venerdì 10 settembre 2021

La "prosperità comune" cinese

 

Ma Huateng, presidente di Tencent Holdings, gigante tecnologico cinese, e Jack Ma Yun, di Alibaba, hanno accumulato fortune personali rispettivamente di 53,1 e 45,3 miliardi di dollari, a fronte di 600 milioni di cinesi che guadagnano solo 1.000 yuan (circa 150 euro) il mese.

È sufficiente leggere le biografie anche di altri personaggi, come Hui Ka Yan, Cheung Chung-kiu o Joseph Lau, per farsi un’idea di che cosa sia il mondo imprenditoriale della Cina, un paese che ha la sfacciataggine di dichiararsi ed essere considerato “comunista”!

Il 17 agosto scorso, il presidente Xi Jinping ha insistito, in un discorso fatto al Comitato Centrale per gli Affari Finanziari ed Economici del Partito Comunista, su un “sistema di politiche pubbliche scientifiche, che consenta una distribuzione più equa del reddito per la prosperità comune”.

In risposta al discorso di Xi, Tencent Holdings ha promesso 50 miliardi di yuan (7,71 miliardi di dollari) per varie iniziative relative all’ambiente, all’istruzione e alla riforma rurale, affermando che l’annuncio era una risposta alla “campagna di ridistribuzione della ricchezza della Cina”. Ha affermato che la metà della somma sarebbe stata utilizzata per “l’innovazione sostenibile e di valore sociale”, il resto per i programmi di beneficenza per contribuire a quella che è diventata una metonimia: la “prosperità comune”.

La scorsa settimana Alibaba ha promesso di erogare un importo simile entro il 2025 per la “prosperità comune” in Cina, affermando che il denaro sarebbe stato utilizzato per sostenere le micro, piccole e medie imprese, aiutare “la digitalizzazione delle aree sottosviluppate” e ampliare le performance sanitarie nelle aree meno sviluppate.

Bloomberg ha riferito che 73 delle società quotate in Cina, sia private che statali, hanno detto ai loro azionisti che contribuiranno alla “prosperità comune”.

Gli annunci aziendali non sono ovviamente volti ad affrontare seriamente la disuguaglianza sociale, ma chiaramente motivati dalle preoccupazioni di un ulteriore intervento statale nelle loro attività, e i soldi promessi sono diretti a settori sociali e ad aree che possono allargare il loro giro d’affari.

Secondo il Credit Suisse Research Institute, l’1 per cento più ricco della Cina possiede quasi il 31 per cento della ricchezza del paese, rispetto al 21 per cento del 2000. Un rapporto del gruppo bancario Hsbc indica in 340 milioni di cinesi la dimensione della classe media che guadagna tra i 15.000 e i 75.000 euro. 15.000 euro è un reddito modesto per gli standard occidentali, ma è almeno otto volte quello di 600 milioni di cinesi (poco più di 17.000 yuan (2.230 euro) nel 2020, secondo i dati ufficiali).

La Cina è uno dei peggiori Paesi in termini di redistribuzione, nonostante si dichiari un Paese comunista. Quanto alla spesa pubblica, essa è eccessivamente concentrata nelle città, per le scuole d’élite e così via. L’alto costo della vita urbana, nel frattempo, ha contribuito a un forte rallentamento delle nascite, spingendo la Cina quest’anno a consentire alle famiglie di avere fino a tre figli invece di due. Anche perché comincia a scarseggiare la manodopera, fatto di per sé incredibile fino a non molto tempo addietro per quanto riguarda la Cina.

Han Wenxiu, vicedirettore della commissione centrale per gli affari finanziari ed economici, ha rassicurato che il governo non avrebbe “ucciso [!] i ricchi per aiutare i poveri”. Ha detto che l’idea non è quella dell’”egualitarismo” ma di “ridurre il divario di distribuzione della ricchezza tra le aree urbane e rurali e prevenire la polarizzazione”. La Cina deve anche “guardarsi dal cadere nella trappola dell’assistenzialismo”, coloro che “si arricchiscono prima” dovrebbero aiutare quelli che stanno più indietro, ma “il duro lavoro deve essere incoraggiato”. Ha così concluso: “Non possiamo sostenere i fannulloni”.

Il South China Morning Post, con sede a Hong Kong, di proprietà di Alibaba, venerdì scorso ha intervistato il professore di economia dell’Università di Pechino Zhang Weiying che ha sostenuto: “Se perdiamo fiducia nelle forze di mercato e ci affidiamo a frequenti interventi del governo, ciò porterà alla povertà comune”.

Xi ha disposto che la provincia costiera orientale dello Zhejiang diventi “zona dimostrativa“ per il suo programma di “prosperità comune”. Il suo piano, recentemente pubblicato, fissa il 2025 come obiettivo per il reddito disponibile medio pro capite da raggiungere di 11.500 dollari, il 40% in più rispetto ai livelli attuali.

La disuguaglianza sociale sta generando tensioni di classe che minacciano di esplodere. Inoltre la Cina ha bisogno di creare al più presto un robusto mercato interno per le sue merci a sostegno della propria produzione, posto che il solo settore edilizio e quello degli elettrodomestici ha rappresentato il 16,4% dell’economia cinese lo scorso anno.

E ciò prima dello scoppio della prossima crisi finanziaria, con il mercato obbligazionario cinese e il suo sistema finanziario più in generale che stanno subendo una pressione crescente a causa della crisi di diversi giganti immobiliari, come per esempio Evergrande, esposto per un pesante indebitamento: 89 miliardi di dollari. Tutto ciò in prospettiva dello scontro con gli Usa che diventerà sempre più serrato e aperto.


Ocean Flower Island, un arcipelago artificiale al largo della costa di Hainan in fase di sviluppo da parte di Evergrande, fa parte del tentativo a lungo termine dell’azienda di espandersi oltre la sua attività principale di costruzione di appartamenti (via Reuters).


2 commenti:

  1. Diliberto: "In Cina non c’è la democrazia occidentale, c’è un’altra forma di democrazia che è il potere del popolo."

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