Bisogna
leggerlo questo post del buon Gilioli per avere rendersi conto dei guasti
prodotti dall’ideologia borghese nell’ambito della sinistra (recidivo: leggi qui). Le nuove
tecnologie “stanno rendendo la maggior parte della popolazione inutile alla
produzione e alla creazione di profitti”, scrive Gilioli. E già qui
bisognerebbe fare dei distinguo poiché solo una parte della popolazione che
svolge un lavoro produce plusvalore (“profitti”), ossia solo quella
forza-lavoro che si scambia con capitale e non con denaro in quanto denaro.
Tuttavia
lasciamo cadere quelle che per i birilli opportunisti di sinistra sono
diventate delle sottigliezze (*).
La
nuova “redistribuzione” dell’attività produttiva a livello mondiale, vede
tendenzialmente collocare nelle periferie soprattutto le lavorazioni a più alto
valore aggiunto (plusvalore), ossia quelle attività che richiedono una
forza-lavoro numerosa, poco qualificata e a salari molto bassi. Inoltre, la
mutata composizione tecnica del capitale è caratterizzata dalla tendenza alla
diminuzione della popolazione lavorativa attiva, ossia dall’aumento della
disoccupazione.
Di
modo che: se nella sua forma classica, l’esercito industriale di riserva si
presentava come collocazione temporanea dell’operaio espulso dalla produzione,
in attesa di esservi reinserito, ora invece gran parte di esso viene espulso
stabilmente, per assumere una forma stagnante cronica; inoltre, una parte
considerevole della nuova forza-lavoro pronta ad entrare nel mercato del lavoro
semplicemente non trova collocazione o si deve adattare a condizioni di
precariato inimmaginabili solo qualche decennio or sono.
Il
giovane proletario sopporta non solo le contraddizioni dell’essere merce rifiutata
dal capitale, ma si trova ad essere in contrasto con la funzione e le norme che
la lurida società gli impone come ruolo e come obbligazione. Da qui poi nascono
tutte quelle tensioni e deviazioni sociali di cui si occupano a tempo pieno
giornalisti, politici, sociologi, psicoanalisti, cinematografari, preti
franceschi e altra pletora con inesausti chiacchiericci.
È il modo di produzione capitalistico a
frapporsi tra l’enorme aumento delle forze produttive e la possibilità di
queste forze di esprimersi totalmente e di rendersi creative.
Il
limite del capitale è il profitto, non i bisogni dei produttori (**).
Non
potendo più essere veicolo delle forze produttive, il modo di produzione
capitalistico tende a negarle, rafforzando i suoi rapporti di dominio anche
grazie alla facilità con la quale essi vengono assecondati dalle “intelligenze”
riformiste e dai diffusori di buone intenzioni. Le contraddizioni che
scaturiscono dai rapporti di produzione capitalistici si risolvono così in nuove
catene per l’umanità.
*
Posta
questa situazione, Gilioli sostiene che è questione d’igiene sociale adottare
“una qualche forma di redistribuzione di reddito, indipendentemente dal
lavoro”. L’onere di questo reddito – secondo Gilioli – dovrebbe
essere a carico “delle aziende che producono, dei loro proprietari e dei loro
azionisti”. Bella idea, peccato che essa non colga aspetti non secondari della
faccenda, e che quella del reddito minimo garantito sia, od ogni modo,
un’illusione dal fiato corto.
Gilioli
– avendo compiuto un lungo tirocinio di “sinistra” – sa bene che meno lo Stato
riesce a soddisfare la richiesta di consumi sociali individuali e collettivi e comprare il consenso degli strati e dei
ceti di classe emarginati dallo sviluppo capitalistico, più rivela la sua
natura di classe. Egli sa anche che la manovra di tipo keynesiano della spesa
pubblica, alla prova dei fatti, è risultata un’ennesima illusione. E non poteva
che essere così posto che le ragioni profonde della contraddizione che scuote
il modo di produzione capitalistico e generano le sue crisi trovano una loro
effettiva spiegazione solo a partire dalla struttura della produzione.
