mercoledì 29 settembre 2021

Suonatori di organetto

 


L’uso capitalistico della tecnologica è il mezzo più potente per aumentare la produttività del lavoro, ossia per accorciare il tempo di lavoro necessario alla produzione di una merce.

Il miglioramento tecnologico ha il compito di ridurre le merci più a buon mercato e di abbreviare quella parte della giornata lavorativa che l’operaio usa per se stesso, per prolungare quell’altra parte della giornata lavorativa che l’operaio dà gratuitamente al capitalista per la produzione di plusvalore. Infatti, il maggior profitto del capitalista non deriva dalla diminuzione del lavoro impiegato ma dalla diminuzione del lavoro pagato.

In definitiva, questo è un modo surrettizio per prolungare il tempo di lavoro assoluto della giornata lavorativa complessiva! Il capitale impiega il sistema delle macchine solo per aumentare il tempo di pluslavoro, tempo di lavoro che diventa suo unico elemento determinante. Non frega nulla di rendere il lavoro meno faticoso, questo dev’essere chiaro (*).

Ciò consente al capitalista che opera in un determinato settore della produzione di mettersi in pari o addirittura di trarre vantaggio rispetto alla concorrenza. S’innesca così una competizione tecnologica tra singoli produttori. Lo sviluppo tecnologico dovrebbe rappresentare senz’altro un aspetto progressivo, ma qui si tratta, come detto, dell’uso capitalistico della tecnologica, e chi vi si oppone, per esempio la forza-lavoro espulsa dal ciclo produttivo perché sostituita dalle macchine, diventa un avversario del progresso sociale!

È uno dei tanti rovesciamenti della realtà attraverso la manipolazione ideologica! È il tentativo, ahimè riuscito, di subordinare i lavoratori alla logica della produttività del capitale. Ricordo bene quando comparve, come sempre accompagnato da un gergo americanizzante, il mito della “ricomposizione del lavoro” con le sue relative articolazioni: job rotation (rotazione delle mansioni), job enlargement (allargamento delle mansioni), job enrichment (arricchimento delle mansioni), il tutto fatto vivere sulla rincorsa a un’inesistente professionalità. Così parlano i padroni e i loro suonatori d’organetto.

Traduzione: la job rotation è mistificazione di una professionalità intesa come somma, nel tempo, di attività parcellari e facilitazioni nel meccanismo dei rimpiazzi; job enlargement è mistificazione di una professionalità intesa come somma, nell’arco della giornata lavorativa, di attività parcellari; job enrichment è mistificazione di una professionalità di massa, mentre tocca soltanto a qualche “aristocratico”.

Il lavoratore viene asservito alla macchina, possa essere anche un computer semplice o sofisticato, e il suo lavoro è svuotato di ogni contenuto significativo. La tecnologia, così come la scienza di cui è il prodotto, non è mai neutrale e la logica dello sviluppo tecnologico è tutta interna al processo di valorizzazione.

Ed eccone di seguito un altro di rovesciamento di prospettiva, che riguarda la scarsa o nulla propensione dei “prenditori” che operano in Italia a investire in ricerca e innovazione. Se i salari italiani sono tra i più bassi in Europa, ciò dipende dalla scarsa produttività del lavoro, responsabilità che con schietto cinismo ancora una volta è messa sulle spalle degli operai stessi, dediti piuttosto a gavazzare che a lavorare intensamente. Colpa loro se non c’è “crescita”.

Poi i giornali padronali e gli altri media di contorno si dispiacciono per le povere operaie stritolate dalle macchine, alle quali sono stati disattivati i dispositivi di sicurezza che altrimenti “ritardano l’esecuzione del lavoro”! Come se questi fossero casi isolati e non prassi quotidiana comune. Quante volte ho visto sicurezze tolte alle macchine e alle presse, quanti operai invalidi di dita, mani, avambracci. Le chiamano “disgrazie”, dovute a “distrazioni” degli operai stessi. Tra l’altro va ricordato che la cosiddetta prevenzione degli infortuni fa capo fondamentalmente alle USSL e non agli ispettorati del lavoro, e gli addetti a questo settore negli ultimi lustri sono stati più che dimezzati e le risorse destinate a tale scopo sono ridicole.

Un’altra fola che recentemente si sentiva e leggeva spesso, riguardava la cosiddetta compensazione: benché le macchine soppiantino di necessità gli operai nelle branche di lavoro dove sono introdotte, tuttavia indurrebbero un aumento di occupazione in altre branche di lavoro o la creazione di nuove figure lavorative.

Lo straordinario aumento raggiunto dalla forza produttiva nelle più diverse sfere, accompagnato com’è da un aumento in intensità dello sfruttamento della forza-lavoro, permette di adoprare improduttivamente una parte sempre maggiore della classe operaia, ed è sotto gli occhi di tutti che ciò crea sottoccupazione e precariato di massa permanente.

Lo sviluppo tecnologico nella sua forma capitalistica elimina ogni tranquillità, solidità e sicurezza delle condizioni di vita dei lavoratori salariati, e minaccia di far saltare col lavoro il loro mezzo di sussistenza rendendoli persone superflue, con sperpero di capacità ed energie lavorative, con devastazioni sociali quale effetto ciecamente distruttivo dall’anarchia del capitale.

(*) I padroni sbraitano che l’introduzione d’impianti e macchinari automatici nel processo produttivo riduce progressivamente la funzione dell’operaio nella produzione, perché dimostrerebbe che il capitalismo moderno limita sempre più lo sfruttamento della forza- lavoro. In realtà, le macchine, per quanto automatiche, sono sempre capitale costante: il loro valore può solamente trasferirsi ai nuovi prodotti, ma non può produrre un incremento. Il fatto che i capitalisti impieghino macchinari automatici e assumano un minor numero di operai e di altri lavoratori, dimostra soltanto come si sia ancor più intensificato lo sfruttamento della forza lavoro mediante l’estrazione di plusvalore relativo, ottenuta attraverso l’intensificazione dei carichi di lavoro e l’uso delle tecnologie più avanzate.


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