Post di curiosità, di citazioni tratte
dall’antico che mostrano, direttamente o per allusione, che il debito pubblico
non graverà sulle future generazioni più di quanto non gravi sul presente a
causa della peculiare forma di distribuzione della ricchezza. Insomma, mutatis
mutandis ad avercela in culo sono e saranno sempre le solite vite in affitto. E
a proposito di mutande: evitiamo episodi di panico incontinente. Il Renzi, come
una diafana principessa che giuri sulla sua verginità, ha affermato commosso che
“le banche sono solide e la turbolenza è un’opportunità”. Questa è una verità
pubblicitaria, analessi delle dichiarazioni fatte da un presidente della Borsa
di New York nell’illiquido autunno del 1929.
*
Una
ricetta prescritta dai medici del capitalismo, ossia da quelli che vorrebbero
salvare capra e cavolo, suggerisce di produrre secondo i bisogni reali. Si
tratta di quella ricetta che a suo tempo prescrisse lo scozzese John Ramsay
McCulloch, un economista e statistico, oggi sconosciuto ai più e anche ai meno,
che volgarizzò la dottrina di Ricardo. Varianti recenti di tale rabbrividente astuzia
sono rintracciabili nel venerato apostolo della decrescita, Serge Latouche, e,
in buona sostanza, in Nicholas Georgescu-Roegen, profeta della cosiddetta
bioeconomia, sorta di teologia mistica.
Non
avendo le élite dei bisogni stimabili, non ci resta che occuparci di quelli di
tutti gli altri. Il limite ai bisogni, ossia al consumo, che il sistema
capitalistico prescrive ai produttori, cioè ai propri schiavi salariati, non è
“naturale” che nell’ambito proprio di questo sistema, allo stesso modo in cui
la frusta funziona da pungolo “naturale” del lavoro solo nell’ambito della
schiavitù antica. Ciò che nella nostra epoca ha sostituito l’antico strumento è
un altro tipo di pungolo non meno reale e prescrittivo: il bisogno.
È
la natura stessa della produzione capitalistica a limitare la parte del
produttore a ciò che è necessario per l’impiego della sua forza-lavoro. Nel
capitalismo il necessario non è commisurato al grado di sviluppo produttivo e
sociale, se non relativamente, bensì limitato dall’interesse del singolo
capitalista ad impossessarsi di quanta più parte possibile del prodotto netto del
lavoro. È proprio della natura di siffatto sistema che la parte di prodotto
netto che spetta in sorte al capitalista, diviso in reddito e in capitale
addizionale, sia più ampia possibile.
Al
riguardo Simonde de Sismondi scrive che “il
ricco fa la legge al povero […]
perché facendo lui stesso la divisione del prodotto annuale, tutto quello che
chiama reddito lo considera per consumarlo lui stesso; tutto quello che chiama
capitale lo cede al povero perché questi ne faccia il suo reddito”. Qui
capitale è da intendersi quale capitale variabile, ossia salario, dato al
povero non per beneficienza ma perché questi con il proprio lavoro ne faccia
per il capitalista nuovo reddito e nuovo capitale addizionale.
Sullo
stesso tema J.S. Mill scrive: “Il
prodotto del lavoro è oggi distribuito in ragione inversa al lavoro; la parte
maggiore è per quelli che non lavorano mai; poi le parti migliori sono quelle
il cui lavoro è quasi solo nominale, di modo che, di grado in grado, la
retribuzione si restringe man mano che il lavoro diviene più sgradevole e
penoso, tanto che alla fine chi fa il lavoraccio più faticoso, più estenuante
non può nemmeno contare con certezza sull’acquisto delle cose più necessarie
per vivere”.
Mill
scriveva in pieno XIX secolo e Sismondi qualche tempo prima. Vi pare che le
cose nella loro effettiva sostanza siano mutate? Da tali citazioni si
comprende, tra l’altro, il motivo per il quale questi economisti sono chiamati
“classici” mentre gli attuali sono definiti “volgari”.
