La tribolata vicenda umana di Pasquale Martignetti (1844 –1920), raccontata nella voce biografica che la Treccani gli dedica, offre uno spaccato delle vili condizioni esistenziali dei socialisti proletari nell’Italia della seconda metà dell’Ottocento, e più in generale del precariato intellettuale del quale non siamo esenti neanche oggi. La corrispondenza che Martignetti intrattenne con Engels, fino alla sua scomparsa (1895), offre altresì una dimensione abbastanza misconosciuta ai più dello spessore umano del grande scienziato e amico fraterno di Marx.
Engels, allora il più autorevole riferimento del movimento comunista internazionale non disdegnò di entrare in relazione e di aiutare in ogni modo questo modesto ma intelligente militante socialista, vessato oltre che per la sua attività politica, anche dai leader del partito socialista tutti presi all’interno di una prassi politica contingente che privilegiava le strategie della lotta legale-parlamentare, con lo Stato borghese come interlocutore politico. Tutto ciò è antico quanto attuale, come ben sappiamo: il marxismo dei partiti parlamentari è rapidamente declinato in riformismo e ora in nulla.
Tra le diverse lettere che Martignetti scambiò con Engels, una in particolare mi ha colpito. La riporto integralmente ricavandola dal 40° volume delle Opere Complete. Per rendere pienamente intellegibile la lettera che Engels gli scrisse il 9 gennaio 1891, è necessario premettere, per quel poco che si sa, un cenno circa l’antefatto della vicenda oggetto della lettera stessa.
In una lettera del 2 gennaio 1891, Pasquale Martignetti aver chiesto consiglio a Engels sul comportamento da tenere di fronte alla disavventura della propria sorella, sedotta da un commerciante e abbandonata poi incinta.
La lettera di Engels:
Caro amico, partecipo sinceramente al Suo dolore per la disgrazia toccata a Sua sorella. E comprendo bene l’indicibile agitazione in cui L’ha messa. Ma non perdo la testa. Cosa gioverebbe a Sua sorella se anche Lei uccidesse quel cane infame? Egli porterebbe con sé nella tomba la soddisfazione di aver rovinato due famiglie invece di una. So bene che in una società come quella dell’Italia meridionale, dove permangono ancora tracce dei tempi della gens, il fratello è considerato protettore naturale e vendicatore della sorella. Ma il fratello è anche marito, ha moglie, figli e doveri verso di loro, e nella società attuale questi doveri valgono più di tutti gli altri. A mio parere, Lei ha dunque verso la Sua famiglia il dovere di non commettere un atto che necessariamente la condannerebbe a starle lontano per sempre.
Sua sorella appare i miei occhi pura e degna di rispetto come prima. Ma se crede proprio di doversi vendicare, ci son pure altri mezzi con cui segnare il seduttore con il marchio dell’infamia gli occhi della società.
Qui un fratello costerebbe pubblicamente il mascalzone. In Francia e in Germania basterebbe schiaffeggiarlo in pubblico. Nella Polonia austriaca (Leopoli) un giornalista si
era venduto alla Russia. Un gruppo di giovani polacchi lo fermò sulla pubblica passeggiata, lo stese su una panca e gli appioppò 25 potenti nerbate sulla schiena.
Anche in Italia avete un mezzo per marchiare pubblicamente un simile mascalzone e segnarlo al pubblico disprezzo senza ferirlo o ucciderlo.
Come Le ho detto sono ben lontano anche dal consigliarle questo. Ma se è fermamente convinto che una qualche vendetta debba esserci, allora è sempre meglio una vendetta che colpisca l’onore del seduttore, piuttosto che un’altra.
Cordiali saluti, Suo F. Engels.
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In un sito internet che illustra le attrattive di Chiaromonte, un paese della Lucania, si legge:
«... altre [notizie] d’interesse sociologico sul paese e sui suoi abitanti, è possibile trovarle su Le basi morali di una società arretrata di Eduard Banfield (ed. Il Mulino 1962), che proprio su Chiaromonte, da lui denominato “Montegrano” elaborò una tesi sociologica. Il testo ampiamente dibattuto e contestato negli anni settanta è adottato in università americane: a distanza di cinquant’anni, dimostra la sua attualità. Il paese conserva in modo anche inquietante, un ethos strutturato.»
Armando Bagnasco, introducendo il libro di Eduard Banfield, scrive: «La frase finale è enigmatica e sollecita curiosità, più che fornire un’informazione documentata». Dopo qualche riga che dà genericamente conto delle critiche e degli apprezzamenti ricevuti dalla ricerca di Banfiled, Bagnasco prosegue con questa puntualizzazione:
«Per quel che mi riguarda, condivido gran parte delle critiche, ma ho anche la sensazione che non ci si liberi facilmente di Banfield; ho il sospetto che anche in molti dei più accesi critici rimanga la sensazione di avere a che fare con una specie di fantasma nascosto da qualche parte nella casa, e pronto a ritornare quando e dove meno loro se lo aspettano. Diciamo allora meglio: molte e decisive riserve facilmente vengono alla mente leggendo oggi la ricerca a Montegrano, ma bisogna anche riconoscere che si tratta di una ricerca con la quale è necessario comunque misurarsi, e il modo non banale» (p. 9, ediz. 2006).
Il libro è incentrato su quello che l’autore chiama “il familismo amorale”, ossia una delle categorie che più hanno contribuito a formare l’immagine della famiglia meridionale e del suo ruolo nei rapporti sociali:
«In una società di familisti amorali, coloro che ricoprono cariche pubbliche, non identificandosi in alcun modo con gli scopi dell’organizzazione a cui appartengono, si daranno da fare quel tanto che basti per conservare il posto che occupano o (se pensano che ciò sia possibile) per ottenere promozioni. E d’altra parte, le persone istruite e i professionisti, di solito non saranno mossi da uno spirito di vocazione o di missione. In realtà le cariche pubbliche, o le conoscenze specializzate, saranno considerate da coloro che ne dispongono come armi da usare a proprio vantaggio contro gli altri.» (pp. 106-07).
Nel libro è posto retoricamente un interrogativo di carattere generale che potrebbe essere esteso oggi a tutta la situazione italiana: “qual è la ragione dell’incapacità politica del paese?” (p. 57).
Ho letto il libro di Banfield, e ne sono rimasto deluso. Io mi aspettavo che il concetto di "familismo amorale" fosse estensivo ("famiglia" nel senso di consorteria). Invece no, si tratta proprio della famiglia più o meno patriarcale. Ne segue una serie di osservazioni non solo banali, ma moralistiche: meglio ancora, "turistiche". E' chiaro che, se parliamo di scarsa identificazione con il bene comune, questo è un problema dell'Italia, e, soprattutto, del Sud d'Italia. Però, accidenti, un turista sociologico americano degli anni '50 è necessariamente molto superficiale, e anche un po' troppo sprezzante.
RispondiEliminaVi è una certa convergenza tra i due casi che qui Lei affianca: Martignetti dichiara di essersi "convertito al socialismo" studiando la traduzione in francese del Capitale; Banfield in chiusura del saggio (pp. 172-73) accenna, con scarsa speranza, quale rimedio per civilizzare i Montegranesi l'azione di una missione protestante. Il cattolicesimo, insomma, avrebbe (ha) storicamente fallito ed è necessario dare una nuova fede alle masse per combattere il capitalismo (Marx) o prosperare con esso (Banfield, vale a dire Max Weber).
RispondiElimina(Peppe)
Marx una sorta di san Paolo?
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