giovedì 16 gennaio 2020

Stronzi, oh ies !


«Si è spesso cercato di giustificare la schiavitù paragonando lo stato degli schiavi a quello dei nostri contadini più poveri; se la miseria dei nostri poveri non fosse causata dalle leggi della natura, ma dalle nostre istituzioni, la nostra colpa sarebbe grave […]».

Nascere poveri o ricchi è condizione di natura oppure è il prodotto di determinate condizioni economiche e degli antagonismi fra le classi sociali? Eppure già all’epoca in cui venivano scritte quelle parole si sapeva bene com’era avvenuta l’accumulazione originaria (“previous accurnulation”, in A. Smith), di come in Inghilterra a partire almeno dal XVI secolo tale accumulazione s’era svolta. Per quanto riguarda l’espropriazione violenta dei contadini bastava leggere le Holinshed’s Chronicles, la storia dell’Inghilterra che molta influenza ebbe anche su Shakespeare.

Anche allora era noto che il rapporto capitalistico ha come presupposto la separazione fra i lavoratori e la proprietà delle condizioni di realizzazione del lavoro; e che una volta autonoma, la produzione capitalistica non solo mantiene quella separazione, ma la riproduce su scala sempre crescente, come stiamo verificando in modo marcato anche nel presente.


Com’è possibile che una delle menti più brillanti di ogni tempo possa credere che la povertà, all’opposto della schiavitù, sia causata dalle leggi della natura, e che dunque lo sfruttamento e il dispotismo di classe sia giustificato da tali leggi? La spiegazione è molto semplice, ciò è dovuto alla posizione di classe di chi ha scritto quelle parole (*). Dietro il pregiudizio borghese si nasconde un preciso interesse, posto che la condizione dei poveri, del proletariato in generale, è il terreno stesso sul quale i proprietari si appropriano della ricchezza e possono vivere nel privilegio, ossia grazie al lavoro e ai servigi dei “poveri”.

Pertanto non abbiamo a che fare con una legge di natura, ma con le leggi di sviluppo storico. Possiamo dimostrare come nella odierna società capitalistica si sono finalmente costituite le condizioni materiali che abilitano a spezzare quella maledizione sociale? Certo che possiamo dimostrarlo, con abbondanza e in agilità. Oppure dobbiamo, tra l’altro, continuare a credere, come vogliono farci credere, che sia, in generale, il merito a prevalere e non la condizione sociale?

Ha ragione Alessandro Barbero, bisogna togliere il saluto a chi parla di meritocrazia. E fosse per me toglierei a codesta gente anche il presupposto materiale a sostegno di tale loro posizione, proprio per verificare quanto (e in quanti) siano davvero meritevoli e capaci di salire dai gradini più bassi della società di classe verso i gradini più alti.

(*) Viaggio di un naturalista intorno al mondo, Einaudi, p. 466.

22 commenti:

