giovedì 9 settembre 2021

1971 - 2021: declino di un Impero

 

Il 15 agosto 1971, Nixon tenne un famoso discorso televisivo, ricordato soprattutto per la decisione di sospendere temporaneamente la convertibilità del dollaro in oro. Per le conseguenze che ebbero, le decisioni economiche e monetarie riconducibili a quel discorso possono essere considerate come le più importanti e decisive dell’ultimo mezzo secolo del Novecento.

La base del sistema di Bretton Woods (1944), in cui le valute erano fisse rispetto al dollaro, con l’oro al cambio di 35 dollari l’oncia, preludeva che la forza postbellica del capitalismo statunitense potesse continuare indefinitamente, sostenendo il boom globale, ed eventuali problemi economici potessero essere affrontati attraverso interventi statali basati su politiche keynesiane di gestione della domanda.

Solo 27 anni dopo, un battito di ciglia in termini storici, quella finzione è crollata nelle contraddizioni insite nel sistema stesso. Il capitalismo statunitense si è trovato in difficoltà nella lotta per i mercati. La sua bilancia dei pagamenti, che aveva assunto cospicua proporzione positiva durante il conflitto e nell’immediato dopoguerra e da cui dipendeva il sistema, era in costante declino, per diventare negativa nel 1971 (non si sarebbe più ripresa, salvo un lievissimo sussulto a metà degli anni Settanta), con un debito pubblico montante causa guerra in Vietnam, la gara con i russi per gli armamenti e lo spazio, un massiccio welfare necessario alla pace sociale e razziale, gli “aiuti” all’estero.

I tentativi di puntellare il sistema, man mano che la crisi diventava sempre più evidente nella seconda metà degli anni 1960, erano falliti. I tassi di profitto in forte aumento quando il boom prendeva piede, mostravano un netto declino e il capitalismo statunitense si trovava di fronte a un’ondata crescente di rivendicazioni delle classi lavoratrici. Per questo motivo Nixon cercò di contrastare il rialzo dei salari fissando, nello stesso periodo, un tetto agli aumenti del 5%.

La decisione USA di interrompere la convertibilità del dollaro in oro e d’imporre il sovraddazio del 10 per cento per frenare le importazioni, aveva lo scopo di rimettere in equilibrio la loro bilancia dei pagamenti conseguendo un forte saldo attivo con l’interscambo delle merci, e ciò spiega pure l’azione per ottenere una rivalutazione delle monete degli altri nove paesi più industrializzati del mondo rispetto al dollaro.

Di fatto il dollaro svalutava rispetto all’oro e quindi rispetto alle altre monete, anche se l’oscillazione di queste ultime rimase contenuta (il cambio della nostra moneta per un certo periodo rimase attorno alle 610 lire per dollaro).

Questa combinazione d’iniziative avrebbe innescato turbolenze economiche e monetarie internazionali, una spirale inflazionistica che si manifestava nel fenomeno della stagflazione degli anni 1970, ossia la combinazione di alta inflazione, aumento della disoccupazione e minore crescita economica, qualcosa che era stato ritenuto impossibile dai sostenitori dell’economia keynesiana.

Questi problemi contribuirono ad alimentare l’ondata di lotte rivendicative già in corso in alcuni dei principali paesi occidentali. Sul piano della stabilità politica, gravemente compromessa anche da altri fattori, agirono gli apparati militari e polizieschi dei singoli paesi, legati a doppio filo con la CIA e la NATO. In Grecia, in Italia, in Francia e Germania, in Cile, ovunque fosse necessario s’intervenne secondo modalità diverse.

Si rendeva urgente e necessaria una ristrutturazione dell’economia capitalista basata sull’eliminazione dei settori meno redditizi dell’industria e un’offensiva contro i settori di classe più riottosi. Un’intera fase storica dello sviluppo capitalistico stava per cambiare.

Sul piano politico e sociale si può ricordare il riflusso e la sconfitta dei movimenti nati a cavallo tra gli anni '60-'70, la famosa marcia dei quadri intermedi della Fiat a Torino nel 1980, l’annientamento dello sciopero dei controllori del traffico aereo statunitense da parte dell’amministrazione Reagan nel 1981, con la distruzione del loro sindacato, la guerra civile durata un anno contro i minatori di carbone sotto la direzione del governo Thatcher nel 1984-1985, eccetera.

A livello internazionale s’instaurava un nuovo ordine economico in cui l’accumulazione si basava sempre più non sull’espansione del capitale industriale, ma sulla speculazione finanziaria. Gli “eroi” di questo nuovo corso economico non erano più i titani industriali del passato, bensì operatori finanziari criminali come il re dei titoli spazzatura Michael Milken, che escogitarono forme societarie di asset-stripping (smantellamento degli asset societari, “spezzatino”) con favolosi profitti e uno straordinario aumento del mercato azionario a partire dal 1982.

Il crollo dell’ottobre 1987, mise in luce questo castello di carte finanziario, non il primo e non l’ultimo.

In quello stesso torno di tempo la liquidazione dell’URSS fu salutata come la dimostrazione della forza del capitalismo e del trionfo del “libero mercato”. 