Il
meccanismo imposte-spesa pubblica non è affatto autosufficiente, la questione
della dinamica della spesa pubblica e il peso crescente del debito, percorre
l’intera storia degli Stati, soprattutto quella del nostro Paese, dall’unità ad
oggi. Questo debito crescente richiede, tra l’altro, l’aiuto di organismi
internazionali gettando così le basi materiali ed economiche di
quell’intervento “straniero” nelle decisioni di politica economica di cui in tanti
si dolgono.
Ed
è proprio questa tendenza del debito, oltre alla corruzione e alla massiccia
evasione fiscale, che sta alla base del meccanismo mediante il quale il
capitale finanziario e la borghesia – prestatori di denaro, padroni dei media,
ecc. – esercitano il loro potere direttamente e indirettamente sugli esecutivi
e gli apparati degli Stati nazionali e sugli organismi internazionali.
Per
tale motivo Gilioli chiede che siano “le aziende che producono e i loro
proprietari e loro azionisti” a farsi carico dell’onere di garantire un reddito
agli emarginati in cambio della pace sociale; presenta astutamente la questione
degli emarginati dal lato dei “consumatori”, cioè dal lato di acquirenti di
merci, funzionali secondo lui alla riproduzione del processo capitalistico dal
lato del mercato. Capitalismo reale e Stato perderebbero le loro determinazioni
specifiche, si sovrapporrebbero, in nome della pace sociale e al fine di
garantire un’ordinata produzione e riproduzione della vita materiale.
È
la quadratura del cerchio, la riduzione delle contraddizioni e della
complessità sociale a una mera questione di distribuzione del “profitto” e di trasferimento
di reddito. E tutto ciò posto che il sistema è un coacervo di contraddizioni
tenute insieme più dalla paura che si sviluppi una reale risposta di classe che
dalla capacità di esprimere un denominatore politico di stabilità, stante la
crisi inesorabile della rappresentanza e dei partiti che per l’innanzi sono
stati il principale strumento di controllo ideologico e di dissimulazione della
dittatura della borghesia.
Tra
parentesi. Crisi della politica e dei partiti indotta anzitutto dal ruolo
prevaricante degli organismi sovranazionali e delle élite che hanno svuotato di
quasi ogni potere effettivo i parlamenti nazionali (quello europeo non né ha
mai avuto), svelando incautamente il trucco: i partiti appaiono in tal modo
disarmati e succubi degli esecutivi e delle forze economiche che li utilizzano
ai propri fini. E del resto quando mai un processo d’interdipendenza tra Stati
diseguali – in tal caso sotto l’egemonia del capitale più forte, ossia della
costellazione tedesca – può essere inteso come un movimento verso
l’integrazione e non invece di gerarchizzazione come avviene di fatto?
Sennonché
si deve tener conto che per il capitale il plusvalore è l’unica misura della
razionalità di un sistema. I singoli capitalisti, in quanto tali, siano essi
rappresentati individualmente o come azionisti, sono interessati solo all’acquisto e allo sfruttamento della forza-lavoro;
fuori dal rapporto di scambio e di sfruttamento ogni costo diventa per loro
improduttivo, irrazionale e dunque
assolutamente privo d’interesse.
I
gruppi sociali emarginati che consumano senza produrre e senza contribuire in
alcun modo alla realizzazione e alla conservazione del valore, potrebbero senza
alcun inconveniente, per ciascun singolo capitalista, essere tranquillamente
soppressi. Il ragionamento può essere spinto fino al suo estremo limite,
restando vero anche in rapporto a tutti i capitalisti nel loro insieme. Questa
necessità fatta propria dagli esecutivi sta
dando già i suoi frutti …..
*
E
veniamo alle questioni apparentemente più tecniche e un tantino più complicate
e che però non possono interessare la sinistra riformista. Ho parlato della composizione tecnica del capitale, il cui sviluppo costante
rappresenta la tendenza del capitale a sviluppare produzione e produttività del
lavoro. In sintesi: la composizione tecnica riflette il rapporto fisico tra materie prime, mezzi di produzione, ed operai,
perciò indica il livello tecnico raggiunto dalla produzione. Questo fatto muta
implicitamente anche la composizione
organica del capitale, la quale riflette le proporzioni in valore
delle parti costitutive del capitale (ne ho scritto alla noia, per esempio qui).
