Che cosa dicevano gli aristocratici dell’ancien régime (e i loro manutengoli)? Che quello vigente era il miglior sistema sociale possibile. La borghesia e il proletariato erano classi necessarie ma pericolose. Ed infatti la borghesia, non appena le fu concessa l’occasione, divenne sommamente rivoluzionaria. Non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo “pagamento in contanti”, per dirla con Marx.
Instaurò un regime di terrore e mandò al patibolo migliaia di aristocratici e anche di plebei. Joseph Fouché, il futuro ministro di polizia di Bonaparte, venne soprannominato il “mitragliatore di Lione”. In sostituzione della ghigliottina, troppo lenta, usava il cannone a mo’ di mitraglia. Perfino quel terrorista di Robespierre lo accusò delle misure eccessivamente dure. Le rivoluzioni non sono un pranzo di gala, disse qualcuno.
È lo stesso refrain dei liberali di oggi: quello vigente è il miglior sistema sociale possibile. Vige la libertà e la democrazia, che altro volete? Ogni tanto fa capolino qualche guerra, ma esse sono combattute proprio in nome e per conto della “democrazia”. Da esportazione, come le vecchie sigarette.
Il determinismo teorico di questi soggetti equipara fascismo, nazismo, comunismo, stalinismo, bonapartismo e quant’altro alla voce “totalitarismo”. Tra l’altro trascurando che ogni rapporto sociale è stato trasformato in un puro rapporto di denaro e non vi è nulla di più totalitario del potere del denaro, cioè del capitale.
Non dobbiamo dimenticare che la verità è sempre concreta e che la storia ci parla di tutt’altro di una semplicistica equiparazione (che lasciamo volentieri agli sciocchi) di “totalitarismi”. Chiunque operi nell’ambito della teoria utilizzando categorie astratte è condannato a una cieca capitolazione di fronte ai fatti.
Che cosa sia stato il comunismo in versione novecentesca, ossia in versione stalinista-maoista, lo sappiamo. Ed è comprensibile che i “liberali” battano su quel tasto per fare di ogni erba un fascio: non gli resta altro per la loro propaganda. Dunque non vale la pena addentrarsi in distinzioni e precisazioni.
Quanto al fascismo originario, è un movimento di origine plebea, e viene utilizzato dalla borghesia italiana, profondamente opportunista, per regolare i conti con i partiti di sinistra, con l’insorgenza operaia e contadina (ricordiamoci che nel primo governo Mussolini c’erano dentro tutti i partiti “democratici”). In Germania, le motivazioni su cui si basa l’ascesa del nazismo saranno sostanzialmente diverse e prenderanno vigore con la crisi economica e parlamentare degli anni Trenta.
Quanto al capitalismo tedesco, era nato con un certo ritardo e si è trovato privato dei privilegi derivanti dalla primogenitura (stessa cosa che accadde all’Italia). Si trovò di fronte alla necessità, in un momento in cui il mondo intero era già diviso, di conquistare i mercati esteri e di procedere ad una nuova divisione delle colonie, già spartite. Al capitalismo tedesco non era dato di nuotare nella direzione della corrente, di abbandonarsi al libero gioco delle forze. Solo la Gran Bretagna ha potuto permettersi questo lusso, e solo per un periodo storico limitato.
L’intera vicenda storica della Germania si sviluppa da queste premesse. Il capitalismo tedesco non poteva permettersi il “senso della misura” che caratterizza il capitalismo britannico e, in parte, quello francese, saldamente radicati e dotati di riserve sotto forma di ricchi possedimenti coloniali. Per la Germania sarà un concatenarsi di vicende (vale la pena ricordare che fu grazie alla socialdemocrazia che il governo Brüning ottenne il sostegno del Parlamento per governare attraverso leggi di emergenza) in cui il nazismo trova una sua chiara ragion d’essere. E ciò che vale per la Germania vale per l’Italia, la Russia, eccetera.