Dati
i presupposti del sistema capitalistico è del tutto sbagliato, come invece
cercano di dimostrare i capitalisti, i governi, gli economisti borghesi e altri
servili apologeti, dire che l’ammontare del salario sia predeterminato dalla
grandezza della ricchezza sociale o da quella del capitale sociale. Il fatto stesso
che 62 individui detengano una ricchezza pari alla metà più povera dell’umanità
lo dimostra palesemente (*).
Da
qui l’intellettuale, lo scribacchino, il salariato, dovrebbero trarre ovvie
conseguenze, almeno quelle che non consentano ai soliti noti stronzi di
affermare impuniti che gli attuali salariati e pensionati stanno riversando i
fardelli presenti sulle generazioni future attraverso il debito pubblico. Ogni
epoca paga le proprie spese. Invece un lavoratore può erogare in anticipo
quest’anno il lavoro dei prossimi tre anni.
Scriveva
un paio di secoli or sono Piercy Revenstone (**):
“Nella pretesa di differire le spese
dell’ora presente a un giorno futuro, nella pretesa che tu possa gravare la
posterità per soddisfare i bisogni della generazione esistente, si sostiene
l’assurdo che tu possa consumare quello che ancora non esiste, che tu possa
nutrirti con le provviste prima che i loro semi vengano seminati nella terra […]. Tutta la
saggezza dei nostri governanti finirà in un grande trasferimento di proprietà
da una classe di persone a un’altra”.
Per
quanto si possa imputare al welfare (che peraltro ha mantenuto alta la spesa
statale in chiave espansiva) di aver creato la voragine del debito pubblico (e per
tale imputazione si ricorre senz’altro all’ausilio di ogni possibile statistica
e puntigliosa dimostrazione), resta che la ricchezza, creata nei decenni
seguiti al dopoguerra con il lavoro e i sacrifici di milioni di salariati, ha
fatto ricche almeno un paio di generazioni di imprenditori, di banchieri e
solenni frequentatori di logge, insomma la fortuna di magnaschei in ogni divisa. Il bottino dell’estorsione peraltro ha
goduto di franchigie fiscali di ogni genere, e altissima è stata l’evasione e
il trasferimento nei noti paradisi.
Insomma,
prima di imputare a salariati e pensionati a mille euro la rovina del paese, al
welfare la causa principale del debito, spieghino come ha fatto un’infima
minoranza a diventare proprietaria di circa il 50% della ricchezza nazionale (vedi qui per esempio).
(*)
Gli apologeti della truffa amano confondere, nelle loro rappresentazioni
televisive e pubblicistiche, il genere di appropriazione, ossia
l’appropriazione del lavoro altrui. Diversamente nel suo fondamento sarebbe
impossibile il modo di produzione capitalistico, perciò i suoi apologeti non
perdono occasione per esporre ad ogni attacco quelli che rilevano quel genere
di appropriazione.
(**)
Thoughts on the Funding Sistem and Its
Effects, Londra, 1824. Citazione tratta da Marx in MEOC, vol. XXXI, tomo
II, p.1025, edizioni La città del sole,
Napoli, 2011.
Ma è semplice ,perbacco ancora iersera non so più dove in tivì,un panglossista diceva di ridurre le pensioni, ovviamente con giudizio ..
RispondiEliminaCaino
come trovi la traduzione di Fineschi per "la città del sole" ?
RispondiEliminaFineschi è traduttore e curatore, ma molta parte ha Giovanni Sgro' nella trad. e il fu Delio Cantimori come base
Eliminasi tratta della prima edizione it. per così dire integrale, cui s'aggiunge un secondo tomo di tutte le varianti e anche un primo capitolo (l'attuale I sez. sulla merce) riveduto dall'A. e inedito in italiano
info@lacittadelsole.net
oppure Tel. 08119568991 - 08119569327 - 3351286586
e chiedi del sig. Emiliano
ho seguito on line le prime 5 lezioni de "Il Capitale" fatte da Bellofiore basate sulla lettura della nuova edizione, certe frasi rispetto al Cantimori suonano diverse, più ricche. grazie
RispondiElimina«La loro vita - ha detto - è talmente difficile che si spezza».
RispondiEliminahttp://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-01-22/la-nuova-pandemia-usa-grande-crisi-sono-esplose-morti-droga-161135.shtml?uuid=ACodkTFC
Fa'un c..