domenica 12 settembre 2021

Dopo l'11 settembre

 

Non è necessario essere teorici della cospirazione o credere che qualcuno abbia piazzato esplosivi nelle Torri Gemelle per riconoscere che la storia ufficiale sull’11 settembre, piena di contraddizioni, omissioni e insabbiamenti, sia il risultato, almeno apparente, di un fallimento d’immaginazione da parte della miriade di agenzie d’intelligence degli Stati Uniti.

Non è un caso che alla vigilia dell’anniversario, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden abbia emesso un ordine esecutivo in risposta alle richieste avanzate in tribunale da migliaia di sopravvissuti e familiari delle vittime dell’11 settembre per la divulgazione di informazioni relative ai molteplici collegamenti della monarchia saudita con gli attacchi, e che le amministrazioni succedutesi hanno fatto di tutto per mantenere segrete.

“Il popolo americano merita di avere un quadro più completo di ciò che il suo governo sa di quegli attacchi”, ha affermato Biden. Tuttavia mentre l’ordinanza presidenziale richiede una “revisione della declassificazione”, consente al Dipartimento di Giustizia, alla CIA, all’FBI e ad altre agenzie di mantenere segrete le informazioni ritenute pertinenti “all’interesse della sicurezza nazionale”.

Com’è noto, 15 dei 19 dirottatori erano sauditi, così come il leader di Al Qaeda, Osama bin Laden, l’ex alleato della CIA nella sua guerra per procura in Afghanistan negli anni 1980, che anziché essere arrestato e processato, il 2 maggio 2011 è stato ucciso e il suo corpo fatto sparire. Funzionari, diplomatici e agenti dell’intelligence sauditi sono coinvolti nel finanziamento dei dirottatori, nell’iscrizione nelle scuole di volo e nella ricerca di un alloggio, compresa la casa del principale informatore dell’FBI sulla comunità musulmana di San Diego.

Il collegamento con i sauditi è questione delicata non solo perché coinvolge il principale alleato statunitense nel mondo arabo, ma anche perché gli intimi legami tra le agenzie d’intelligence saudite e quelle statunitensi sollevano non pochi interrogativi su come sia stato possibile che nessuno dell’United States Intelligence Community fosse a conoscenza o avesse sentore di ciò che si stava preparando e della attività dei dirottatori, anche se molti di loro erano sotto sorveglianza della CIA ed erano nelle liste di controllo dell’FBI mentre entravano e si spostavano liberamente negli Stati Uniti.

Tanto per dire: che un pacchetto di simili soggetti saddestrasse al volo poteva dire niente?

A seguito dell’attacco giapponese a Pearl Harbor, alti ufficiali statunitensi furono sollevati dai loro comandi e cacciati. La domanda ovvia è perché nessun funzionario, dal direttore della CIA fino agli agenti consolari che hanno concesso i visti ai dirottatori, abbia subito conseguenze di carriera o altro dopo l’11 settembre.

Non c’è motivo di aspettarsi che l’amministrazione Biden o qualsiasi altra in futuro riveli i segreti custoditi tanto gelosamente per due decenni. Sempre che i documenti più scottanti sulla vicenda esistano ancora. Quali che siano i retroscena dell’11 settembre, gli attacchi sono serviti come pretesto per dare attuazione a programmi di vecchia data dell’imperialismo statunitense. In poche settimane, le forze armate americane hanno invaso l’Afghanistan, poco più di un anno dopo, è stata la volta di una seconda guerra contro l’Iraq, con la falsa motivazione delle “armi di distruzione di massa” e i legami inesistenti tra Saddam Hussein e Al Qaeda.

All’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica, la classe dirigente statunitense decise di poter usare la sua indiscussa superiorità militare per compensare il declino dell’egemonia economica degli Stati Uniti e riordinare la politica globale su tale base. Le guerre non miravano a proteggere la popolazione statunitense dal terrorismo, come sosteneva Washington, ma a garantire l’egemonia statunitense sulle principali regioni produttrici di petrolio del Golfo Persico e dell’Asia centrale.

Con l’approvazione quasi unanime dell’autorizzazione all’impiego della forza militare subito dopo l’11 settembre, il Congresso ha ceduto completamente il potere al presidente di promuovere guerre “preventive” contro qualsiasi paese ritenuto una minaccia alla sicurezza o agli interessi degli Stati Uniti.

Gli attacchi del settembre 2001 hanno fornito l’opportunità di introdurre cambiamenti di vasta portata nei diritti democratici. Nel 2002 fu istituito il Dipartimento per la sicurezza interna, promulgato il Patriot Act, esteso lo spionaggio sull’intera popolazione, reso possibili perquisizioni senza mandato, detenzioni senza accuse, “consegne straordinarie”, rapimenti, uccisioni. Metodi di tortura sono stati autorizzati dalla Casa Bianca, basti ricordare ciò che è avvenuto a Guantanamo, Abu Ghraib, Bagram Collection Point e altri “siti neri” sparsi in tutto il mondo.

Sotto l’amministrazione del premio Nobel per la pace Barack Hussein Obama II, sono stati autorizzati omicidi, compresi quelli di cittadini statunitensi, in qualsiasi parte del mondo senza alcuna spiegazione o un giusto processo.

I risultati di questa strategia, dopo vent’anni, sono noti. Almeno un milione di persone ha perso la vita in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Yemen e altri paesi sottoposti agli attacchi degli Stati Uniti e dei loro alleati. Il numero dei feriti è incalcolabile, decine di milioni di persone sono state trasformate in profughi, intere società decimate dalla guerra. Circa 7.000 soldati statunitensi e circa il doppio di cosiddetti appaltatori militari sono stati uccisi, mentre decine di migliaia sono stati feriti e molti altri hanno subito traumi psicologi.

Il costo economico di queste guerre è stato sbalorditivo. Nel suo discorso del 30 agosto che annunciava la fine dell’occupazione statunitense dell’Afghanistan, il presidente Biden ha affermato che gli Stati Uniti hanno speso 300 milioni di dollari al giorno negli ultimi 20 anni solo per la guerra in Afghanistan. Il Costs of War Project della Brown University fissa il prezzo totale per le guerre post 11 settembre, compresa l’assistenza a lungo termine per i veterani, a oltre 8.000 miliardi di dollari.

Una tale débâcle non può essere spiegata semplicemente adducendo errori di calcolo militari o fallimenti d’intelligence. È il prodotto della profonda crisi economica e sociale del sistema statunitense, il tramonto della sua egemonia imperiale. A trarne vantaggio è stata l’élite finanziaria e i soliti tirapiedi di “sinistra” con il loro diuturno lavoro d’intossicazione ben remunerato.

Ora tocca alla Cina. I media si tengano pronti a fornire il supporto necessario.


7 commenti:

  1. ...Gli attacchi del settembre 2011 (refuso)

    analisi impeccabile di cui peraltro nessuno parla...
    grazie
    Maurix

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  2. Solo che la Cina non è l'Afghanistan o l'Iraq. E non dimentichiamoci della Russia, che non se ne starà certo a guardare.

    P. S: il post sulla Cina l'ho trovato veramente super interessante. I dati fanno strame di tutte le stupide opinioni che si hanno del "comunismo" con caratteristiche cinesi.

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  3. Ho stampato questo post,lo tengo in tasca insieme al grinpass.

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  4. https://officinadeisaperi.it/eventi/il-pericolo-di-una-egemonia-solo-finanziaria-militare-da-il-manifesto/

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