Ciò però non rappresentava la nascita di un “nuovo” capitalismo, che invece proprio nel momento del suo trionfo entrava in una fase conflittuale che si sarebbe rivelata sempre più acuta nell’assetto economico globale.

La decisione del regime cinese di adottare una politica economica di mercato ha fornito, sul momento, opportunità e vantaggi strategici per l’imperialismo statunitense a diversi livelli. Sin dagli eventi del 1975 a Saigon, fissati nelle immagini delle evacuazioni in elicottero dal tetto dell’ambasciata americana, gli Stati Uniti si sono impegnati di “superare la sindrome del Vietnam”. L’implosione dell’Unione Sovietica, incapace di uscire dagli schemi stagnanti dello stalinismo e impelagata nella guerra afghana, e poi l’emarginazione della stessa Russia post comunista dalla politica mondiale, sembravano fornire agli USA l’opportunità di contrastare il proprio declino economico ed egemonico.

Al momento della prima guerra del Golfo nel 1990-91, gli Stati Uniti stavano costruendo un nuovo ordine mondiale basato sulla loro potenza militare. Questa fu la premessa delle guerre senza fine che seguirono, senza dimenticare il ruolo non marginale degli Usa nell’origine del terrorismo di matrice islamica.

Si era fatta strada la convinzione che con lo sviluppo dell’ingegneria finanziaria, l’enfatizzazione del mercato azionario e lo sviluppo di nuove tecnologie, insieme alla posizione preminente del dollaro sui mercati, gli Stati Uniti sarebbero stati in grado di mantenersi come potenza economica e militare dominante.

Uno dei motivi principali per cui la Fed è stata in grado di mantenere un regime di bassi tassi d’interesse per tutti gli anni Novanta e fino a oggi, portando i mercati finanziari a livelli stratosferici, è stata l’assenza d’inflazione, in gran parte ottenuta con il deprezzamento delle materie prime e di una vasta gamma di beni di consumo prodotti attraverso lo sfruttamento di manodopera a basso costo in Cina e in molti altri paesi da parte delle principali multinazionali.

Nel mondo della finanza, tutte le precedenti norme di prudenza finanziaria sono state messe da parte, la baldoria speculativa spesso assumeva un carattere nettamente criminale, basti ricordare il caso della Enron.

Oggi ci sono sintomi evidenti che la crisi USA, che trascinerà con sé tutto il resto, è entrata in una nuova fase.

Non solo la debacle militare in Afghanistan, che come ricordavo un mese fa è funzionale al dirottamento delle risorse verso altri obiettivi strategici, ma continuano a crescere i segnali di un crollo finanziario, con nuovi record a Wall Street, speculazioni dilaganti sulle cripto valute, aumento dei debiti e dei prezzi delle materie prime e delle case, l’attività frenetica di fusione e acquisizione alimentata da bassi costi del denaro e trilioni di dollari nelle casse dei gruppi di private equity.

Questi indicatori, insieme a molti altri, annunciano lo scoppio di una grave crisi, che si sta profilando in condizioni nuove.

Nonostante le assicurazioni del presidente della Fed Jerome Powell e di altre autorità finanziarie secondo cui l’attuale aumento dell’inflazione, tra il 4 e il 5% negli Stati Uniti e in aumento in Europa oltre il 3%, sarebbe transitorio, ci sono crescenti segni che si stia invece radicando. In tal caso, eliminerà uno degli elementi chiave del regime di tassi d’interesse estremamente bassi che ha sostenuto i mercati finanziari negli ultimi tre decenni, con le conseguenze che non è difficile immaginare.

Biden ha fatto appello al diffuso sentimento contrario alla guerra per giustificare il ritiro dall’Afghanistan, ma ciò non significa che il pericolo di guerra sia diminuito. Al contrario, mai come negli ultimi decenni il rischio di un conflitto bellico tra le superpotenze è stato tanto elevato. Questo perché, come ha chiarito lo stesso Biden, il ritiro afghano è stato attuato per focalizzare l’attenzione e le risorse sui preparativi per la guerra contro la Cina, la cui ascesa economica è considerata da tutte le fazioni della classe dirigente statunitense come una minaccia esistenziale che deve essere contrastata a tutti i costi.

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In realtà la Polonia fu liquidata in pochi giorni; il governo polacco era espatriato da settimane quando i tedeschi entrarono a Varsavia, divenuta l'ultima roccaforte. Ciò non diminuisce il valore dei polacchi, che però quando si trattò, pochi mesi prima, di smembrare la Cecoslovacchia, pretesero il loro bocconcino a braccetto con i tedeschi. Si tende invece a dimenticare che fu l'Armata rossa a liberare Varsavia dagli occupanti nel gennaio 1945. Se fai un'osservazione del genere, rispettosa della realtà storica, passi per essere un filosovietico. Ci sono dei cialtroni che fanno liberare Auschwitz dagli americani e perciò ricevono l'Oscar.

3 commenti:

  1. "Ci sono dei cialtroni che fanno liberare Auschwitz dagli americani e perciò ricevono l'Oscar."

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  2. Anche a raccontare i fatti e le iniziative diplomatiche che precedettero "la vergogna del patto Molotov-Ribbentrop" ci si sente accusare di essere stalinisti.

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