  1. Occorre sgombrare il campo dai pregiudizi, anche se è difficile per tutti noi. Per esempio, Darwin era anche lui uno che si prendeva meriti altrui, proprio in ragione della sua posizione sociale(vedasi T.Wolfe, The Kingdom of Speech, 2016).
    Nel merito: noi abbiamo assistito, nei primi decenni del dopoguerra, al primo caso nella storia italiana di funzionamento dell'ascensore sociale. Il quale successivamente si è inceppato completamente. Sulle ragioni prima dell'innesco e poi dell'inceppamento, ognuno può dire la sua, ma, visto che parliamo di scuola, io direi: la scuola italiana statale era la migliore del mondo, ed essendo la migliore ed essendo statale ha consentito a tanti figli di poveracci di migliorare la loro condizione, fino a casi eclatanti di self-made-men. Quello che è successo dopo non può nasconderselo una persona come te che ha in spregio la sinistra riformista: la scuola è diventata essa stessa ascensore sociale per una minicasta di proletari della raccomandazione collettiva (in poche parole, braccia sottratte al lavoro manuale e messe in cattedra) ma ha cessato, per ciò stesso, di essere condizione facilitante dell'ascensore sociale per gli studenti.
    Oggi, bene fa la scuola romana di Via Trionfale a praticare la divisione classista. Significherebbe (se fosse vero) che una scuola statale ha ripristinato, sia pure solo per gli abbienti, un insegnamento migliore. Capisco che guardare la realtà sia, a volte, insostenibile: ma le rampogne dovrebbero andare a chi non lo fa. L'istituto di Via Trionfale tenta di sottrarre gli studenti di famiglie abbienti alla scuola privata, o addirittura alle scuole estere. Impossibile farlo per tutti: ciò implicherebbe una scuola selettiva, con espulsione degli studenti meno capaci e anche degli insegnanti meno capaci. Ripeto, im-pos-si-bi-le.
    Pertanto, se posso muovere critiche alla scuola di Via Trionfale, si tratta di critiche diverse da quelle che leggo su tanti mezzi di informazione. Eccole:
    1. Comunicazione poco intelligente: dovevate dire quali sono le caratteristice dell'insegnamento nel plesso "nobile", non andare direttamente all'analisi sociologica della provenienza degli studenti;
    2. Comunicazione di dubbia attendibilità: dovete ancora provare che i docenti sono davvero all'altezza.

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    1. dopo una prima fase di afasia ritrovo la parola.

      Non è tanto la scuola ad essere cambiata, anche se è vero che la scuola necessariamente cambia nel tempo. Che abbia perso la funzione di ascensore sociale e che il benedetto pezzo di carta non funga più come un tempo quale mezzo sicuro per conquistare una posizione sociale migliore, quando bastava un diploma o una laurea in genere (o anche solo la terza media) per aver titolo adeguato per occupare un posto di medio o alto livello nell’ambito della divisione sociale del lavoro, è dovuto soprattutto al fatto che molte figure professionali di un tempo non sono più richieste, oppure sono diventate marginali, perdendo prestigio e buona remunerazione. Tanto per uscire da una visione troppo impressionistica delle cause. La scuola è specchio della società.

      Quanto al fatto che l'istituto di Via Trionfale tenterebbe a sottrarre gli studenti di famiglie abbienti alla scuola privata, o addirittura alle scuole estere, osservo che di solito l’adire alla scuola privata avviene per evitare “difficoltà” in quella pubblica, non perché quest’ultima sia di livello inferiore, tutt’altro. Nel caso specifico, la scuola dell’obbligo di via Trionfale, ho il fortissimo sospetto che c’entri la volontà dei genitori “abbienti” non tanto di evitare i Garrone, i Crossi, i Percossi, ma di non mischiare i propri figli con “altre” presenze.

