mercoledì 2 febbraio 2022

L'inflazione di un tempo e quella di oggi

 

Il lupo cattivo dell’inflazione è tornato, facendo un bel balzo in mezzo a noi. I banchieri centrali e i ministri delle finanze fingono preoccupazione per una possibile spirale inflazionistica, tipo quella degli anni 1970, che vide come l’aumento dei prezzi portasse ad aumenti salariali in una spirale senza fine. Questo non è possibile se ricordiamo un fatto ovvio: i prezzi non aumentano da soli, e tantomeno i salari.

Un po’ di storia non guasta mai (neanche la geografia, s’è per questo). Facciamo il caso dell’Italia, ma ciò vale in gran parte anche per altri paesi. Se negli anni Settanta i salariati hanno potuto ottenere aumenti rincorrendo l’inflazione, ciò era dovuto a una situazione politico-sociale (anche internazionale) completamente diversa da oggi.

Solo per cenni: la disoccupazione e il precariato erano più bassi di oggi, vigeva la scala mobile, il sindacato non annoverava solo pensionati, i rapporti di forza tra padronato e lavoratori non erano certo quelli attuali, il PCI era a un passo dal “sorpasso”, il movimento studentesco dava ancora segni di lotta, non c’era la globalizzazione che conosciamo oggi e le aziende non erano soggette a una concorrenza troppo forte sul mercato nazionale e internazionale.

Oggi, la situazione s’iscrive in un contesto squilibrato dei rapporti di forza tra le classi sociali e della divisione del lavoro sul piano mondiale. Ciò impedisce ai dipendenti anche solo di pensare di chiedere aumenti salariali. La fortissima concorrenza ha fatto perdere ai dipendenti e a molte aziende locali il loro potere di mercato, la capacità di aumentare il prezzo di ciò che vendono (la forza-lavoro) e producono (le merci).

Anche se ci saranno degli aumenti monetari, si tratterà di un recupero molto parziale rispetto a salari mantenuti troppo bassi da molto tempo, in assenza di automatismi di recupero del carovita e aziende sempre a minacciare la cosiddetta delocalizzazione (*).

È un fatto aritmetico che se i salari e gli stipendi non riescono a stare agganciati all’inflazione, c’è un declino della domanda, dapprima nei settori dei cosiddetti beni voluttuari poi esteso a tutti i settori merceologici. In un regime di mercato classico ciò comporterebbe un riequilibrio, ossia una diminuzione almeno parziale dei prezzi. Tuttavia un mercato di quel tipo appartiene a epoche remote.

Diversi sono i fattori che alimentano l’inflazione attuale, in primis, almeno temporaneamente, le difficoltà di approvvigionamento delle filiere produttive; quindi i provvedimenti finanziari per la pandemia, e prima ancora quelli anticiclici per superare la crisi, con le monete completamente sganciate dall’oro, faccenda troppo spesso trascurata, non a caso però, dagli analisti.

Quanto al ruolo del capitale monopolistico multinazionale, esso si caratterizza per la sua possibilità di controllare ampie quote del mercato mondiale, per cui è relativamente meno dipendente dalla legge della domanda dell’offerta. Per conservare i suoi profitti, compie un’operazione che sarebbe impossibile in un regime di libera concorrenza: alza i prezzi delle proprie merci e ne riduce parallelamente le quantità prodotte.

In tal modo i capitali più forti adattando “soggettivamente” l’offerta alla domanda, cercano di contrastare la tendenza generale alla sovrapproduzione di merci. È chiaro che così facendo non risolvono la contraddizione, anzi l’aggravano, scaricandola sui capitali dei settori più deboli. Gli extra-profitti che si pappano non sono altro che un prelievo forzato dei già scarsi profitti degli altri capitalisti.

Essendo il capitale monopolistico centrale nel tessuto economico e dominante per la sua strategia nella produzione, è evidente come l’aumento dei prezzi dei suoi prodotti induca per “simpatia” un aumento dei prezzi delle altre merci, quindi un processo inflazionistico generale.

La grande borghesia ha lavorato bene, mentre ci intratteneva con canzonette e dibattito politico sul nulla. Solo un evento traumatico su scala mondiale potrebbe creare i presupposti per un’inversione di rotta. Con quali costi umani e sociali non è dato prevedere.

(*) Da tempo, lo Stato è obbligato ad assumersi tutto il peso della riproduzione generale delle classi (redditi di assistenza, ecc.), cioè in via tendenziale a spingere la sua spesa oltre ogni ragionevole possibilità finanziaria, creando sempre nuovo debito pubblico. Il debito pubblico è un’arma che la borghesia ha sempre saputo usare a proprio vantaggio, sia come mezzo di arricchimento e sia come strumento di pressione politica e sociale.

Qualsiasi nuova inflazione spinge al rialzo i tassi d’interesse, il che è problematico in un Paese come il nostro il cui debito pubblico quasi doppia il Pil. Questo pericolo non è immediato, né troppo vicino: il tasso medio d’interesse che lo Stato pagherà sul proprio debito negli anni a venire rimarrà molto basso, poiché ciò dipende soprattutto dai tassi con cui è stato venduto il debito negli ultimi anni, che è in generale inferiore all’inflazione attuale e lo sarà ancor più di quella futura se dovesse aumentare ancora, com’è probabile. L’aumento dei tassi si applicherà solo al debito di nuova emissione.

L’aumento dei tassi d’interesse verrà utilizzato (è solo questione di tempo) dal governo per terrorizzarci, per tenerci buoni e non rompere il cazzo con richieste di aumenti salariali e delle pensioni. Il padronato continuerà a chiedere sgravi contributivi e altri aiuti di Stato, di abbassare le tasse “sia per le famiglie e sia per le imprese”, ma sappiamo che ai redditi più bassi toccheranno solo le briciole (quando va bene): evviva il nuovo debito pubblico creato dai folli regali alle imprese e alle famiglie benestanti.

3 commenti:

  1. Commento un po' in ritardo... Un post che non ha bisogno di commenti.

    Nel mondo ci sono due enormi gravi ingnoranze sistemiche, quella scientifica e quella economica.
    Gli anni che stiamo vivendo ne sono la prova.

    Mesi fa, in tempi non sospetti dicevo a mia moglie... "Mi fa ridere che ci raccontano che l'Europa ci regala i soldi del PNRR. Come se a immettere numeri su un computer si facesse molta fatica. Whatever it takes (it takes just a few clicks!!)."

    Poi a pagare le conseguenze di questa iniezione di capitale (mi viene da piangere a chiamarlo capitale) saranno i soliti scemi che credono che il denaro abbia ancora un valore intrinseco.

    Io so solo una cosa, comprare asset fisici al più presto. Da capire se oro puro o sterline. O diamanti. Prima possibile. Tu che ne pensi?

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    1. penso che bisogna avere abbastanza denaro per acquistare oro, diamanti e cose del genere.

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    2. Ahahhahah hai ragione. Io prenderò un po' di sabbietta dorata :-/

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