Spesso
si sente paragonare la rivoluzione informatica e digitale alla rivoluzione
indotta dall’introduzione della stampa a caratteri mobili. Più in generale lo
sviluppo tecnico-scientifico in corso, per i cambiamenti che induce a livello
economico e sociale, può essere paragonato all’introduzione della macchina a
vapore, o all’utilizzo dei motori elettrici e a innovazioni di tale portata. Si tratta
in ogni caso di parallelismi di senso relativo poiché ogni scoperta, nel
contesto dato, fa storia a sé.
Lo
sviluppo tecnico-scientifico raggiunto in pochi decenni lascia stupefatti e anche disorientati, tuttavia credo siano in molti – e non mi riferisco solo al senso comune – a
non aver ancora ben compreso la portata dei cambiamenti in atto e di quelli
ormai imminenti sul piano economico e sociale.
Non
si tratta solo di un cambio d’epoca, come a mia volta ho scritto spesso, bensì
di un cambio di paradigma totale, di un processo di transizione che interessa man
mano le nostre vite e sta cambiando per sempre e in misura inedita il mondo. Si
tratta in definitiva e anzitutto dei rapporti di produzione in gestazione “in seno alla vecchia società”.
Una cosa non si può non notare: il lavoro vivo tende a costituire una frazione
sempre più piccola in rapporto al lavoro passato. Per ogni unità di lavoro vivo
è messa in moto una massa sempre maggiore di lavoro passato. Ogni merce, ogni
unità di prodotto, contiene sempre meno lavoro vivo e sempre meno nuovo valore
aggiunto, nonostante la massa
complessiva dei profitti possa aumentare. E ciò non può essere senza conseguenze sul
piano economico e poi anche dei rapporti sociali (*).
(Quando
quella pasta d’uomo del presidente Mattarella ci ricorda la “sfida che ci
pone la tecnologia”, dunque alla crescente disoccupazione come problema egli si richiama con allarme. Tuttavia il giurista del Quirinale si guarda bene, e si può capire, dall'indicare quale sia la reale soluzione, ma nemmeno alla
soluzione tampone allude: lavorare meno!)
Nel senso dei mutamenti indotti dalla rivoluzione
tecnico-scientifica, per ciò che ci
riguarda direttamente, dobbiamo constatare l’enorme sproporzione fra il
tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, tra le esigenze di valorizzazione
in senso capitalistico e la condizione dei produttori. Pertanto, in ultima analisi anche la denuncia che vi siano ricchi sempre più ricchi rischia di portarci fuori obiettivo.
Tradotto
con un disegnino: in rapporto alla potenza del processo di produzione, ossia in
rapporto all’enorme capacità produttiva delle forze sociali indotta dalla rivoluzione
tecnico-scientifica, anche i salariati filosofi, al pari di tutti gli altri
sfruttati, diventano sempre più poveri,
a cominciare dal tempo di vita loro sottratto, e spesso diventano più miseri anche nelle "loro" idee.
*
Tesi
fondamentale del materialismo storico è l’esistenza oggettiva, fuori e
indipendentemente dalla nostra coscienza, della materia sociale nelle sue
molteplici forme e nel suo divenire. Ogni fenomeno che si vuole indagare ha
dunque, in primo luogo, un’esistenza oggettiva. La formazione sociale
capitalistica, ad esempio, esiste come fenomeno oggettivo prima ancora di
qualsiasi analisi, di qualunque “idea”.
Già
avere chiaro questo è un passo avanti, ma poi viene il difficile, ossia
comprendere il metodo che procede dall’astratto al concreto, laddove già il
significato che hanno questi termini nel linguaggio di tutti i giorni è
fuorviante.
Marx,
in polemica con l’idealismo, afferma che:
«Per la coscienza – e la coscienza
filosofica è così fatta che per essa il pensiero pensante è l’uomo reale e il
mondo pensato è, in quanto tale, la sola realtà – […] la
totalità concreta, come totalità del pensiero [Gedankentotalität], come un concreto del pensiero [Gedankenkonkretum], è in fact un prodotto del pensare, del comprendere [begreifen]; ma mai del concetto che genera se stesso e
pensa al di fuori al di sopra dell’intuizione e della rappresentazione […]»
(**).
