Gli eroi morti sono come questo mondo che sta per finire e che non smette mai di celebrarli: stanchi. Prendiamo Raymond Maufrais, del quale sto leggendo i diari pubblicati postumi, a differenza di Ulisse, dal suo viaggio non ritornò più a casa.
Nessuna Penelope attendeva il suo ritorno, tranne i suoi genitori. Invano. Raymond era un giovane uomo che non si sentiva a suo agio in nessun luogo della terra. È anche tornando a casa si sarebbe sentito estraneo. Ulisse era sfuggito all’ira di Poseidone, alla lussuria dei pretendenti, Raymond doveva sfuggire solo a sé stesso.
Il suo cane riconobbe Ulisse, mentre Raymond dovette uccidere il proprio per cibarsene. Nel 1736 Voltaire concludeva la sua poesia Le Mondain con un verso famoso: “Il paradiso terrestre è dove sono io». Una cosa è certa: quando lo scrisse non era nella foresta della Guiana francese. E Raymond non si trovava dove avrebbe potuto scrivere del paradiso.
«Questa sera sono invitato dai Bush a mangiare lucertola acquatica e riso. Un gran piatto nel centro, e ciascuno, cucchiaio la mano, vi attinge senza restrizioni. Mi piace dividere così, al chiarore del fuoco, la vita dei primitivi. Per questo ho intrapreso questo viaggio, per condividerla pienamente, senza essere infastidito da gente saputa.
«I Bosch hanno cantato buona parte della notte, ha fatto freddo, ha piovuto, impossibile dormire. All’alba scorgo su un ramo di un albero caduto, a pochissima distanza, una superba iguana. Senza alzarmi, dato che ho la carabina a portata di mano, sparo. Cade e lo recupero. Cotto con riso, mi serve da prima colazione» (p. 90).
Improbabile il parallelo tra Ulisse e Raymond, e non so se il francese avesse letto Omero. Potrebbe essere stato astuto come il greco, ma non è mai stato il re di una grande isola e anzi non lo fu di niente. Fin da subito un birichino, e dopo tante avventure non sempre consigliabili (anche Ulisse non è sempre stato un bravo ragazzo, la virtù permanente non caratterizza gli eroi), ha finito per incarnare, a modo suo e per poco, il mito dell’intrepido viaggiatore, forgiato in tante prove che ne basterebbe una sola per mandare sottoterra chiunque di noi.
P.S. Leggere libri, lo dichiara Micheletto Pistolotto, che ha la passione per il cattivo gusto, non serve a nulla. Lo conferma il ministro della cultura che sta dando spettacolo di terz’ordine (e non capisce che la questione non è solo quella del bilancio o dei sussidi, di non promuovere ciò che non deve essere promosso, ma quella dell’intelligenza), e l’intero governo (la cui aspettativa di vita va, ahimè, oltre questa legislatura) con l’adottata strategia della volgarità. Non è solo cinismo: “Il cattivo gusto”, disse Stendhal, “porta al crimine”.
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