Il
fatto che ogni composizione organica (capitale costante/capitale variabile)
presupponga e sia sostenuta da una data composizione tecnica (mezzi di
produzione/operai) comporta che non
ogni quantità di profitto possa trasformarsi in un aumento
dell’apparato tecnico di produzione: per l’espansione – quantitativa e
qualitativa – della scala della produzione è necessaria infatti una quantità
minima di capitale addizionale che, nel
procedere dell’accumulazione, diventa, a causa della crescita accelerata
del capitale costante, sempre
maggiore.
Qualunque
capitalista o manager salariato del capitale, tipo un Sergio Marchionne, questa
cosa la conosce benissimo: infatti sostiene che i capitalisti quando sono divisi “consumano” troppo capitale fisso e bruciano troppo valore per gli
azionisti. Osservazione giustissima anche se fraintende, com’è normale per un
borghese, le cause reali del fenomeno. Passiamo oltre.
Se
non vi è sufficiente quantità di
profitto l’accumulazione è costretta ad interrompersi, e ciò non perché vi
sia impossibilità tecnica di procedere oltre, ma perché il valore di scambio
non è più in grado di “misurare” il valore d’uso: in altri termini, i rapporti capitalistici
di produzione non possono più sostenere il livello raggiunto dalle forze
produttive sociali.
Questo
“limite”, che nella prima fase del capitalismo si manifesta, nei punti più
avanzati, periodicamente come crisi cicliche, quando il capitalismo ha
raggiunto un alto grado di sviluppo si presenta come crisi generale-storica,
che accompagna il sistema e lo investe nella sua totalità.
Sia
chiaro, crisi generale non significa, però, “blocco” delle forze produttive,
“crollo” automatico, impossibilità assoluta di accumulare. L’accumulazione può
proseguire, ma sempre più faticosamente
e su di una base progressivamente più ristretta, accompagnata da crisi
cicliche sempre più ravvicinate e scardinanti, contraddizioni sempre più
laceranti.
Inizia
così a prodursi una trasformazione profonda della formazione sociale
capitalistica, che coinvolge tanto la struttura dei capitali, quanto la
struttura delle classi, così come il rapporto tra struttura e sovrastruttura,
tra economia e Stato.
Aspetto
fondamentale della faccenda e che ha un diretto rapporto con la proposta di
Gilioli di rosicchiare i profitti dei capitalisti (su base volontaria?) è dato
dal fatto che il plusvalore sociale, insufficiente a valorizzare l’intero
capitale esistente, è però in grado di valorizzarne una parte. Va da sé che solo gli squali più grossi possono
sopravvivere divorando quelli più piccoli. Pertanto, come diceva il
vecchiaccio, il “vero limite della produzione capitalistica è il capitale
stesso”.
Il
cuore del capitale resta la produzione, ed è qui che il valore e il plusvalore
(che ci mantiene tutti) vengono generati, mentre nella sfera della circolazione
vengono semplicemente realizzati. E il problema della realizzazione, peraltro,
è questione centrale e decisiva. E questo post è durato fin troppo.
*
Alla
fine di questa giostra mi aspetto che un lettore si prenda la briga di pormi la
seguente e conseguente obiezione: ma in molti paesi d’Europa il reddito di
cittadinanza c’è da anni ….. !
(*)
La distinzione e la determinazione di lavoro produttivo e lavoro improduttivo non
è morale o politica, antropologica o psicologica, bensì scientifica. Questa
differenza è fondamentale per comprendere la reale natura del capitale e anche a riguardo dell’accumulazione, dunque la
ragione per cui solo il lavoro produttivo viene ad essere la condizione della
ritrasformazione del plusvalore in capitale.
