sovvenzionato da esso. Poi ha smesso di esistere infatti dopo il crollo dell'Unione Sovietica.

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  4. * E' proprio vero che si è perso il rispetto per i vecchi in questo Paese: contestare la maionese Scalfari, che si dovrà arrendere suo malgrado alla quintessenza del più puro marxismo realizzato che è il camposanto.

    * Una destra storica (borghesia bottegaia sì, cosa assai differente dalla Destra europea) in Italia non c'è mai stata, basti pensare che da Montanelli siamo passati a Sallusti che 'Lezioni di politica sociale ' piuttosto che 'Le prediche della domenica' enaudiane , tanto per dire, non sa neppure cosa siano. Che controparte, che degrado!

    * < Marx, nessuno lo leggeva > stravero, a tutti i livelli; i testi marxiani come l'Estratto per riassunto dal registro dell'albo di nascita. Solo gli addetti ai lavori si sono applicati d'ufficio seriamente sul tema, e se si desidera essere inseriti nella lista degli studiosi 'seri' andrebbero letti in lingua originale. Poi ciascuno di loro ha scritto 'Cosa ha detto veramente Marx' ,ma almeno.... sa di ciò che parla.
    L'intellettuale e il politico sono due categorie diverse (Spriano ?)

    * Oltre al pensiero di R.Rossanda è opportuno frugare nelle biografie dei dirigenti dell'epoca e si constaterà un filo comune crociano in tutta la generazione indipendentemente dalle strade ideologiche percorse.

    * PCI dell'epoca : se passiamo dai dirigenti alla base, ho seri dubbi che quest'ultima potesse prendere via diversa anche diretta da capi più 'ortodossi' nel senso leninista del termine. Questo pensiero viene più da tratti di vita percorsa che non da sintesi letterarie, pur autorevoli.
    Discorso lungo.

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  5. Bello, chiaro e diretto:

    "Quello che anzitutto il PCI non ebbe a fare, per viltà e per convenienza, fu di staccarsi dall’Urss denunciandone la reale natura, quindi di verificare Marx sull’oggi e l’oggi su Marx"

    Nella convenienza ci metterei il fatto che una discussione sull'Urss avrebbe
    dovuto mettere sul banco degli imputati il modello partito Pcus , cosa impossibile perché - in scala e con ambizioni molto più modeste - il Pci come organizzazione viveva su quella mitologia, mutuandone tutte le storture di falsa rappresentanza volte a coprire rigide e inamovibili (*) gerarchie, salvo scomuniche e abbandoni per eresia.
    Sarebbe così finita la pacchia per una pletora di funzionari e "intellettuali" bulimici che l'hanno sempre e solo utilizzato a fini di potere personale e per mangiare in tutte le greppie (sindacati, giornali, banche, assicurazioni, tv, etc. etc. e molti altri etc.).
    Vista in positivo:se non sappiamo bene che tipo di "partito" ci serve, sappiamo benissimo, per esperienza, quello che non ci serve.ciao g
    (*)Talmente inamovibili da rimanere abbarbicati al potere anche se mummificati. Come il peggior presidente della storia che ha trasformato il quir/le nella brutta copia del mausoleo di Lenin

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  6. Condivido in pieno l'analisi sul PCI: dagli aspetti culturali- la predilezione per Croce e la sostanziale rimozione di Marx che rimaneva semplicemente una icona- a quelli più propriamente politici e strategici, anche se è difficile poi stabilire dove finiscano gli uni e inizino gli altri.

    Qualcosa pero la aggiungerei:
    Berlinguer è stato un leader che ha sbagliato molto ma forse molti di questi errori gli vengono perdonati.
    Il compromesso storico fu un errore di una gravità enorme anche se per l'impianto culturale e politico del Pci di allora- come bene argomenta il post- forse le cose non potevano andare diversamente. La politica della Cgil di Lama fece poi il resto.

    La portata di tutto questo non si può non ascriverla a chi dirigeva al massimo livello il partito. A capire il disastro fu solo una piccolissima parte del partito che continuò- cambiati i tempi e le logiche- a fare i medesimi errori. Il risultato è devastante anche pensando al presente: i " non garantiti" di ieri sono diventati i precari di oggi, la "società dei due terzi " si è estesa a dismisura fino al paradigma dell' 1% contro il 99: sloganistico quanto si vuole ma che descrive la realtà di oggi...

    Non condivido affatto la "nostalghia" berlingueriana: onore all'uomo a cui va ovviamente riconosciuta una tempra e una onestà oggi sconosciute. Ha indubbiamente cercato il riscatto al disastro del compromesso storico con le giornate della Fiat prima delle grandi sconfitte sul referendum sulla scala mobile e della vittoria di Romiti. Ma gli errori suoi e del Pci hanno pesato e pesano ancora come macigni.

    E se vogliamo trovare una immagine per tutto questo non si può non pensare che a sostenere Berlinguer sul palco dell'ultimo comizio, a Padova, fu l'allora segretario della federazione di quella città, Flavio Zanonato. Futuro sindaco di Padova, per 3 volte, ministro per qualche mese, grande artefice del compromesso storico di questo decennio: quello tra Legacoop e compagnia delle opere/cl....

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    1. a proposito di zanonato aggiungo: grandissimo amico della curia patavina ......

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