giovedì 28 gennaio 2016

Perché Marx era un borghese


È assai interessante un articolo di Giuseppe Galasso apparso ieri sul Corriere della sera in cui il professore critica le posizioni di coloro che in materia di struttura sociale delle classi nella nostra epoca preferisce riferirsi alla cosiddetta “società liquida”, la quale «comporterebbe una “liquefazione” dei legami sociali del più vario genere per effetto dei processi della globalizzazione e del passaggio di massa da produttori a consumatori». Tuttavia, osserva opportunamente Galasso, la società liquida è una categoria troppo ingannevole, poiché «sotto la veste della grande mobilità si possono nascondere processi gerarchizzati e selettivi spietati: i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri».

Prosegue Galasso:

«In realtà, malgrado gli indubbi meriti di Zygmunt Bauman, padre di questa teoria, nel mettere in evidenza alcune componenti del vivere sociale nella società cosiddetta postmoderna, in questa società le strutture e le relazioni sociali, coi relativi rapporti di classe, non sono affatto svaniti, né sono diventati effimeri. Mantengono, invece, la loro presenza e forza, e solo si può dire che, com’è facile intendere, per alcuni versi sono diventati più dinamici, articolati ed equilibrati, per altri versi si sono irrigiditi e squilibrati.
Così, è certo che le vecchie classificazioni sociali (agrari e contadini; proletariato e borghesia; piccola e grande borghesia, e simili) non sono più fungibili. Ne risente non poco l’azione politica, che ha perduto con ciò strumenti tradizionali, ma utili, per non dire indispensabili, di misura e di proiezione programmatica della propria azione».

Galasso in tal modo conferma la vigenza e la continuità dei rapporti di classe, tante grazie, e però ritiene che le vecchie classificazioni sociali siano superate.



È senz’altro vero che la struttura delle classi nel modo di produzione capitalistico non è un’entità immobile nel tempo, immodificata e immodificabile, ma essa è in continua mutazione e transizione. Pertanto l’analisi delle classi deve essere continuamente rinnovata e riedificata ad ogni fase e congiuntura per comprendere gli spostamenti e le tendenze della stratificazione sociale complessiva.

E tuttavia far sparire proletariato e borghesia come d’incanto, magari per sostituirli con categorie come quelle di “poveri” e “ricchi”, è assolutamente insufficiente e fuorviante per una definizione scientifica delle classi sociali e della struttura della composizione di classe. La teoria borghese ha tutto l’interesse a sostituire le “vecchie” categorie di proletariato e borghesia con “gerarchie” di gruppi, caste, ceti determinati e distinti da elementi quali il reddito, la posizione, il prestigio il potere e la distribuzione di esso.

*

Il criterio fondamentale che distingue le classi è il loro posto nella produzione sociale e in conseguenza il loro rapporto con i mezzi di produzione. Diversamente da questa impostazione si scade nella psicologia sociale, nella sociologia borghese, nel giornalismo.

Originariamente il diritto di proprietà si fondava sul lavoro, ma ben presto esso diventa diritto di appropriazione di lavoro o prodotto altrui. Tutta la storia delle civiltà fino ad oggi lo dimostra.

Ecco dunque che alla base della divisione in classi non vi sono gli interessi morali, culturali o religiosi, oppure a legare tra loro gli individui, come molti credono, non sono affinità di vita e nemmeno di reddito, ma vi sono anzitutto i rapporti di proprietà e la divisione sociale del lavoro, tanto che proprietà e divisione del lavoro diventano espressioni identiche.

È di solare evidenza che è il posto che ogni individuo occupa all’interno della divisione del lavoro che determina la sua proprietà.

Va da sé che le classi esistono se non in gruppi, negli insiemi, negli individui, e questi scaturiscono solo dalle classi e attraverso la mediazione delle classi. È vero che ad un esame puramente fenomenico troviamo dei gruppi psico-sociali, dei gruppi di status, determinati soggettivamente dalle motivazioni più disparate (posto di lavoro, luogo di abitazione, interessi culturali, eccetera), tuttavia queste aggregazioni, essendo potenzialmente infinite quanto lo sono gli individui, possono essere sciolte da un’infinità di fatti casuali.

