venerdì 21 marzo 2014

L'Ottantanove nobile e clericale


Con questo post allungo il brodo sul precedente che trattava delle condizioni economico sociali delle diverse classi nella Francia pre-rivoluzionaria, e pure accennavo alcuni motivi per cui il basso clero e i bassi gradi dell’esercito (e della marina) non presero posizione a favore della nobiltà e si allearono, di fatto, con il terzo stato.

*

La mia Rivoluzione francese restò per qualche anno ferma al racconto scolastico, ossia al fatto, indubbiamente vero, che a “fare” la rivoluzione fu soprattutto il cosiddetto terzo stato, ossia quella classe sociale che comunemente identifichiamo con la borghesia moderna. E già in questa premessa sorgono due questioni: la prima riguarda la composizione sociale del terzo stato come classe, laddove trova posto il finanziere, il commerciante, il prosperoso padroncino delle manifatture, l’avvocato, l’intellettuale a servizio, e però anche l’operaio e il contadino. C’è qualcosa che non va in questo rassemblement [*].



Andando alla voce “Rivoluzione francese” di Wikipedia, si trova che «Il terzo Stato costituiva il 98% della popolazione”. Eppure la maggior parte della popolazione, ossia i contadini poveri, non aveva nulla a che spartire con il terzo stato inteso come borghesia. Possiamo allora ben addurre questa massa di popolazione al quarto stato? Noi oggi designiamo il proletariato salariato non come stato ma come classe sociale, tuttavia possiamo, per l’epoca della rivoluzione, considerare come terzo stato tutta la popolazione che non faceva parte degli altri due stati, ossia la nobiltà e il clero, anche se al suo interno troviamo espressi i conflitti più stridenti, quello per esempio tra il capitalista e l’operaio, ognuno con i più diversi scopi e diversi mezzi di lotta.

Insomma, generalizzare va bene, ma non dimentichiamoci le differenze, specie se cospicue.

L’altra questione riguarda invece chi appiccò il fuoco alle polveri che portarono alla rivoluzione e perché. Il 1789 ebbe, come sappiamo, una lunga gestazione e ripercorrerne qui le tappe e metterne in chiaro i singoli protagonisti dell’illuminismo non è proprio il caso, non è questo lo scopo del post e anche perché sono cose note e ripetute.

Leggiamo ancora Wikipedia: Una serie di problemi economici provocarono malcontento e disordini nella popolazione. Dopo la caduta dei prezzi agricoli della viticoltura dal 1778, la produzione industriale decadde dal 1786, mentre nel 1785 una siccità aveva provocato una moria del bestiame. Nel 1788 infine un pessimo raccolto causò una grande crisi del pane, fondamentale alimento per il popolo. Il prezzo del pane aumentò continuamente fino a quattro soldi la libbra a Parigi e otto soldi in alcune province; le condizioni dei lavoratori salariati decaddero fino alla miseria.

Quelli elencati costituiscono indubbiamente reali linee guida per comprendere le cause del forte malcontento popolare, ma di questa penuria e di tali difficoltà il popolo si era sempre fatto carico, suo malgrado ovviamente, e si era anche contrapposto con rivolte (basti leggere Il carnevale di Roman di Le Roy Ladurie); ma per una rivoluzione – e quale! – ci vuole ben altro. Va meglio con la questione della crisi fiscale e il gravame poggiante sulle spalle del terzo stato, e facciamo buona pure la classica idiosincrasia per la regina straniera (mal comune mezzo gaudio direbbe Caterina de’ Medici, che pur fu una grande regina in un’epoca di tempesta), ossia il solito sciovinismo d’oltralpe che fa sempre colore e dà lavoro a romanzieri e cineasti.

Un po’ meno noto (a scuola ricordo qualche accenno ma non si approfondì, allora l’argomento era troppo ai confini degli schemi interpretativi correnti in quell’ambito) è che ad accendere quelle polveri fu, “paradossalmente” scrissi nel post precedente, la nobiltà; soprattutto quella che viveva del saccheggio delle ricchezze nazionali, ossia delle prebende dirette e indirette distribuite dalla corte, con pensioni, incarichi, regalie, privilegi vari.

Nel post precedente accennai anche al ministro delle finanze Calonne, quando comunicò ai notabili da lui convocati il 27 febbraio 1787 che nessun prestito poteva più essere contratto, e che l’unica soluzione era aumentare le entrate e diminuire le uscite, e tutte e due le cose erano impossibili a spese della solita classe sociale perché non c’era più nulla da depredare. Fu cacciato, ovviamente.