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    2. Dopo una vita passata a fare tutt'altro, negli ultimi anni mi sono occupato di istruzione. Lo dico non per conferire autorevolezza alle mie argomentazioni, ma per testimoniare che sono sensibile al tema scuola-lavoro, e che lo riconosco come criticità principale della scuola italiana, da sempre. Infatti, quando dico che la scuola statale italiana era -ripeto, era- la migliore, mi riferisco all'istruzione preuniversitaria. Senza entrare nel perché le università italiane siano da sempre meno eccellenti, fermiamoci alle scuole primaria e secondaria. Nelle grandi città italiane, andrebbero organizzati tour di visita agli edifici scolastici. Si riscontrerebbe che sono edifici di enormi dimensioni, per la grandissima parte costruiti nei primi 60 anni dall'unità d'Italia. Non mi starò a dilungare con te sulla statura dei ministri dell'istruzione nell'Italia dei notabili, né sull'immane compito di far uscire le masse dall'analfabetismo e la scuola dal dominio clericale. Dico solo che questi edifici mi commuovono più di qualsiasi altra costruzione, perché mi immagino, in fulminea sequenza, moltitudini di studenti, per la maggior parte con le scarpe rotte, e un numero meno consistente, ma lo stesso imponente, di insegnanti con il vestito sdrucito. Non vorrei sovrappormi a De Amicis (peraltro meno conservatore di quel che comunemente si pensi) ma credo che quella gente abbia fatto il Paese. E sono in disaccordo con il primo periodo della tua civile risposta, perché la filosofia del pezzo di carta si è venuta affermando soprattutto negli ultimi anni.
      Ma veniamo, appunto, agli anni attuali. Nel valutare rapporto fra scuola pubblica e privata, tu sei ancora ai tempi tuoi. Domandati: dove mandano a scuola i loro figli i ricchi di oggi? La risposta è variegata, ma una cosa ti posso garantire: se i figli dei ricchi hanno compagni di scuola stranieri, è più facile che siano svizzeri che nigeriani. Per farla breve: i genitori abbienti sono oggi selettivi riguardo alle scuole, esattamente come lo sono sempre stati i genitori upper-class inglesi o americani, e come lo sono, oggi, i genitori turchi, o cinesi, o indiani: sempre upper-class, naturalmente. Ai miei, e, suppongo, ai tuoi tempi, in Italia non era così: i figli dei ricchi andavano alla scuola statale, senza preoccuparsi troppo di scegliere la sezione; solo i ragazzi “difficili” finivano nelle private. Così una cosa è certa: la scuola oggi è meno egualitaria, e, soprattutto, risucchia all’ingiù i figli delle classi medio-basse.
      Allora, se la situazione è quella dell’Inghilterra o dell’India, lasciamo perdere le cause: ci sono scuole di serie A e scuole di serie B. Io domando: le scuole di serie A devono necessariamente essere private?

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    3. scusate se mi inserisco nella discussione...
      che si stiano istituendo scuole di serie A & B, questo purtroppo è un dato di fatto che , a quanto sembra dall'articolo, si sta affermando anche in Italia: purtroppo questo ribadisce l'esasperazione della divisioni in classi sociali /di censo.
      Immagino che questo esistesse anche ai bei tempi andati,probabilmente in scala forse ridotta.
      Tuttavia non è che la progressione del fenomeno sia proprio un gran bella cosa.
      Quanto all'ascensore sociale , se si è rotto, non mi sentirei di additare la scuola a causa di ciò

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    4. Oltretutto un ascensore ha i posti contati

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  2. Il vero problema della scuola italiana, oltre al deterioramento degli ultimi anni, è che tante scuole pubbliche, pur non utilizzando la medesima divulgazione della scuola di via trionfale in Roma, di fatti, nella composizione delle "classi", favoriscono la composizione di sezioni ghetto e d'elite.
    AG

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    1. è vero, lo so da decenni che nella formazione delle classi scolastiche prevalgono certe logiche. quando frequentai la prima media, siccome provenivo dai bastioni di orione, mi misero in una prima composta esclusivamente da alunni bocciati l'anno prima. non per mio merito facevo un figurone, ma fu anche un handicap poiché gli insegnanti non erano certo i migliori.

      non ci sono solo classi e sezioni d'elite, ma anche scuole pubbliche dove solo i migliori entrano e riescono. ma questo non è un male. male è di non dare a tutti l'istruzione migliore con insegnanti all'altezza del compito. molti insegnano solo perché in tal modo trovano un impiego.

      ad ogni modo oggi si dovrebbe evitare di comporre classi dove più della metà degli alunni presenta varie difficoltà, ma non sempre è possibile.

