Il
crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime significa che il
cosiddetto super-ciclo dei prezzi, che aveva avuto inizio nel 2003 con la
rapida industrializzazione della Cina, è giunto al termine e non si vede
un’analoga opportunità di crescita per l'economia globale. Il deflusso di
capitali dai mercati emergenti è senza precedenti così come l’indebitamento di
quei paesi. L’Europa non se la passa bene sia dal punto di vista economico
(tranne la Germania) e da quello politico, laddove le divisioni sono già diventate lacerazioni insanabili. Dal canto loro gli Stati Uniti registrano
l’ennesima contrazione e il Giappone non riesce ad uscire (e non uscirà) dalla
sua pluridecennale stagnazione.
Per
ultimo, la decisione della banca centrale giapponese di tagliare il suo tasso
d’interesse di base a meno 0,1 per cento avrà l’effetto di promuovere
ulteriormente la speculazione finanziaria anziché gli investimenti in economia
reale. Perché stupirsi? È il risultato dell’approccio monetario all’economia e
alla crisi. Non c’è una sola teoria economica, l’approccio di un solo economista,
che ponga le questioni sugli effettivi fondamenti del sistema capitalistico,
ossia dal lato dell'analisi della produzione e dei relativi rapporti. E dunque, malgrado l’evocazione di tutti i
tecnicismi finanziari, monetari e fiscali, si tratta di un approccio che non ha
alcuna possibilità di venire a capo delle contraddizioni reali.
Perché?
A prescindere dalle motivazioni ideologiche, che nella vicenda svolgono tutt’altro che una parte secondaria,
il motivo di tale atteggiamento l’ha spiegato Marx un secolo e mezzo or sono:
Perché il corpo già
formato è più facile da studiare che la cellula del corpo. D’altra parte né il
microscopio né i reagenti chimici possono essere utili per l’analisi delle
forme economiche. La forza d’astrazione deve sostituirli entrambi. Ma per la
società borghese la forma di merce del prodotto di lavoro, cioè la forma di
valore della merce, è la forma economica che corrisponde alla forma di cellula.
Agli illetterati può sembrare che l’analisi di tali forme si aggiri tra
semplici sottigliezze, ma solo come se ne trovano nell’anatomia microscopica.
L’economista
borghese, posto che possa essere in buonafede, ritiene che la critica
dell’economia politica svolta da Marx consista in un corpus dottrinale smentito
e superato dalla storia tanto più che smentite e superate dalla storia sono
state le esperienze sedicenti comuniste del Novecento. È evidente che questa
gente, posto che – ripeto – possa essere in buonafede, non si è mai degnata di
prendere in considerazione di prima mano l’opera scientifica di Marx. Tuttavia
oggi non siamo affatto in tale situazione per il semplice motivo che economisti
in buona fede è escluso che possano esistere.
Quello
che non si vuole indagare è il modo di produzione capitalistico e i suoi
corrispondenti rapporti di produzione e di scambio, e tale atteggiamento serve
a mistificare la reale natura di questo sistema economico, le forme in cui
viene prodotta la ricchezza e i modi con i quali ci si appropria di essa. Verrebbe
in luce, tanto per fare esempi di senso comune, che le condizioni di sottosviluppo
e di povertà non sono un portato del destino cinico e baro, laddove
odiernamente s’è raggiunta una capacità produttiva largamente sufficiente a
garantire quantomeno i bisogni primari di ogni essere umano.
Verrebbe
in chiaro che lavorare otto ore il giorno, laddove si possono contare
globalmente almeno 200 milioni di disoccupati, è un assurdo e una distorsione
sociale che ormai si palesa comunemente, e dunque che il reale motivo per il
quale i padroni del mondo non vogliono ridurre la giornata lavorativa è lo
stesso motivo per il quale il padrone delle piantagioni di cotone non voleva affrancare i suoi schiavi. Verrebbe in chiaro che la crisi ormai non è più solo
economica ma indica l'emergere di una profonda crisi del dominio capitalista
nel suo insieme.
Ciò
che invece non ha bisogno di chiarimento, e che un economista non si sognerebbe
di nominare mai, è il fatto che il
diritto legato alla proprietà è diventato un anacronismo sotto ogni punto
di vista. Tranne il suo, ovviamente.
I vari «i tecnicismi finanziari, monetari e fiscali» - tutti giochini svolti alla ricerca di valorizzazione e che, per il momento, spingono la resa dei conti ad un futuro sempre più prossimo -, illudono purtroppo anche la massa di coloro che non partecipano ai dividendi, oramai rassegnati (persuasi) a credere che nessun potere sia nelle loro mani e che la proprietà dei mezzi di produzione è sacra e inviolabile.
RispondiEliminatempo al tempo. le banche dovranno disfarsi di un bel po' di titoli del debito pubblico e dunque ne vedremo delle belle. i giacobini sembreranno dei moderati.
Eliminaroba da far scoppiare un' altra guerra dei trent'anni
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