Buon Anno!
In attesa del brodino e di metterci in
sintonia con La Fenice (le due cose vanno giù assieme), ricapitolo le ultime
ore a latere della riflessione sui grandi assilli, esistenziali e no, che immancabilmente
si presentano poco prima della malinconica e anche insulsa veglia di san
Silvestro.
Trascorriamo le ultime ore dell’anno con le
solite coppie di amici (catalogazione generosa), circondati da sbracati di ogni
grado e mises male assortite. L’identico
menù di pesce crudo e cotto, ma comunque surgelato (nessuno si faccia
illusioni), le medesime chiacchiere con quest’ordine: dapprima pettegolezzo locale,
quindi, dopo qualche bicchiere, discorsi sui grandi sistemi, con le immancabili
perorazioni su che cosa sarebbe meglio invece del tanto peggio che
promette il futuro e mantiene precario il presente. Poi, esaurito quel
repertorio per progressivo disinteresse, giungono patetici i ricordi su quanto
eravamo giovani quando lo fummo, magnificando episodi che magari in realtà
furono pessimi.
E così si tira fino a mezzanotte, quando ci
si scambiano gli auguri, tra abbracci e baci, per poi iniziare una frenetica
digitalizzazione sul proprio microtelefono, inviando il buon anno a figli,
nipoti, parenti e amici vicini e lontani, dapprima con mirabolanti formule
d’auspicio e poi frasi viepiù sempre più laconiche e stanche. Ed è quello il momento, pur
nel frastuono che ci circonda, in cui forse ci si sente più soli, almeno a tratti.
Per me ha inizio la fase peggiore della
serata, poiché in pochi minuti mi trovo indietro d‘un secolo e anzi più. Non
credo sia un mio limite se non capisco come possano chiamare musica ciò che è
indistinguibile dal rumore di una turbina che ferisce i timpani. E poi tuo
malgrado, dopo qualche supplica del coniuge, devi concederti quantomeno per un paio di quei
balli convulsi e senza grazia che sono il motivo non inconscio per avere in
ubbia il capodanno.
Il mio ricordo va ad altri giorni e altre
feste, come quella del Redentore nel 1969, anch’essa notturna ma a cielo
aperto, con barche pavesate e cariche di vettovaglie, posizionate sul Canale
della Giudecca, con le luci e i fuochi d’artificio rispecchiati sull’acqua
marezzata. Non so più quale dei Dumas scrisse Le Notti veneziane. Poco importa, mi chiedo se avrà davvero veduto
questa festa antica, ossia per com‘era e non per come anch‘essa in larga parte non è più.
Da questi pensieri mi desta il prosaico annuncio del cotechino
con le lenticchie (dopo un pasto già eccedente), ossia trionfanti porzioni da
sfamare il Biafra e dintorni, che decliniamo senza quasi nascondere la nostra
nausea satolla.
È questo il segnale, quasi convenuto, per i
saluti e il rinnovo degli auguri, fissando appuntamento tra un anno allo stesso
tavolo per ripetere il rito. Poco dopo le due siamo a casa, così abbiamo modo di
verificare in tv che il nuovo anno a Honolulu, Sidney e Tokio è stato accolto come
sempre con fuochi e allegria. Prima che sopraggiunga Morfeo ci ripromettiamo
che il prossimo capodanno lo festeggeremo diverso e lontano. Certo, come ogni
anno.
Naturalmente non ho commenti da fare sul tuo cenone. Ne ho sul gessoso concerto che ogni Capodanno ci giunge dalla Fenice. Non lo assimilerei al brodino, perché non favorisce la digestione.
RispondiEliminama sì, perciò dico che vanno giù assieme. del resto che altro?
Elimina"la vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia".
RispondiEliminacompriamoci un rolex tarocco
Elimina