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  3. Sembra banale, ma a prescindere da qualsiasi considerazione etica o politica, la scuola statale in Italia risponde alla Costituzione italiana che non è ancora carta straccia. Ha quindi un compito ben preciso, che non è sicuramente quello di discriminare, al contrario. Le discriminazioni (sempre odiose), nell'ambito educativo lo sono anche di più e, a mio modesto parere, nella scuola sono anche controproducenti dal punto di vista educativo e formativo in quanto, per iniziare, limitano il confronto e la dialettica fra diversi e quindi l'esperienza. Al netto di tutti i problemi e di tutte carenze, la scuola pubblica statale resta un caposaldo imprescindibile di civiltà e di ricchezza. Guai se non ci fosse. Certo, anche qui si vuole spianare totalmente la strada al pensiero unico dominante neoliberista egoista classista e regalare tutto ai privati e alle aziende, sempre molto più efficienti. Eppure si vedono bene in giro già ora le macerie! Non lavoro nella scuola ma la mia figliola frequenta l'università (statale) e trovo superficiali e soprattutto fuorvianti alcuni giudizi espressi sui docenti.

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    1. Sono d'accordo, ma sui docenti resto dell'avviso che bisognerebbe selezionarli meglio e magari qualche valutazione in merito al loro stato psichico sarebbe opportuna

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  4. Cara Olympe ,

    una valutazione andrebbe fatta anche ai genitori
    Dopodichè appena prima dei bei tempi andati,(anni 50) le Medie erano pochissime in Provincia.
    Bisognava andare dai preti o dalle suore,in collegio.

    caino

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    1. a molti genitori serve lo psichiatra, ma uno bravo. comunque non sono dipendenti pubblici.

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    2. purtroppo negli anni ho avuto esperienze al limite della follia per quanto riguarda alcuni (per fortuna pochi) insegnanti. i presidi se ne lavavano le mani, dicevano di essere impotenti, volevano tenersi buoni i sindacati e il resto. si arrivava al punto che si cambiava scuola ai figli, in massa.

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  5. La scuola dovrebbe servire a formare Cittadini. Persone che Pensano. Persone che vivono in una società basata sul concetto “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”.
    Invece la scuola, nel contesto attuale, è la continuazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che fino agli assolutismi era basato sulla violenza, e oggi, in “democrazia”, sull’ottundimento di menti e coscienze. esemplare questa dichiarazione: *Il ministro della P.I. BACCELLI nel 1894 nel fare il programma sulla nuova "Riforma della Scuola così si esprimeva nel suo preambolo:... bisogna insegnare solo leggere e scrivere, bisogna istruire il popolo quanto basta, insegnare la storia con una sana impostazione nazionalistica, e ridurre tutte le scienze sotto una.........unica materia di "nozioni varie", senza nessuna precisa indicazione programmatica o di testi, lasciando spazio all'iniziativa del maestro e rivalutando il più nobile e antico insegnamento, quello dell'educazione domestica; e mettere da parte infine l'antidogmatismo, l'educazione al dubbio e alla critica, insomma far solo leggere e scrivere. Non devono pensare, altrimenti sono guai!"

    https://appelloalpopolo.it/?p=25040

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    1. ''La scuola dovrebbe servire a formare Cittadini. Persone che Pensano. Persone che vivono in una società basata sul concetto “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”

      beh detta così la cosa mi sembra un po' vaga e speranzosa: la scuola dovrebbe formare anche gli individui per affrontare una cosa chiamata mondo del lavoro.
      Inevitabile che si debba dare poi agli allievi una qualche forma di educazione civica e autonomia di pensiero: ahime, ma questa e' solo la mia opinione , a seconda del periodo storico in cui ci si trova si propende solo per la formazione tecnica oppure per la formazione dell'anima (raramente) oppure nessuna delle due.
      Ma questa conseguenza , purtroppo dipende non solo dal tipo di società in cui ci si trova ma pure dal materiale a disposizione: lato insegnanti e lato allievi......
      e come al solito vedremo

