domenica 3 gennaio 2016

Peggio non potranno fare


Singolare rapporto quello della Francia con Roma. A dirigere le operazioni del celebre sacco del 1527 fu il connestabile di Borbone. A raccontare l’impresa fu Jacopo Buonaparte, gentiluomo sanminiatese, che vi si trovò presente ai fatti: Le Sac de Rome, écrit en 1527 par Jacques Bonaparte. A tradurre quest’opuscolo in italiano, nel 1830, ci pensò un francese, Napoléon-Luois Bonaparte, fratello maggiore del futuro Napoleone III, morto a Firenze nel 1831 (*).

Tra una pubblicazione e l’altra, intercorse la prima invasione dei francesi a Roma, sotto il Direttorio, ad opera di un altro e ben più noto Bonaparte. Fu un’invasione alquanto spoliatrice. Se Attila si accontentò di oro, spezie e seta per lasciare in pace Roma, la prima repubblica volle e ottenne 22 milioni, la città di Ancona e cento opere d’arte e cento manoscritti a scelta dei commissari francesi.

Durante l’impero fu lo stesso Bonaparte a rimediare in parte alle ruberie perpetrate, non certo restituendo il bottino ma mettendo ordine alle rovine della città. Fecero in tal senso più i francesi occupanti in un breve periodo che molti dei ministri seguiti più tardi.



Furono dissotterrate le tre colonne del tempio di Giove tonante; riportato alla luce il portico del tempio della Concordia; scoperto il lastricato della via sacra; abbattute le costruzioni recenti che avevano ingombrato tutto intorno il tempio della Pace; tolta la terra che ricopriva le gradinate del Colosseo, svuotato l’interno dell’arena; fatte riaffiorare sette od otto sale dei bagni di Tito. Si fecero scavi al Foro di Traiano; furono restaurati il Pantheon, le terme di Diocleziano, il tempio della Pudicizia patrizia. Il tetto di San Paolo fuori le mura fu restaurato (poi nel 1823 la basilica bruciò intera); Sant’Agnese e San Martino ai Monti furono protetti dall’azione del tempo; fu rifatta parte dei sottotetti e della pavimentazione di San Pietro e posti dei parafulmini alla cupola di Michelangelo. Il Quirinale fu rivestito con porfidi e marmi romani; fu creato il Pincio, ci si occupò anche dei lavori di manutenzione degli edifici moderni; eccetera.

Insomma, in questa città dove c’erano più tombe che morti, più chiese e preti che abitanti, i francesi fecero anche molte cose buone. So bene che Garibaldi dal Gianicolo non sarebbero troppo d’accordo. E nemmeno Mameli che guarda il cielo dal Verano.

Da anni in questa città caotica, che fu già uno dei più bei luoghi del mondo, si può cogliere l’abbandono più che altrove. Speculazione, clientela politica, turismo, mediocrità e una generale incuria. Ripeto quanto ho già scritto qui in passato e non solo in modo provocatorio: sia data la cura di Roma ai francesi (e Pompei ai tedeschi, ma basterebbe la Wehrmacht per Napoli?). Peggio non potranno fare sicuramente.

(*) Nella nota del traduttore, cioè redatta da N.-L. Bonaparte, viene tirato in ballo un certo Jean Bonaparte datato 1178, i cui discendenti avrebbero avuto un ruolo di rilievo dal XII al XV secolo a Treviso e nel Veneto per poi migrare in Toscana. Pare però che non risponda al vero questa ipotesi che fa risalire i Buonaparte di Corsica ai Cadolingi, famiglia longobarda ricordata nei secoli XI e XII, dalla quale sarebbero derivati i Buonaparte di Treviso e di Firenze.


L’opuscolo tradotto dal nipote di Napoleone I può essere facilmente reperito a modico prezzo. Il volumetto è peraltro pregevole e stampato sull'ottima carta d'un tempo, in-8°, pp. XVII-91 con 3 tavole protette da velina finemente incise al verso su acciaio da Fournier di Ajaccio e disegnate da Marini (non da Muller, come erroneamente riportato da alcuni) e 1 ritratto disegnato da Jesi. L’originale invece, assai più raro, ha un prezzo di circa 900 euro e si tratta della prima stampa in Colonia (Lucca?) del 1756. Ad ogni modo pare che l’autore dell’opera non sia Jacopo Buonaparte (che pure visse alla corte di Clemente VII e fu probabilmente presente ai fatti narrati), bensì di Guicciardini (vedi Dictionnaire des ouvrages anonyme et pseudonymes, t. XIII, Parigi, 1824, nota 17553, p. 301). La vicenda del presunto plagio è ben narrata da Pierre Louis Ginguené nel suo St. della letteratura italiana, t. XI, Firenze 1827, pp. 245-48, il quale però assolve Jacopo Buonaparte dall’accusa di plagio: “Lo scritto del gentiluomo [J. Buonaparte], rimasto senza pericolo tra le sue carte , mentre visse, sarà stato posto poscia ed avrà riposato con altrettanta sicurezza negli archivi della famiglia, sino a che qualche curioso il quale, ignorando l’originale stampato la prima volta nel 1664 [quello di Guicciardini], avvisò , nel 1756, di aver fatta una grande scoperta nel rinvenire questo manoscritto autografo, e di farne un dono prezioso al pubblico nell'offerirglielo”.

1 commento:

  1. Peggio non potranno fare sicuramente

    mi pare appunto che su questo mito sia stato costruito il carcere Europa in cui invece NON mi pare sia stia meglio che in quello vecchio , "nazionale".
    Quindi direi che "peggio" stiano gia' facendo , ma giustamente ognuno può sempre consolarsi nella storia e negli ideali :-)

    PS napoleone era diretto discendente dei buonaparte di S. miniato quindi trovo molto divertente che il sacco "tedesco" di roma sia stato commentato da un avo di chi poi diresse il sacco francese dell' italia :-)
    Ma niente dubbi , da "noi stessi" ci "salvera'" ancora quell' " europa".. e nello STESSO MODO.

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