Altro
esempio dell’importanza di questa distinzione tra lavoro produttivo e lavoro
improduttivo è dato dal fatto che quest’ultimo può negare o non negare nuovi
rapporti sociali, resta il fatto che comunque
non li produce: è, esso stesso, riflesso del lavoro produttivo ed è, da
questo, determinato tanto nella quantità, quanto nella qualità.
(**)
Scriveva quel fissato di Treviri: «Non
vengono prodotti troppi mezzi di produzione, per poter occupare la parte della
popolazione capace di lavorare. Al contrario. Si crea innanzitutto una parte
troppo grande di popolazione che effettivamente non è atta al lavoro ed è
costretta dalle sue particolari condizioni a sfruttare il lavoro altrui o ad
eseguire dei lavori che possono essere considerati tali solo in un modo di
produzione assolutamente miserabile» (III, cap. 15).
Al reddito di cittadinanza, o come diavolo lo vogliano chiamare, ci arriveranno prima o poi anche in Italia. PD e M5S sono già d'accordo, come sulle unioni civili e tante altre cose.
RispondiEliminaNonostante la dura resistenza dei filosofi etici del liberismo, quelli che se paghi (du' spiccioli, eh, giusto per non crepare di fame) la gente per non far niente ti ritrovi con miriadi di proletari fannulloni e incanagliti - e non starebbe bene, sarebbe indecoroso, signora mia - ci dovranno arrivare se non vogliono trovarsi qualche rivolta in mezzo ai piedi. E allora ci vorrebbero i manganelli a bischero sciolto e gli spettacoli pinochettisti, il sangue per le strade farebbero una brutta figura in TV, allontanerebbero gli investitori. Cosa direbbe il Financial Times? E Bloomberg?
certo che ci arriveremo in qualche modo e in nome della pace sociale. si raschia un barile e si aggiunge in un altro, ma di qui a credere che saranno i capitalisti a mettere del proprio ce ne passa.
Elimina(su base volontaria?)
RispondiEliminaOgni volta che leggo riproposta questa "fiaba" mi domando se questi " piccoli gigli" " ce sono o ce fanno" ,dovendo concludere che ovviamente " ce fanno", perche' cretini simili non possono esistere, quantomento al livello di " persona istruita".
infatti Gilioli non è un cretino
EliminaCara Olympe . spero che mi perdonerai se uso parti di quello che tu scrivi in modo chiaro e conciso su altro Blog ,ove da tempo sono impegnato (si fa per dire) in dibattiti più ameni.
RispondiEliminaMa penso che dopotutto tu non scriva solo per il piacere di scrivere ,ma anche con la segreta speranza che possa servire..
Ancora mi scuso..
Caino
ogni cosa è prodotto della società come collettivo
EliminaGli economisti non se li pongono certi problemi, dato che dicono che nei paesi a capitalismo avanzato la parte "servizi" sarà sempre più preponderante "economicamente" rispetto alla parte "produzione merci", cosa inevitabile poi anche negli altri paesi, tirando in ballo le percentuali tra "servizi" e produzione "classica" negli Stati Uniti nel PIL come riferimento, dove i "servizi" sarebbero la parte più grossa della torta economica.
RispondiEliminaDa cui secondo loro l'avvenire sarà tranquillo a parte qualche strascico temporaneo, qualche "aggiustamento" in corsa, ma con la "sharing economy", il lavoro "freelance" e roba simile i grossi problemi di oggi in fondo saranno superati, insieme al lavoro "salariato", senza bisogno di analisi scientifiche marxiste.
Quindi, vai con l'ottimismo della volontà dei moderni economisti!(?)
Questo è lo stato dell'arte oggi.
Saluti,
Carlo.
tutta la spesa pubblica se non a consumare serve al controllo sociale. E' una necessità del capitale ed è il suo limite. Da questo punto di vista si può dire che il limite del capitale è lo scontro di classe.
RispondiEliminaIl reddito minimo è applicabile in un paese feudale solo se la sua assegnazione è fatta per raccomandazione (d'altronde che merito potrà mai vantare un disoccupato?). Attualmente i redditi di "cittadinanza" italiani son semplicemente inglobati nei trattamenti pensionistici dei capifamiglia.