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  6. vorrei, se mi è permesso, inserirmi in questa discussione. Le posizioni di Olympe e di Erasmo contengono entrambi elementi di verità ma non colgono quello che secondo me è il nodo della questione e che riguarda, ancora una volta, l'atteggiamento con cui sì pone lo stato. La situazione attuale infatti deriva da una precisa scelta politica (pd per sintetizzare) secondo la quale lo stato dovrebbe invogliare i genitori a preferire la scuola pubblica a quella privata. Non semplicemente permettere la libera scelta, come sancito dalla costituzione, ma mettersi in una posizione di esplicita competizione con la scuola privata, alla quale però paradossalmente non vengono, nello stesso tempo, negati aiuti e agevolazioni. Parallela e omogenea a questa scelta c'è quella di mettere le scuole e gli insegnanti in competizione tra loro. Posto ciò non può non derivarne l'attuale insostenibile stato di cose. La discriminazione in base al censo (rectius: peso, influenza sociale) è largamente praticata però non ammessa. Non la sì può ammettere, come nel caso di cui sì parla, perché questo causerebbe insanabili cortocircuiti logici e giuridici. Uno fra tutti: con quale motivazione potrebbe essere negata la richiesta di un disoccupato che il proprio figlio frequenti il plesso "upper" ?

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    1. (mi scuso per la coda)
      qualunque sistema, che sia l'intera società, una classe scolastica, un insieme di stati, i detenuti di un penitenziario etc. se abbandonato all'unico elemento regolatore della competizione, diventa ben presto ingestibile, malgrado possa attraversare periodi di relativo equilibrio.

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    2. Chi si sia occupato di concorsi e abilitazioni dei docenti (non parlo qui dell'università) non può che sorridere quando legge la frase "abbandonato all'unico elemento regolatore della competizione".
      Deve essere chiaro: io non vengo qui a fare il saputello, e so riconoscere un commentatore in buona fede. Ma credimi, Soggettonascosto: sei fuori strada, e di molto.

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    3. Non capisco cosa tu voglia dire, che c'entrano i concorsi ? È ovvio che i dipendenti statali vengano selezionati tramite concorso. Altrettanto ovvio che i concorsi possano essere soggetti a mille interferenze diverse. Ma questo non attiene né a scelte politiche, né mi sembra c'entri qualcosa col discorso.

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    4. Allora, fuor di polemica:
      1. La faccenda della competizione e del relativo marketing era già venuta fuori, pari pari, in passato: https://www.roars.it/online/licei-classisti-il-frutto-avvelenato-di-un-decennio-di-politiche-scolastiche/. Si veda, nell’informato articolo, la frase “Accade così che i rapporti di autovalutazione, resi pubblici per decisione di INVALSI-MIUR, diventano strumenti di marketing per le scuole.”
      2. Il fatto che LE scuole (non solo quella di Via Trionfale) prima rispondano ai questionari INVALSI, poi usino lo stesso materiale per fare marketing, la dice lunga sulle doti di “manager” dei dirigenti scolastici. E’ il frutto marcio di molti errori ministeriali, ma, più che al MIUR, questa perversa impostazione va fatta risalire al ministero della PA, o come cavolo si chiamava al tempo di Bassanini.
      3. La competizione fra scuole statali deriva dal fatto che più studenti si hanno, più risorse vengono assegnate. Oltre a pavoneggiarsi con pretese elitarie, l’altra e più corposa politica è “non bocciare”.
      4. Poiché tutto il resto è incuria e delega alla buona volontà del singolo docente (si chiama “autonomia”) è possibile che sia formalmente corretta la frase “abbandonato all'unico elemento regolatore della competizione”, e se essa significasse che tutto il resto è caos indistinto: e mi scuso allora per la mia incomprensione. Ma se invece significasse che è l’unico problema, allora no, non mio scuso. Il fatto è che il contesto è di anarchia e di caduta qualitativa senza freni. In altri termini, il problema della scuola statale è che non garantisce la qualità dell’istruzione, mentre un tempo sì. All’università arrivano in massa studenti che non sanno l’italiano, per dire la cosa più immediatamente visibile. E come mai non sanno l’italiano? Forse è perché non lo sanno neanche i docenti: ed ecco perché, esprimendomi in modo forse ellittico, citavo i concorsi, dove si producono testi scritti che testimoniano abissi di ignoranza.
      5. Quindi, a mio parere, il problema principale della scuola non è la competizione, che è un orpello posticcio appiccicato da qualche ministro, ma la qualità, che è carente in tutti gli stadi del processo. Se poi metti professori che non sanno l’italiano in classi dove la metà degli studenti ha l’italiano come seconda o terza lingua, un po’ di comprensione per quei docenti ti viene spontanea. Pur senza dimenticare la domanda in background: ma tu, docente, come ci sei arrivato lì?

