venerdì 4 febbraio 2022

Libertà, per fare cosa?

 

Siamo sempre più condizionati e controllati dalle macchine e dai logaritmi, oltre che dagli strateghi ideologici del nostro tempo, che ci hanno convinto che le macchine “intelligenti” ci sostituiranno in tutto, e ne dobbiamo essere ben felici: tutto è più rapido, facilitato, meno faticoso, più economico, asettico, impersonale. Tra un QR e l’altro ci dimenticheremo che la vita ha un senso solo se è basata sulle relazioni umane.

E dunque dove comincia e dove termina per noi moderni la nostra vantata “libertà”?

Libertà, per fare cosa? Questo era il titolo di una raccolta degli ultimi testi di Georges Bernanos, morto nel 1948. Profetizzò il disastro della società attuale: anime vuote, meccanizzazione dei corpi, controllo delle menti. All’epoca lo prendevano per un vecchio puzzone, monarchico e cattolico per di più. Cosa non avrebbe detto vedendo i ragazzi piegati sugli schermi dei cellulari, la realtà affidata allo spettacolo televisivo e dei social network, l’umanità minacciata di estinzione? Tutto questo all’insegna della libertà!

«C’est précisément la question que le monde moderne est en train de poser à notre espèce, car je crois de plus en pus que ce monde est un monde totalitaire et concentrationnaire en formation, qui presse chaque jour en plus sur l’individu libre, ainsi qu’autour d’un navire la glace qui commence à prendre, jusqu’à faire éclater la coque» (La liberté pour quoi faire? Gallimard 1953, p. 104).

Checché ne abbia detto in varie occasioni il presidente Mattarella (dalla situazione pandemica sono “nate opportunità di rilancio per costruire una realtà più giusta e inclusiva”), il mondo che verrà è già qui: non cambierà dopo il virus poiché quest’ultimo è sempre e solo uno dei nomi, una delle forme inventate dal sistema per perpetuare il suo regno pervasivo, per stringere ulteriormente le nostre catene. Eravamo già schiavi del sistema, del grande dispositivo, tanto che non abbiamo nulla da sperare se non un peggioramento delle nostre condizioni di vita, e del nostro servilismo, che non sarà premiato, ma punito.

La retorica invocazione di giustizia ed equità è schernita nei fatti. I governi e le élite (caste di arricchiti, di capi e sottocapi, di tecnici gonfi della loro posizione, giornalisti grandi firme sicuri della loro sufficienza), hanno in mente una sola cosa: non l’interesse di tutti (ma quando mai), bensì di mantenere a tutti i costi, anche se a volte sembrano scendere a compromessi, il sistema all’interno del quale hanno acquisito ricchezza e potere.

Certo, sono salve le forme democratiche di dittatura, ancora non è impedito di proclamare che è assolutamente necessario cambiare questo mondo, che è imperativo imporgli un’uscita umana, una vera svolta antropologica, una rivoluzione non solo ecologica, ma di tutti i nostri modi di pensare. E poi? Scopriamo di essere impotenti, che si salveranno le banche, si riporteranno all’ottimismo i mercati finanziari non appena gli speculatori faranno sentire il loro scontento, insomma si distribuiranno quattrini soprattutto a chi non ne ha di bisogno. E ognuno di noi continuerà a sopravvivere e a morire in un mondo conquistato totalmente dal mercato e dalla tecnologia e però perso per la libertà.

7 commenti:

  1. cara Olympe, ti ricordo sommessamente che c'è anche chi non si è fatto vaccinare inutilmente.

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    1. chi ha scelto di non vaccinarsi, merita rispetto; al pari di chi ha scelto diversamente. pertanto reputo inappropriato stabilire che chi ha scelto per il vaccino l'ha fatto inutilmente.

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    2. mai detto questo, parlavo per me, saluti

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    3. E' possibile, ripeto "possibile" (anche se per me probabile), che chi sceglie di non vaccinarsi possa infettare più facilmente qualcuno che la pensa diversamente. Le scelte personali vanno rispettate ma quelle di tutti. Anche la mia.

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    4. Io mi sono dovuto vaccinare (con grande rabbia) perché altrimenti non lavoravo. Sono un ultracinquantenne!
      E questa è la libertà che ti concede questa democrazia,una libertà subdola.

      Saluti a tutti.

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  2. Dacché ho memoria sento discorsi apocalittici (guerra termonucleare globale, piogge acide, buco nell'ozono, effetto serra, impatto d'un meteorite, ecc.) e qualche flebile voce millenarista (los de abajo prima o poi si solleveranno), nel frattempo ho visto il capitalismo cambiar pelle e rigenerarsi. Mi sono dunque domandato: può il capitalismo raggiungere una condizione omeostatica, con una società composta da soggetti che non aspirano, né tantomeno immaginano un mondo alternativo, libero dallo sfruttamento e dalla sottomissione disciplinata? La risposta l'ho trovata per caso leggendo un saggio, non recentissimo, di Antonietta Pastore, "Nel Giappone delle donne"; il testo descrive come possono realmente coesistere principi arcaici ed estrema modernità consumistica, senza alcuna istanza etica a rompere le scatole.
    (Peppe)

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    1. No, il capitalismo non può raggiungere una condizione omeostatica, così come non l’hanno raggiunta precedenti formazioni economico-sociali. Il cambiamento non avviene per motivi etici, ma per l’agire di leggi intrinseche. Non è vero nemmeno che il capitalismo ha cambiato pelle e si è rigenerato. È passato da una fase di sviluppo a un’altra, ma nelle sue leggi fondamentali, connesse al processo di accumulazione, e dunque nelle sue dinamiche intrinseche, il capitalismo non è mutato di una virgola. Tutt’ora le condizioni di lavoro si presentano come capitale a un polo e dall’altro polo si presentano persone che non hanno altro da vendere che la propria forza-lavoro. Dunque non mi pare che il capitalismo, nell’essenziale sia cambiato. È altresì vero che è soggetto, in forza di quelle sue stesse leggi, a tendere verso altro, a rompere ogni precario equilibrio raggiunto (ma questo è un discorso che va ben oltre poche righe). Poi, a livello sociale, certo, le cose cambiano in continuazione e con loro anche noi. Anche le geishe vestono Prada.

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