Il 30 gennaio 1933, com’è noto, il
presidente della Repubblica di Weimar, conferì al signor Adolf Hitler, un
bohémien apolide divenuto cittadino tedesco da meno di un anno (1), l’incarico
di formare un nuovo governo, con esplicito divieto di presentarsi dinanzi a lui
se non accompagnato da von Papen. Hindenburg sapeva bene che
Hitler non era una meteora, ma un reale e costante pericolo; ne fa fede la sua lettera a Hitler stesso del 24 novembre 1932: nessun incarico per la formazione di un gabinetto Hitler con pieni poteri, poiché un "gabinetto del genere", guidato da Hitler, si trasformerebbe "inevitabilmente nella dittatura di un partito".
È pur vero che il grande capitale, almeno fino alla metà del 1932, quando la crisi economica divenne virulenta, restava piuttosto freddo e anzi perplesso di fronte a Hitler e alla sua retorica anticapitalista (vedi il discorso del 27 gennaio 1932 ai membri del Club degli industriali di Düsseldorf), ma è altrettanto vero che con la ripresa dell'inflazione, i milioni di disoccupati, artigiani e piccoli proprietari sul lastrico, aristocratici declassati e con le pezze al culo, avevano perso ogni fiducia, semmai molti di essi l’avessero avuta, nella Repubblica e nei partiti politici tradizionali (2).
È pur vero che il grande capitale, almeno fino alla metà del 1932, quando la crisi economica divenne virulenta, restava piuttosto freddo e anzi perplesso di fronte a Hitler e alla sua retorica anticapitalista (vedi il discorso del 27 gennaio 1932 ai membri del Club degli industriali di Düsseldorf), ma è altrettanto vero che con la ripresa dell'inflazione, i milioni di disoccupati, artigiani e piccoli proprietari sul lastrico, aristocratici declassati e con le pezze al culo, avevano perso ogni fiducia, semmai molti di essi l’avessero avuta, nella Repubblica e nei partiti politici tradizionali (2).
Hitler da cancelliere ebbe un asso
nella manica, si chiamava Hjalmar Schacht, suo estimatore da tempo. La geniale trovata
dei buoni IOU, emessi per conto della misteriosa e anzi fittizia MefoGmbH, avrebbe meritato il
Nobel per l’economia (3).
*
Di Hitler s’è detto di tutto e ancora
molto si dirà sul suo conto (anche per questo motivo non ho nessuna fretta di
leggere il recente lavoro di Volker Ullrich), non di rado a sproposito. Ad ogni modo è stato indubbiamente il personaggio che ha segnato
più di ogni altro la sua epoca. Un fanatico sicuramente, uno psicotico pervaso
da un’acuta ipocondria, un arrogante che aveva come sottostante un complesso
d’inferiorità, tuttavia molto lucido nei suoi propositi e obiettivi. Ne fa
testo, tra i molti fatti che si possono citare a riguardo, il messaggio che
all’inizio del conflitto mondiale inviò al suo alleato di Roma (4).
In tale messaggio, Hitler espone a
Mussolini, tra l’altro, il convincimento che la lotta cui va incontro è per la
vita o per la morte. Anche se presentemente seguono strade diverse, la Germania
e l’Italia sono unite da un destino comune. Quale? Hitler apertis verbis
sostiene che se la Germania
nazionalsocialista fosse distrutta dalle democrazie occidentali, anche l’Italia
fascista andrebbe incontro ad un grave avvenire, sottolineando di essere
consapevole che anche Mussolini la pensa allo stesso modo! Immagino che
Mussolini leggendo quelle parole si sia toccato nelle parti meridionali. E tuttavia stette al gioco e portò avanti il suo bluff fino all’ultimo.
Hitler, invece, non bluffava.
IL CANCELLIERE DEL REICH, HITLER, AL CAPO DEL GOVERNO,
MUSSOLINI
Messaggio trasmesso telegraficamente dal Ministro degli Affari
Esteri del Reich all’Ambasciatore di Germania a Roma per l’immediata consegna a
Mussolini (Berlino, 3 settembre 1939, ore 20,21, giunto all’Ambasciata tedesca
alle ore 23, consegnato a Palazzo Chigi alle ore 24).
Vi ringrazio innanzi tutto per il Vostro
ultimo tentativo di una mediazione. Sarei stato pronto ad accettare, tuttavia
soltanto a condizione che si fosse potuta trovare la possibilità di darmi
certe garanzie per uno svolgimento fruttuoso della conferenza. Infatti da due
giorni le truppe tedesche operano in Polonia una avanzata che in alcuni punti
è straordinariamente rapida. Sarebbe stato impossibile lasciare nuovamente
svalorizzare con raggiri diplomatici i sacrifici di sangue fatti in tal modo.