Le classi, invece, sono delle strutture oggettivamente motivate e determinate dalla base economica e dai rapporti complessivi storico-sociali, nei quali gli individui, volenti o nolenti, si generano e ricadono.

Esempio che ho già fatto in altra occasione: Marx ed Engels sapevano benissimo di non appartenere alla classe del proletariato, e tuttavia ciò era indipendente dalla loro volontà e dalla loro posizione politica.

Anche storicamente, le classi sono il prodotto e lo strumento dei gruppi; classi e gruppi non possono essere separati, ma le classi contengono e riassumono in sé i gruppi, anche se l’azione dei gruppi è quella che modifica e trasforma le classi. Il proletariato, come la borghesia, è un aggregato in continua trasformazione. Per proletariato si deve intendere tutti coloro che, espropriati dei mezzi di produzione, dipendono e devono vendere la loro forza-lavoro per un salario ai proprietari dei mezzi di produzione.


Tale definizione, ossia quella di proletariato, è sempre in relazione al capitale inteso come rapporto sociale. Perciò non tutti i proletari stanno in una identica relazione rispetto al capitale sociale. Ma di questo ho già scritto in precedenza, non voglio annoiare e soprattutto complicare le cose.

8 commenti:

  1. un ottimo chiarimento nella nebbia della disinformazione "borghese".
    Ma la guida "borghese" delle rivendicazioni "proletarie" e' cosa antica ben più di Marx&Engels e proprio questo continuo ritorno e ( di sicuro fino ad oggi) continuo fallimento di queste rivendicazioni, lascia pensare che questo rapporto di classe sia un immutabile della storia umana.
    In fondo anche la rivoluzione russa non costitui' subito la sua "borghesia" ?

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    1. sì, anzi Lenin stesso ammise che c' era bisogno di accumulare un pò di capitale tramite la NEP, mantenendo la divisione di classe. Forse lui e Trotskij sarebbero stati in grado di governare questo processo, forse no, quello che invece successe sicuramente è che il processo stesso governò il rozzo Stalin e i boscevichi.
      Ma a mio avviso è sbagliato semplificare e fare della burocrazia sovietica una classe, cioè interpretarla come borghesia. Questo non per difenderla ma per accusarla nella sua peculiarità: lo Stato può essere tranquillamente una forma giuridica transitoria della proprietà senza per questo scalfire il rapporto capitalistico di dominio e sfruttamento, i suoi funzionari amministrano i suoi beni pur senza esserne i proprietari, pur ricevendone fama, onore, privilegi. Alla lunga però ciò porta a gravi inefficienze dal punto di vista dell' accumulazione, anche in Italia ne sappiamo qualcosa.

      Sull' immutabilità del rapporto di classe: tutto lo presuppone e lo pone, non può affatto essere un'acquisizione spontanea

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    2. Lei pone una questione seria e che però non può trovare risposta in una nota a pie’ di pagina. Un tema che va posto nei suoi giusti termini, sia da un punto di vista storico che “logico”.

      Ad ogni modo va detto anzitutto che la storia così come la natura non fa salti. Lenin, come ricorda l’amico qui sopra, era ben consapevole che la NEP sarebbe dovuta durare decenni, ma sarebbe potuta durare pure secoli se non si fosse pervenuti ad un grado di sviluppo economico sociale adeguato. Egli era conscio come chiunque dell’arretratezza di quell’immenso paese prevalentemente agricolo dove i contadini vivevano nella medesima condizione dei loro avi.

      La burocratizzazione e l’esperienza stalinista, che avrebbero condizionato la storia sovietica successiva, furono un prodotto di quelle condizioni e di un dato quadro dei rapporti internazionali. Un discorso analogo può essere fatto per la Cina. In un certo senso, nemmeno troppo laterale, quei sistemi hanno costituito la fase dell’accumulazione originaria così come in altre forme si era avuta in occidente.

