venerdì 25 febbraio 2022

Putin a lezioni di storia

 

Il giorno dopo “le ore più buie dell’Europa”, le Borse si stanno riprendendo, compresa quella moscovita. Il prezzo del gas è in forte discesa e anche quello del petrolio. La limited war, come dicono quelli che con contrizione consumano roast-beef guardando le immagini che giungono dal “fronte”, è stata un buon affare per chi ha comprato ieri per rivendere in apertura oggi. Con un indefinibile senso di colpa, va da sé, come quando scartano Ferrero Rocher guardando il TG2 che trasmette “una pioggia di missili” che cade sull’Ucraina, poi rivelatasi un filmato del videogame War Thunder. Succede di sbagliare filmato, ma mai al contrario.

Tutte le partite del weekend inizieranno con 5 minuti di ritardo, in quanto la proposta di ritardarle di 15 minuti è stata respinta unanimemente dai club. Va bene prendere posizione, ma non esageriamo.

Andiamo sulle cose serie. Nel settembre scorso, uno studente liceale, Nikanor Tolstykh, ha corretto il presidente russo Vladimir Putin, in versione professore di storia in occasione del primo giorno di scuola, provocando l’ira della preside Yulia Ryabtseva, che ha denunciato una “certa arroganza” del giovane, privo di “modestia”. La preoccupazione della direttrice è stata subito placata dallo stesso Putin che ha ringraziato il giovane della correzione.

Che cosa era successo? Lo studente ha corretto Putin sostenendo che la Guerra dei Sette Anni non si chiama così, bensì Guerra del Nord. Chi dei due aveva ragione? Entrambi. Generalmente è nota come Guerra dei Sette Anni, ma per esempio i tedeschi e gli austriaci la chiamano anche Terza guerra slesiana, gli svedesi guerra di Pomerania, i nordamericani guerra franco-indiana, in India è denominata terza guerra del Carnatico. Fu una guerra mondiale dalla quale rimasero esclusi sono i pinguini dell’Antartide, e le cui conseguenze si fecero sentire nella guerra d’indipendenza americana, nel prodromi della rivoluzione francese, in tante altre situazioni sparse per il mondo intero.

Dal punto di vista territoriale a rimetterci fu soprattutto la Francia. Il trattato che concluse la pace, fu firmato il 10 febbraio 1763 a Parigi. L’Inghilterra ottenne tutto il Canada, l’hinterland delle colonie nordamericane e molto altro ancora.

Il trattato di Parigi ebbe ripercussioni capitali sulla situazione patrimoniale nei territori extraeuropei. I diritti di possesso su quella gigantesca massa di terra che costituisce il Canada (quasi uguale all’Europa), vennero trasferiti grazie alle poche righe di quel trattato. Sennonché quel territorio era abitato dalle tribù indiane (le chiamo così per comodità), le quali, nella prospettiva degli europei, non potevano far valere i propri diritti di possesso su quelle terre. Stando alle teorie di diritto internazionale europee, tali diritti derivavano soltanto dalla colonizzazione e coltivazione della terra secondo il modello europeo.

La principale differenza tra la concezione giuridica indigena (ne possedevano una, consuetudinaria) e quella europea, consisteva nella distinzione fra diritto di godimento e diritto di proprietà. Gli indiani conoscevano soltanto il primo, cosicché gli europei li privarono sostanzialmente di un diritto di proprietà che implicava i diritti di sovranità. Agli effetti pratici ciò comportava che, nei contratti stipulati con gli europei, gli indiani davano per scontato che avrebbero alienato solo diritto di godimento delle loro terre, mentre gli europei erano ben consapevoli di acquisire i diritti di proprietà.

Questa controversia portò alla cosiddetta “ribellione di Pontiac”, ossia a una guerra anglo-indiana combattuta tra il 1763 e il 1765. Gli indiani ovviamente persero con molte perdite la guerra e i pochi rimasti furono cacciati.

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