Tuttavia io credo che avrebbe potuto essere trovata una strada, se l’Inghilterra
non fosse stata fin da principio decisa a condurre in ogni caso alla guerra. Io
non ho indietreggiato dinanzi alla minaccia inglese, perché, Duce, non credo
più che la pace avrebbe potuto essere conservata per più di sei mesi o, diciamo, un anno. In queste condizioni tuttavia ritenni che
il momento attuale fosse malgrado tutto adatto per resistere. Attualmente la
supremazia delle forze armate tedesche in Polonia è talmente enorme in tutti i
campi tecnici che l’esercito polacco crollerà in brevissimo tempo. Io credo di
dover dubitare che questo rapido successo avrebbe potuto essere ancora
raggiunto in uno o due anni. L’Inghilterra e la Francia avrebbero comunque
riarmato il loro alleato così che la decisiva superiorità tecnica delle forze
armate tedesche non avrebbe più potuto essere così evidente. Sono conscio,
Duce, che la lotta a cui vado incontro è una lotta per la vita o per la morte.
In questo il mio proprio destino non conta nulla. Ma sono inoltre conscio che
non si può a lungo evitare una simile lotta e che bisogna scegliere con fredda
riflessione il momento della resistenza in modo che sia assicurata la
probabilità del successo, e a questo successo, Duce, io credo con fermezza granitica.
Voi, recentemente, mi avete amichevolmente assicurato che credete di potermi
aiutare in qualche campo. Accolgo già in anticipo ciò con sentita riconoscenza.
Ma credo inoltre che – anche se adesso marciamo per vie diverse – il nostro
destino ci legherà tuttavia l’uno all’altro. Se la Germania nazionalsocialista
fosse distrutta dalle democrazie occidentali, anche l'Italia fascista andrebbe
incontro ad un grave avvenire. Io ero già consapevole personalmente di questa
comunanza di destini e di avvenire dei nostri due regimi e so che Voi, Duce,
pensate allo stesso modo. Circa la situazione in Polonia, desidero brevemente
osservare che noi lasciamo naturalmente da parte tutto ciò che non ha
importanza, non sacrifichiamo un solo uomo per i compiti secondari, ma ci
lasciamo guidare in tutta la nostra azione soltanto da grandi compiti
operativi. L’armata settentrionale polacca che si trova nel Corridoio è già,
mediante questa nostra linea di azione, completamente accerchiata. Essa sarà
annientata o si arrenderà. Quanto al resto, tutte le operazioni si svolgono
conformemente ai piani. Il rendimento giornaliero delle truppe è superiore ad
ogni aspettativa. La padronanza della nostra arma aerea, benché in Polonia se
ne trovi appena un terzo, è esclusiva. Ad occidente manterrò un atteggiamento difensivo. La Francia
può qui per il momento sacrificare il suo sangue. Verrà il momento in cui anche
colà faremo fronte all’avversario con tutte le forze della Nazione. Accogliete ancora una volta il mio ringraziamento,
Duce, per tutti gli appoggi che mi avete dato in passato e che Vi prego di non
volermi negare anche in avvenire (5).
(1) I. Kershaw, trad. it., p. 362.
(2) Singolare che Hitler definisse la borghesia nazionalista il "vero nemico della Germania", cit. da J. Fest, trad. it, p.414.
(2) Singolare che Hitler definisse la borghesia nazionalista il "vero nemico della Germania", cit. da J. Fest, trad. it, p.414.
(3) A. Tooze, trad. it., pp. 82-83.
(4) Hitler non scrisse nulla di
propria mano, salvo qualche cartolina. Dettava. Il suo dettato, così come i
suoi estenuanti monologhi, era scevro d’ogni ricercatezza linguistica e
stilistica, il suo periodare tediosamente piatto, ripetitivi i temi trattati,
striati di divorante, maniacale ossessione antiebraica.
(5) Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici italiani, Ottava
Serie: 1935 - 1939, vol. XIII, Libreria dello Stato, Roma, 1953, pp. 386-87.
della lettera di Hitler mi colpisce la contraddizione tra il definire probabile il successo della "resistenza" contro lo schieramento avversario e, subito dopo, dichiararsi graniticamente sicuro di tale successo. Un esempio di pensiero magico in una personalità paranoica,senza dubbio. Ma non solo. Sono propenso a credere che Hitler abbia sempre pensato e agito come un politico, estremizzando ma non sostituendo le tendenze connaturate alla politica quale si presenta nelle democrazie rappresentative. Tranne rarissime eccezioni, infatti, che cosa fa un politico, di qualunque livello e colore, in una democrazia se non offrire certezze che lui stesso non ha e che non potrebbe avere ?
RispondiElimina''Un fanatico sicuramente, uno psicotico pervaso da un’acuta ipocondria, un arrogante che aveva come sottostante un complesso d’inferiorità, tuttavia molto lucido nei suoi propositi e obiettivi''
RispondiEliminala descrizione dei manager moderni che hanno affossato l'occidente