Equiparare Mussolini, Hitler, Franco, Salazar, Chang Kai-shek, Masaryk, Brüning, Dollfuss, Pilsudski, Primo de Rivera, il re serbo Alessandro, Severing, MacDonald, ecc., è sbagliato e fuorviante. Gli interessi della classe dominante non si sono mai adattati alla democrazia “pura”, che non esiste, talvolta aggiungendovi qualcosa e talvolta sostituendola con un regime di aperta repressione. Questi regimi si esplicano ognuno a modo loro, necessariamente in tutti i tipi di situazioni transitorie e intermedie.
Allo stesso modo è fuorviante equiparante i fascistoidi di oggi al fascismo mussoliniano, prescindendo da certe figure caricaturali, slogan e atteggiamenti nostalgici (*). Quella che è stata definita come democratura ha motivazioni e forme sostanziali molto diverse. Agisce in una situazione sociale e politica, interna e internazionale, molto articolata e contraddittoria, come dimostra in modo evidente il regime ungherese (e ciò dimostra sufficientemente l’importanza di distinguere la forma di potere orbaniana da quella fascista classica).
Dunque giudichiamo il fascismo quale è oggi, senza l’orbace e l’olio di ricino. Per esempio, il mercato del lavoro: buono, giusto e duro, quello in cui il lavoro si vende e si compra come le patate. L’uberizzazione della società che ha smantellato le tutele, messo la propria firma sullo Jobs act, che ha tagliato la sanità, dato solidi alle scuole private, ingrassato le banche e migliaia di gestori privati di acqua, luce, gas, eccetera.
Il governo Meloni (la cui vera base politica è l’ondivaga piccola borghesia), così come i governi che l’hanno preceduto e quelli che lo seguiranno, è lo strumento dell’ordine europeo e atlantico. Agisce in una situazione sociale e politica interna di crisi e contrapposizione, latente ma non assente, laddove il parlamento ha rinnegato sé stesso, un parlamento del quale i governi sempre più volentieri fanno a meno. Man mano che gli esecutivi diventano indipendente dalla società, aumenta la disaffezione e l’astensione dal voto (i media tendono a dare l’interpretazione opposta!).
La reiterata riproposizione di “riforma costituzionale”, il coniglio dal cilindro, ha il solo compito di adeguare le istituzioni statali alle esigenze e alle comodità di esecutivi sempre più autocratici. Il grande capitale cerca vie legali che gli consentano di imporre ogni volta alla nazione il miglior arbitro con il consenso forzato di un parlamento delegittimato ed esautorato. Le forme essenziali della democrazia restano, ma sostanzialmente e progressivamente rese inerti.
Tutto ciò avviene nel quadro della contraddizione tra lo sviluppo delle forze produttive dell’umanità da un lato, il prevalere dei grandi monopoli e degli interessi degli Stati nazionali dall’altro. Per l’Occidente è finita un’epoca di sviluppo pacifico e ordinato (a spese degli altri), dunque volenti o nolenti dovremo adattarci alle esigenze di Washington, che sono mutate e ci preparano alla guerra.
(*) Ho apprezzato Massimo Magliaro (personaggio a me altrimenti inviso “a pelle”), che ha avuto il coraggio di dire di essere fascista. Il coraggio di un momento, per poi tornare ad essere pavido come tutti quelli che per opportunità mascherano ciò che sono e pensano. Nel dichiararsi fascisti non s’incorre in alcun reato e spesso, secondo sentimento diffuso, nemmeno in una qualsiasi condanna morale.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiEliminaBah, prima me lo pubblichi e poi lo elimini?
EliminaE poi scusa, era una critica civile, un pacifico contraddittorio.
Non lo accetti? Devo aver toccato un nervo scoperto!
non so perché sia spartito, forse un errore. rimandalo se puoi, magari usa anche un nick name
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