Tra la fine del 1939 e l’inizio del 1940, sul fronte occidentale non accade nulla di significativo. La chiamarono la strana guerra o guerra finta (phoney war). Gli ospedali britannici erano pronti a ricevere 30.000 feriti al giorno, ma erano vuoti. Si protessero gli edifici con i sacchetti di sabbia, s’indossarono le uniformi e le moderne maschere antigas erano a portata di mano; tuttavia nessuno si sentiva in pericolo.
Eppure si contarono negli ultimi quattro mesi del 1939 oltre 2000 vittime causate dai blackout autoimposti, mentre furono solo tre i caduti britannici sul fronte occidentale.
L’Unione Sovietica il 17 settembre aveva invaso la Polonia riprendendosi quanto aveva ceduto con la cosiddetta pace di Brest-Litovsk del 1918. In novembre, invase la Finlandia. L’opinione pubblica occidentale rimase scandalizzata. Gran Bretagna e Francia erano entrati in guerra per difendere le piccole nazioni, ma nel caso dell’aggressione russa alla Polonia e alla Finlandia lasciarono fare.
Se aveste potuto decidere con un clic del vostro mouse, che cosa avreste deciso di fare in tale occasione? La follia di iniziare una guerra con l’Unione Sovietica prima che la Germania fosse sconfitta non sembrava influire sull’opinione pubblica, né aver peso su alcune teste calde della rappresentanza politica e della casta militare.
Un paio d’esempi per illustrare la situazione. Il 20 marzo, dopo otto giorni dalla resa della Finlandia, il primo ministro Édouard Daladier si dovette dimettere poiché 300 deputati francesi si erano astenuti sulla mozione di fiducia al suo governo per il mancato aiuto da portare alla Finlandia.
Maxime Weygand, già capo di stato maggiore generale dell’esercito, poi comandante delle forze francesi in Medio Oriente e capo del teatro d’operazioni del Mediterraneo Orientale, dal maggio 1940 capo supremo delle forze armate francesi, commentò in una sua lettera che considerava “essenziale sconfiggere l’Unione Sovietica in Finlandia”.
Le decisioni strategiche non possono seguire l’orientamento emotivo dell’opinione pubblica, e neanche quello degli “esperti”, che proprio perché tali spesso non possiedono la necessaria ampiezza di visione dei problemi e della loro interconnessione.
Spesso, per non dire sempre, il fattore tempo è fondamentale in qualsiasi tipo di decisione. Come accennato qui sopra, l’attesa può rivelarsi decisiva per il successo o il fallimento quanto la prontezza fulminea nell’iniziativa. Da evitare sempre è l’indecisione.
Anche in tal caso citerò due esempi emblematici. Churchill ed altri nel gabinetto di guerra (riunione del 16 dicembre 1939) avevano in progetto di mandare un corpo di spedizione in Finlandia; in realtà lo scopo era quello di bloccare l’esportazione verso la Germania di minerale ferroso dalla Svezia e dal porto norvegese di Narvik. Fortunatamente il 12 marzo 1940 la Finlandia si arrese, altrimenti si sarebbe arrivati alla guerra con l’Unione Sovietica.
In capo a Churchill sta in gran parte la responsabilità della grave sconfitta subita dalle truppe inglesi in Norvegia nell’aprile successivo. Quella sconfitta non fu dovuta soltanto all’impreparazione e improvvisazione, all’equipaggiamento e armamento inadeguato, alla mancanza di copertura aerea, ma anche all’indecisione dimostrata dal politico inglese che fino all’ultimo cambiò idea ripetutamente sull’obiettivo delle operazioni alleate, indeciso tra Narvik e Trondheim, tanto da aver “portato i capi di stato maggiore sull’orlo dell’ammutinamento”. Di ciò, Churchill evita di dire nelle sue memorie. Il sottosegretario permanente dell’ufficio di guerra e amico di Churchill, James Grigg, il 12 aprile 1940 ebbe a dire: “Dobbiamo fare in modo che il primo ministro metta mano alla faccenda prima che Winston e Tiny [Ironside] mandino a puttane tutta la guerra”.
Il 26 maggio, mentre il corpo di spedizione britannico cominciava la ritirata verso Dunkerque, il ministro degli Esteri Halifax, e il neo premier Churchill, pensarono che era giunto il momento di provare a trattare con Hitler. Churchill dichiarò che, pur considerando “incredibile che Hitler proponesse condizioni accettabili”, se fosse stato possibile “uscire da questo pasticcio cedendo Malta e Gibilterra [all’Italia, quale intermediario] e qualche colonia africana [alla Germania], non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione”. L’unica strada sicura, comunque, “era convincere Hitler che non avrebbe potuto batterci”.
Quello fu il giorno in cui Hitler si trovò più vicino alla vittoria. Due giorni prima, rassicurato da Göring che la sua Luftwaffe poteva distruggere da sola il corpo di spedizione britannico ormai intrappolato sulla cosata francese, e temendo che il terreno si rivelasse troppo paludoso per i suoi carri, aveva ordinato alle Panzerdivision di arrestarsi ad appena 24 km da Dunkerque. Il 26 maggio, Hitler aveva revocato questo discusso ordine e il giorno dopo reparti d’assalto tedeschi erano arrivati a meno di 8 km da Dunkerque.
Quello stesso 26 maggio, alle 19.00, fu dato l’ordine per l’operazione Dynamo, l’evacuazione del corpo di spedizione britannico dalla Francia, che riporterà in Inghilterra 338.226 soldati, di cui oltre 125.000 francesi. Quella finestra temporale di due giorni, tra l’ordine di arrestarsi e il contrordine di riprendere l’offensiva, impedì a Hitler di vincere nel 1940.
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Dunque, il fattore tempo. Se si perderà questa “guerra” alla pandemia virale, non sarà questo o quel governo pro-tempore ad averla persa qui e altrove. Ci pensino bene i “padroni del bene comune”, poiché in tal caso, dio non voglia, verrebbe giù tutto il palco definitivamente. Lo sanno, eccome se lo sanno.
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