Nel 2016 il gruppo industriale francese Naval Group ha firmato con l’Australia un contratto del valore di 55 miliardi di euro per la progettazione di un nuovo modello di sottomarini e la consegna in 12 unità. Vittima di ritardi e sforamenti di budget, un primo progetto presentato nel febbraio di quest’anno è stato bocciato perché troppo costoso. Diverse visite ufficiali di alto livello (comprese quella presidenziale) tra i due paesi hanno cercato di sistemare le cose.
Gli australiani hanno però deciso di avere una nuova storia d’amore annunciando la stipula di un accordo con gli Usa per cui acquisteranno sottomarini nucleari statunitensi. La Francia è stata informata solo un’ora prima della conferenza stampa congiunta tenuta dal presidente degli Stati Uniti con i primi ministri australiano e britannico per annunciare questo nuovissimo patto di sicurezza trilaterale: AUKUS.
Questa dimostrazione di forza, questa mossa anti-cinese, ovviamente non è stata gradita a Pechino, dove la vedono come aggressiva, un gesto da guerra fredda. E avvertono l’Australia che non dovrebbe rischiare la vita dei suoi soldati nel Mar Cinese.
La Francia dal canto suo ha richiamato per consultazioni i propri ambasciatori da Washington e da Canberra. La Nuova Zelanda, tanto per dire, sta già cercando di rafforzare i suoi legami con l’Europa e anche l’Indonesia (275 milioni di ab.) ha espresso apertamente il suo sgomento.
Non è la prima volta che la Francia s’oppone alla politica estera americana. Senza tornare alle antiche idiosincrasie di un De Gaulle, nel 2003 Chirac e Villepin declinarono l’invito a partecipare all’avventura bellicosa in Iraq con lo sdegno di due flâneurs che spolverano escrementi di piccione dispettoso delle loro giacche. Il gallo francese contro l’aquila americana rappresenta un innegabile momento di magnificenza francese, che però non ha scoraggiato anni di attacchi islamisti diretti contro il suo territorio e i suoi cittadini (ma a pensar male si fa peccato).
E pensare che solo a giugno scorso, Biden e Macron camminavano a braccetto come due amanti sul lungomare in Cornovaglia, durante il vertice del G-7. E poi si scambiarono frasi melense su twitter come due scolari delle medie. E invece ora Macron non solo non è andato a New York, ma ha annullato anche la sua apparizione virtuale all’Assemblea generale e il suo ministro degli esteri si è rifiutato di incontrare Antony Blinken, attuale Segretario di Stato, di origine ucraina (non si fanno mancare niente).
È la rinascita della diplomazia aggressiva, confermata dal discorso di Joseph Biden tenuto ieri nell’elegante tribuna di marmo verde delle Nazioni Unite. È un modo molto ottocentesco, minaccioso e rissoso, d’intendere i rapporti tra le potenze. Mascherato da frasi di circostanza, tipo: “Sono qui oggi per la prima volta in vent’anni con gli Stati Uniti non in guerra, abbiamo voltato pagina”; oppure il solito richiamo per la difesa dei “diritti umani” (in casa altrui).
Voltato pagina? Le spese militari degli Stati Uniti sono aumentate nel 2020 fino a raggiungere la cifra record di 778 miliardi di dollari, quasi il 40% della spesa militare totale nel mondo. Il Bulletin of Atomic Scientists segnala che nel corso di un solo anno la stima dei costi per le armi nucleari è aumentata di 113 miliardi di dollari. Conclusione: “Il budget della difesa presentato dall’amministrazione Biden assomiglia molto a quello dell’amministrazione Trump”. E anche la politica estera di Biden è una fedele continuazione di quella del suo predecessore, salvo i toni più sfumati rispetto a quelli del cafone rifatto.
Quando l’America va in guerra, è in nome della pace. Quando frammenta il mondo in blocchi commerciali e alleanze militari, lo fa in nome dell’unità globale. Quando cospira e fomenta conflitti locali ci mette l’etichetta dei “diritti umani”. Per tre decenni Washington ha usato questi falsi pretesti per condurre guerre in tutto il mondo. A parte gente come Federico Rampini, che fa il suo mestiere, perché mai dovremmo credere a Biden e prendere esempio dagli Stati Uniti, con la loro violenza, le bande, i ghetti, dove l’aspettativa di vita è in declino da anni?
Effettivamente in casa loro inventano modi molto originali per difendere i diritti umani. Ad esempio frustando la gente da cavallo.
RispondiEliminaAll'estero lasciamo stare, hanno una selettività stupefacente.
La US Customs and Border Protection ha annunciato la scorsa settimana che 208.887 migranti sono stati fermati e trattenuti ad agosto lungo il confine meridionale con il Messico. È stato il primo mese, da quando Joe Biden è diventato presidente, che il numero di arresti alle frontiere non è aumentato, ma il calo è stato solo del 2% in meno rispetto al record di luglio di 212.672 immigrati detenuti. Dall'inizio dell'anno sono stati fermati e trattenuti più di 1,5 milioni di immigrati. Ad agosto, 18.847 adolescenti e bambini hanno attraversato il confine da soli, un calo dell'1% rispetto al mese scorso. Va inoltre notato che quasi tutti gli adulti single catturati alla frontiera vengono immediatamente espulsi. Su 86.487 "membri di nucleo familiare" fermati dalle autorità il mese scorso, solo il 19% è stato espulso a causa del titolo 42, mentre il resto è stato autorizzato a presentare richieste di asilo negli Stati Uniti.
Eliminahttps://www.cbp.gov/newsroom/national-media-release/cbp-releases-august-2021-operational-update