I successori di Calonne, non potendo fare altro, dovettero proseguire la politica volta a tagliare le spese e ad aumentare le imposte ai privilegiati (qui in Italia siamo oggi molto distanti da simili misure a carico della borghesia grassa e dell’élite parassitaria di Stato), e questi si convinsero che la monarchia non era più in grado, come già scrissi nel post precedente, di assicurare il loro futuro sfruttando la Francia nelle proporzioni fino ad allora garantite. Tutti coloro che avevano trovato il loro unico sostegno nella monarchia, vale a dire la nobiltà, il clero, i parlamenti locali, e anche quella parte del terzo stato che sfruttava le cospicue commesse pubbliche, accecati dall’ira, passarono su un terreno rivoluzionario.

Nel maggio 1788 tutti i parlamenti sospesero i propri lavori; il clero si rifiutò di pagare qualsiasi imposta alle finanze dello Stato finché non fossero convocati gli Stati generali; nelle province la nobiltà si sollevò con le armi e nel Delfinato, in Bretagna, in Provenza, nelle Fiandre e in Linguadoca si arrivò a generali e gravissimi disordini. Siamo ad oltre un anno prima della Bastiglia. C’era dunque un grande disordine sotto il cielo di Francia, non solo perché scarseggiava il pane e per i giochi erotici della regina delle brioches nel suo boudoir.

Vediamo dunque che attorno agli anni 1787-’89 sono i nobili privilegiati e il clero a mobilitarsi per primi, così come avvenne, per altri versi, nel 1917 in Russia, o più recentemente in Portogallo, nel 1974, con la rivolta dei capitani dell’esercito appoggiata dalla borghesia locale. Questo succede quando le élite vedono minacciati o non più garantiti i propri interessi. Le élite hanno i mezzi, controllano i posti chiave dello Stato, sono in una posizione ideale per fare la guerra di classe, la loro. La stessa cosa avviene, mutatis mutandis, oggi. La differenza col passato è che i rapporti di forza sociali sono favorevoli alla classe degli sfruttatori, non c’è un terzo stato come nel 1789 che può ribaltare la situazione, non c’è un proletariato armato dalla guerra che assalti il Palazzo come nel 1917.

[*] Nessun contadino, nessun diretto rappresentante delle classi popolari urbane riuscì a ottenere un seggio agli stati generali, e gli articoli dei cahiers di parrocchia che non presentassero motivi d'interesse per i borghesi erano tutti scartati.


[continua, forse]

7 commenti:

  1. È vero, ognuno a combattere la sua piccola battaglia locale senza che vi sia chi le coordini in una lotta unica.

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  2. Fa bene Olympe ad occuparsi ottimamente della Rivoluzione francese. Stavo giusto cercando una ghigliottina giù in cantina quando ho sentito quello che ha detto Moretti, il manager dei pendolari, su stipendi e merito. E allora mi sono messo a frugare giù in cantina con ancor maggiore furia.

    Che dire poi del ministro Coop Poletti, secondo il quale "il lavoro è figlio di una libera scelta tra i soggetti"? Si può discutere di cosa sia figlio il lavoro. Invece ho un'idea abbastanza precisa di cosa o chi siano figli i personaggi come Poletti.

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  3. Io spero che continua senza..."forse".

    Ciao Olympe

    Franco

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    1. se me lo chiedi così, allora sì, anche perché reputo di chiarire perché la necessità storica s'impose alle singole volontà: la storia si ripresenta sempre nelle sue leggi fondamentali di movimento (materialismo dialettico), spetta a noi comprenderla secondo una corretta concezione (materialismo storico)
      se nelle scuole s'insegnassero queste due cosette fondamentali, gli studenti ne trarrebbero giovamento e gli insegnanti di storia verrebbero visti con molta più considerazione
      ciao

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  4. Suppongo si intenda Storia europea o occidentale, quindi Tempo lineare.
    Non siamo i soli al mondo.

    *****
    Forse è meglio riporre la ghigliottina.

    LB

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  5. “ I film vanno visti fino alla fine” è una metafora cinefila che riserva aspetti tutt’altro che scontati o superficiali, e qui l'uso degli ausiliari è determinante. Per qualche spettatore il pagamento del biglietto non dà la prevista garanzia di arrivare al fatidico the end del suo genere preferito per una banale asincronia di tempo, costretto purtroppo a immaginare lo script come se fosse un generico 'peplum’ a sfondo escatologico.
    Totò le moko o il Settimo sigillo - cavaliere: Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere) -

    Potremmo allinearla ad un’altra espressione nota a coloro che praticano l’ambiente : “ one shot ” relativa a quelle scene che si possono girare una sola volta. “Buona la prima” anche perché la seconda non è possibile.

    Una truffa,comunque vada.

    lr

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