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    5. sono d'accordo che l'elemento della qualità, a partire da quella del corpo docente, sia quello più importante. Ma da dove deriva questa "mancanza di qualità" ? Da un lato sarebbe facile rispondere che i migliori sono dissuasi dall'insegnamento dagli stipendi bassi, dal sistema di reclutamento che ormai si potrebbe definire quasi vessatorio, dai problemi di disciplina e di rapporto coi genitori che li aspettano etc. etc. Ma non sarebbe ancora l'essenziale, sarebbe solo il solito argomento sentito centinaia di volte. E allora mi rassegno pure io alla massima che di solito chiude tutte le discussioni sulla scuola e cioè che "la scuola è lo specchio della società". Cordiali saluti.

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  7. ...un caso avvenuto di fresco in una IV primaria. Bambino autistico intrattabile, si denuda in pubblico, si scaglia spesso contro compagni, insegnanti o arredi. L'intero consiglio di classe, con parere stabile nel tempo, pensa che la permanenza del bambino a scuola, oltre che inutile per lo stesso, è pregiudizievole per l'incolumità di compagni e insegnanti e gravemente pregiudizievole per il regolare svolgimento delle lezioni. La preside sì rifiuta di allontanarlo o almeno limitare il suo tempo scuola. Ma non è colpa della preside. Per provare ad allontanarlo d'autorità con qualche speranza di successo dovrebbe possedere il coraggio di una Giovanna d'Arco e la competenza giuridica di un magistrato di cassazione. È che si è riusciti a introdurre surrettiziamente, nel senso comune come nella legislazione, l'idea balzana che può funzionare un'istituzione (la scuola, in questo caso) che dica sempre e solo dei sì e mai dei no. Il caso è senza dubbio eccezionale ma il collegio che si tiene nel pomeriggio riporta la situazione nei consueti canoni di tutte le scuole italiane. C'è molta preoccupazione perché sembra che quest'anno non si riesca a raggiungere il fatidico traguardo delle 600 iscrizioni, che permetterebbe di conservare "l'autonomia" . Si alzano veleni e accuse reciproche di poca collaborazione e di scarso impegno nel favorire e sollecitare nuove iscrizioni. Il momento è grave, qualcuno dice pure che rischiamo di perdere "l'identità", anche se nessuno prima d'ora aveva pensato che il proprio istituto avesse una particolare identità da tutelare. La preside non si tira indietro e si prende la propria parte di responsabilità: evidentemente non è stata abbastanza brava a trasmettere la propria "mission" e la propria "vision". ("Mission e Vision di sta gran minchia", pensa più d'uno). Ma ripeto, non è colpa della preside che sembra anzi più sensibile e competente della media. È che ormai sono formati e si comportano come dei manager. Manager sì, ma anche burocrati ed esperti di metodologia didattica. E quindi non viene neanche risparmiato un fermo rimbrotto alle docenti della primaria che si ostinano a programmare "per obiettivi" invece di programmare per "competenze". Può sembrare una questione burocratica ma non lo è, perché c'è il rischio che qualcuno del ministero sì accorga del mancato adeguamento alle nuove (in realtà ormai vecchie) direttive e questo potrebbe avere spiacevoli ripercussioni sul buon nome dell'istituto e sulla sua capacità di raggranellare fondi. In ogni caso, domani è un altro giorno...

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