      Per quanto riguarda l’oggi, ci troviamo in una situazione davvero inedita, dentro una rivoluzione tecnica e tecnologica che non potrà non avere risolti, anche drammatici, nei rapporti sociali, politici e giuridici, non meno che geopolitici. Si annunciano mutazioni che per la loro rapidità, ampiezza e profondità non credo trovino confronti adeguati con il passato. Davanti a noi non si apre una sola strada, un’unica prospettiva, e sui rischi, anche involutivi, mi pare non si presti sufficiente attenzione. Ad ogni modo per il mondo che abbiamo conosciuto è suonata la campana a morto, già da tempo.

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    3. se non si fosse pervenuti ad un grado di sviluppo economico sociale adeguato

      hai fatto bene a sottolinearlo, e aggiungo: e all'allargamento della rivoluzione sociale oltre i confini sovietici

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  2. Per non trovare una guida non 'borghese' bisogna risalire fino a Spartaco.
    I proletari non hanno strumenti culturali sufficienti e l'istituto della delega diventa fondamentale. Restando nel caso russo, il nominalismo poco conta e poco cambia, non chiamiamola borghesia (*) ma classe dirigente.
    Non ci è dato sapere se Lenin e/o Trotskij sarebbero stati in grado di gestire sino in fondo una serie di difficili ed enormi problemi, resta il fatto che ahimè Lev Davidovič Bronštejn è morto assassinato in Messico e Stalin è campato in salute sino al 1953. Con tutto ciò che tuttora per il suo operato, e non solo il suo,ne consegue. Certo lo classifichiamo 'rozzo' ma intanto lo zar georgiano ha saputo utilizzare alcune importanti leve psicologiche
    nelle 'masse' che hanno portato al sacrificio venti milioni di persone.

    Aldous Huxley ha scritto che il fatto che gli uomini non imparino molto dalla Storia è la lezione più importante che la Storia ci insegna.

    Sono sempre dell'avviso che dei dirigenti, pur ideologicamente
    e praticamente distanti, vadano sempre considerati i comportamenti pubblici e quelli privati. Non confondiamo il ruolo pubblico con le abitudini private.


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  3. Addendum.
    Nel senso che la coerenza di messaggio e di vita non è un optional.

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  4. Anne-Marie Thierse in :"La creazione delle identità nazionali in Europa" scrive ..quando però la nazione diventa principio politico supremo ,il contesto economico e sociale in Europa ,non è più quello di prima. :il capitalismo industriale si è imposto come modo di produzione ,e la crescita di un nuovo gruppo sociale il proletariato operaio ,rende evidente una spaccatura sociale e un Riferimento identitario concorrente dall'idea di nazione.
    ..all'internazionalismo sulla base dell'appartenenza di classe ,si contrappone l'unione interclassista sulla base dell'appartenenza nazionale.
    Da questo scontro che costituisce l'asse principale della storia europea del Novecento, SEMBEA CHE LA NAZIONE SIA USCITA VINCITRICE, grazie alla potenza irresistibile del capitalismo, senza dubbio, e al FALLIMENTO DEI TENTATIVI COMPIUTI PER SOSTITUIRGLI UN ALTRO MODO DI PRODUZIONE, ma grazie anche alla potenza della dell'idea nazionale come comunità fraterna, solidale e protettrice...."

    Dal mio punto di vista è solo un modo diverso di vedere lo stesso problema, poiché l'autrice afferma poco più avanti che la mondializzazione dell'economia mette in dubbio la sovranità degli stati nazione..e il Welfare sta crollando.

    Vedremo come finirà.
    Rimane indubbio che nulla sarà più come prima abbastanza rapidamente ,come Olympe afferma giustamente, nonostante tutti gli illusionismi ed illusionisti che ci propinano.
    La sociologia borghese poi non è più valida in quanto nata in un contesto economico di Welfare in Occidente.
    Amen

    Caino

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