Il Reich tedesco invase la Polonia il 1° settembre 1939. Britannici e francesi, che si erano impegnati di sostenere Varsavia in caso di attacco tedesco, il 3 settembre dichiararono guerra alla Germania. Concretamente non mossero un dito, né dichiararono guerra all’Unione Sovietica quando, pochi giorni dopo, le sue truppe invasero da est la Polonia, spartendosela con i tedeschi secondo un protocollo segreto firmato in occasione del trattato di non aggressione fra il Reich Tedesco e l’Urss del precedente 23 agosto. Segno questo che delle sorti della Polonia importava poco o nulla a Parigi e Londra. Ciò che preoccupava era ben altro e di più diretto.
Causa diretta dell’invasione tedesca fu la mancata concessione, da parte della Polonia, del cosiddetto corridoio di Danzica alla Germania, ciò che le avrebbe permesso di collegare la Prussia occidentale con quella orientale mediante un’autostrada e una ferrovia, in modo da consentire la libera circolazione di merci e persone tra i due territori senza subire controlli doganali o dazi di alcun genere.
Dopo la prima guerra mondiale, la Prussia orientale era stata separata dalla Prussia occidentale dal corridoio di Danzica (o corridoio polacco). Questo corridoio era costituito da una striscia di territorio istituita col trattato di Versailles del 1919 per dare alla ricostruita Polonia uno sbocco sul Mar Baltico. La piccola zona, con l’aggiunta dell’importante porto di Danzica, separava il corpo principale della Germania dalla regione della Prussia Orientale. Nel 1920, nella parte meridionale della Prussia Orientale (che non comprende Danzica), fu indetto un plebiscito (detto di Allenstein e Marienwerder) per decidere se passare alla Polonia o rimanere alla Germania. Oltre il 96% della popolazione scelse la seconda opzione.
Danzica era stata formalmente dichiarata “città libera” sotto il controllo della Società delle Nazioni, per non subordinare la popolazione tedesca della città al governo diretto della Polonia, tuttavia era praticamente sotto controllo polacco. La Polonia dovette abbandonare Danzica il 6 marzo 1932 (venne governata da un commissario della SdN, ma di fatto dai tedeschi, mentre il territorio circostante era controllato dai polacchi) e le restò come porto Gdynia (Gdingen), a 25 km da Danzica.
La Polonia aveva in quegli anni fatto diventare Gdynia, a dispetto dei tedeschi e usando considerevoli investimenti stranieri, un grande porto, anche militare. Infatti, prima della guerra, Gdingen era stata una piccola frazione di pescatori con circa 1.000 abitanti. Con l’acquisizione polacca, Gdynia, vent’anni dopo, contava oltre 100.000 abitanti polacchi.
A causa della guerra doganale tra Polonia e Germania del 1925–1934, la Polonia era più focalizzata che mai sul commercio internazionale. Ad esempio, furono costruite nuove ferrovie per collegare la Slesia con la costa e nuove tariffe resero molto conveniente spedire le merci tramite i porti polacchi piuttosto che da quelli tedeschi. Gdynia divenne il più grande porto del Mar Baltico.
A ciò s’aggiungeva il controllo militare polacco del Westerplatte, una penisola situata alla foce della cosiddetta “Vistola Morta”, che divenne sede di una fortezza militare polacca.
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Nel secondo dopoguerra, analogamente alla richiesta tedesca del 1938 di creare un corridoio di transito tra le due parti della Prussia, per la città di Berlino (un’enclave nella DDR) furono fissati i cosiddetti tratti di transito e relativi corridoi tra l’Est e l’Ovest, dove passava il traffico stradale, ferroviario e fluviale, mentre per gli aerei si stabilirono dei corridoi aerei.
Pertanto, la richiesta avanzata dal Reich tedesco aveva una motivazione ragionevole. La creazione del corridoio polacco era considerata da quasi tutti come l’esito di un compromesso poco soddisfacente raggiunto nel 1919. Anche nelle loro conversazioni private i leader britannici e francesi erano sostanzialmente favorevoli nel riconoscere valida la richiesta tedesca, che però Varsavia respinse, in ciò appoggiata, con apparente paradosso, dai governi di Parigi e Londra.
Ancora il 4 maggio 1939, il Times scrisse che Danzica non valeva veramente una guerra e, lo stesso giorno, Marcel Déat, ex ministro dell’aviazione francese, dichiarava pubblicamente che non ci si poteva aspettare che dei soldati francesi “morissero per Danzica”.
Dello stesso avviso l’ambasciatore britannico a Berlino, Nevile Henderson. Scrisse il 24 maggio: “Personalmente sono convinto che non ci possa essere una pace permanente in Europa finché Danzica non sarà tornata alla Germania. I polacchi non possono essere padroni di 400.000 tedeschi a Danzica, quindi deve esserlo la Germania”. Il 26 aprile, aveva scritto a Edward Halifax, ministro degli Esteri, contro il corridoio polacco con l’argomento che “se la Scozia fosse separata dall’Inghilterra da un corridoio irlandese, anche noi vorremmo, come minimo, ciò che Hitler sta chiedendo”; si disse convinto che sarebbe stato “perverso finire ora in una guerra mondiale” per simili motivi.
Il primo atto della seconda guerra mondiale fu dunque provocato dalla decisione di mantenere il corridoio polacco e di negare la concessione di quello tedesco attraverso di esso. Questo fatto, nudo e crudo, non può essere smentito, anche se si tende a rimuoverlo puntando l’attenzione sul proditorio attacco germanico. Tuttavia la domanda da porsi è: perché si arrivò alla decisione di non cedere alla richiesta tedesca e dunque alla guerra?
Per comprendere la decisione di respingere la richiesta di Berlino di ottenere un corridoio di transito con la Prussia orientale attraverso il “corridoio polacco”, bisogna tornare indietro di un anno esatto, ossia alla conferenza di Monaco, che si tenne dal 29 al 30 settembre 1938, fra i capi di governo di Regno Unito, Francia, Germania e Italia, dalla quale scaturirono gli accordi che portarono all’annessione dei Sudeti da parte della Germania, a danno della Cecoslovacchia. Anche la Polonia ottenne di annettere, sempre a danno di Praga, la cittadina di Cieszyn e la Zaolzie, a maggioranza polacca, e pure l’Ungheria inglobava diversi territori di confine con la Cecoslovacchia.
Segue
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