Il dottor Stranamore era un “documentario”, non un’opera di finzione.
Con la fine della Guerra Fredda molti pensavano che il mondo avesse superato la politica del rischio nucleare delle grandi potenze. Dopo la Guerra Fredda, sia gli americani che gli europei hanno perso, in larga misura, la paura per la guerra nucleare. Almeno inconsciamente sono arrivati a credere che questo fosse un vecchio problema, qualcosa che abbiamo superato con la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica.
In realtà, negli ultimi anni, i pericoli di un’escalation nucleare sono aumentati, e non diminuiti. In parte ciò è dovuto al fatto che siamo diventati sprezzanti nei confronti di questi pericoli. In parte ciò è dovuto al fatto che molte delle linee rosse che erano state stabilite nel periodo della Guerra Fredda per gestire i pericoli di quel tipo di escalation sono scomparse o sono diventate labili.
Non c’è quel tipo di dialogo come ai tempi di Kennedy e Krusciov che permise di trovare una via d’uscita dalla crisi missilistica cubana. In questo momento, le due parti non si parlano. Non esistono le misure necessarie per prevenire l’escalation: l’allora Anatoly Dobrynin, ambasciatore sovietico durante la crisi missilistica cubana, è oggi Anatoly Antonov, l’ambasciatore russo a Washington, quasi una persona non gradita.
Gli Stati Uniti, nella loro arroganza, hanno perso l’abitudine allo scambio diplomatico durante il periodo successivo alla Guerra Fredda. Non c’era alcun potere paritario nel mondo, nessun’altra potenza si avvicinava al grado di potenza militare ed economica degli Stati Uniti.
Una potenza unipolare che riteneva di non dover stringere accordi, di dover scendere a compromessi con altri paesi. La tendenza era quella di dire agli altri che cosa andava fatto e quando si rifiutavano giungeva subito la minaccia. Washington ha rinunciato alla diplomazia che sarebbero normalmente richiesta in un ordine mondiale caratterizzato da maggiore equilibrio.
Negli Stati Uniti la Russia è diventata una questione di politica interna e non di politica estera. C’è la convinzione di avere a che fare con un problema di deterrenza. Il modo migliore per trattare con la Russia è mostrare la propria determinazione, schierando truppe e armamenti ai suoi confini, facendole capire a cosa va incontro se non si tirerà indietro.
È sulla base di tale strategia e mentalità che si è arrivati alla guerra in Ucraina. Si è stabilita così una spirale di escalation, e, contrariamente a quanto si può pensare, una simile spirale aggrava la situazione. Con il recente nuovo finanziamento per l’invio di armi a Kiev si è raggiunto un punto estremamente pericoloso.
È ovvio che entrambe le parti vogliono evitare la guerra nucleare, ma ci sono diversi modi in cui ciò può accadere. Uno è accidentale: più a lungo va avanti la guerra, più gli Stati sono in essa invischiati, più sei in quella situazione, più alte diventano le possibilità di incidente.
Il sostegno militare all’Ucraina potrebbe diventare così determinante sul campo di battaglia da far decidere a Putin di non avere altra scelta se non quella di attaccare quel sostegno. Finora si è astenuto dal farlo, o è intervento su scala relativamente limitata nell’interdizione delle forniture militari occidentali destinate al fronte ucraino. Certamente non ha attaccato le fonti di tale sostegno, ma potrebbe vedersi costretto a farlo.
Se la Nato entra sempre più nel conflitto, posto che la Russia non è disposta a contemplare la sconfitta, la guerra si trasformerebbe rapidamente in livelli nucleari tattici e poi strategici. Il deterrente nucleare russo ha lo scopo di scoraggiare le minacce esistenziali alla Federazione russa, indipendentemente dal fatto che siano nucleari o minacce convenzionali.
Non comprendere questo significa non avere chiaro come possa evolvere realmente lo scenario di guerra in Europa. Significa non comprendere che in questa guerra non è coinvolta la Serbia, tanto per dire, ma è in gioco la stessa sopravvivenza della Federazione russa, vale a dire una delle superpotenze nucleari del pianeta.
Oggi, a differenza del periodo della Guerra Fredda, quando in realtà le uniche armi che potevano rappresentare una minaccia strategica alla sopravvivenza degli Stati Uniti o dell’Unione Sovietica erano solo le armi nucleari, questo non è più vero. Oggi, le armi convenzionali possono, attraverso il loro puntamento di precisione e il loro potenziale esplosivo, rappresentare il tipo di minaccia che solo i missili nucleari rappresentavano.
Mi sembra chiaro che di fronte a una tale situazione, auspicata da Kiev, la Russia si vedrebbe costretta a ricorrerebbe al nucleare per reagire. Continuare ad alimentare questa guerra e introdurre armi sempre più potenti e di più lunga gittata, è una formula per una rapida escalation fino a un conflitto nucleare strategico.
Quando c’è un attacco in arrivo, questo è rilevato dal sistema di allarme. Ciascuno dei leader coinvolti, i presidenti degli Stati Uniti e della Russia, non si accontenterebbe di aspettare per vedere l’effetto di quegli attacchi in relazione alla propria capacità di ritorsione. Ciascuna parte agirebbe molto rapidamente, in modo di limitare i danni alla propria parte. L’incentivo è quello di fare le cose in grande, non di sedersi e aspettare e sperare che l’altra parte stia conducendo una sorta di attacco dimostrativo.
Sarebbe una cosa molto difficile da gestire e con pochissimo tempo per prendere decisioni irrevocabili. Queste armi possono raggiungere i propri obbiettivi in pochi minuti, e il tempo in quei frangenti passerebbe in fretta come non mai. In quei momenti cruciali, i responsabili politici e militari in quale stato psicologico ed emotivo si troveranno? Saranno sobri, saranno assonnati, saranno preparati e sufficientemente informati e ben consigliati?
Chi sottovaluta il rischio nucleare, ignora come sia diventato delicato il meccanismo d’innesco della risposta e come questa non si attivi necessariamente con una delle tre valigette Zero Halliburton rivestite in pelle (spetta al Centro di Comando del Pentagono avviare la procedura).
Sembra una barzelletta, ma dal 1962 al 1977 il codice di lancio dei missili nucleari era composto semplicemente da otto zeri! Oggi, i codici a disposizione del presidente, e che poi permettono al Pentagono di lanciare missili, non solo sono generati automaticamente dalla NSA, ma compaiono anche, sul cookie, tra altre serie di numeri. Il presidente deve quindi sapere dove si trova esattamente il suo codice. Una precauzione in più in caso di furto della carta (il “biscotto” che porta con sé).
Possiamo immaginarci Biden o Trump, mentre si stanno ancora infilando i calzoni, con decisioni da cui dipende la sopravvivenza stessa dell’umanità e alle prese con questa procedura? Questa è solo letteratura, roba da film. Infatti, Bill Clinton aveva smarrito il biscotto per diversi mesi nel 2000, e i presidenti Gerald Ford e Jimmy Carter lo lasciarono entrambi in un abito che andò in tintoria. Nel marzo 1981, dopo l’attentato a Ronald Reagan, il militare incaricato di portare la valigia non riuscì a salire sull’ambulanza. Raggiunse rapidamente il presidente in ospedale e, una volta lì, si rese conto che mancava il biscotto. La piccola tessera è stata infine ritrovata in una delle scarpe del presidente, in sala operatoria.