*
Per
rispondere ad una recente osservazione di un lettore, il quale sostiene, con
una asciutta e apparentemente neutrale presa d’atto, che così va il mondo e in
tal modo continuerà ad andare, si può osservare che la storia non può trovare
una conclusione definitiva in uno stato ideale perfetto del genere umano; una
società perfetta, un ordinamento statuale perfetto, sono cose che possono
esistere soltanto nella fantasia, nella vana speranza di chi sogna un mondo
ideale. Di questo non riesce a farsene motivo il pensiero piccolo borghese, e la
diffusa disillusione sfocia nelle posizioni nichiliste funzionali in definitiva
al sistema. Al contrario, tutte le situazioni storiche che si sono succedute
non sono altro che tappe transitorie nel corso dello sviluppo infinito della
società umana da un grado più basso a un grado più elevato. È inteso che non si
tratta di un processo lineare e pacifico, e che può anche interrompersi
definitivamente per cause belliche o ecologiche.
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(*) Inoltre, se ogni unità di prodotto contiene meno lavoro e perciò meno valore aggiunto (chiamiamolo pure in codesto modo il plusvalore), il rapporto tra capitale complessivo e profitto (altra forma in cui si presenta il plusvalore) tende a mutare. Di questa mutazione i capitalisti e gli economisti non comprendono assolutamente la dinamica intrinseca, però il fenomeno si presenta ai loro occhi, cioè nei bilanci economici, con una concretezza che li disorienta.
Anche questo fatto di un’oggettività stupefacente, non può essere senza conseguenze e ci parla del carattere storico e transitorio della forma valore. In altri termini del carattere storico e transitorio della forma capitalistica in cui è prodotta la ricchezza sociale.
(**)
Introduzione a Per la critica dell’economia politica. Le traduzioni italiane reperibili
in rete, pur mantenendosi fedeli al senso dell’originale, potrebbero presentare
delle differenze “filologiche”.
Vedo
di rendere più domestico il significato della citazione marxiana: per secoli il
problema fondamentale di tutta la filosofia è stato quello del rapporto del
pensiero con l’essere, del saper se l’elemento primordiale è lo spirito o la
natura. I filosofi si sono divisi in due grandi campi secondo il modo come
rispondevano a tale quesito. Quelli che affermavano la priorità dello spirito
rispetto alla natura, formavano il campo dell’idealismo. Quelli che affermavano
la priorità della natura appartenevano alle diverse scuole del materialismo.
In
altri termini la domanda era questa, anche se non sempre formulata in termini
così chiari: quale relazione passa tra le nostre idee del mondo e questo mondo
stesso? È in grado il nostro pensiero di conoscere il mondo reale; possiamo noi
nelle nostre rappresentazioni e nei nostri concetti del mondo reale avere
un’immagine fedele della realtà? Alcuni filosofi, per esempio Hume e Kant,
contestavano la possibilità di una conoscenza del mondo, o almeno una
conoscenza esauriente di esso. Per altri invece, anzitutto Hegel per esempio,
ciò che noi conosciamo del mondo reale è precisamente il suo contenuto ideale,
in tal modo è evidente che il pensiero può conoscere in contenuto il quale è
già, preventivamente, un contenuto ideale. Ed è altrettanto evidente che ciò
che si deve provare è già contenuto qui, tacitamente, nelle premesse.
Forse
ora la citazione di Marx riportata sopra è più chiara: per gli idealisti di
ogni risma il pensiero pensante è l’uomo reale e il mondo pensato è, in quanto
tale, la sola realtà. Per contro Marx afferma che la realtà, come concreto del
pensiero è sì un prodotto del comprendere, ma tale prodotto del pensiero non
genera esso stesso la realtà.
Sembra
oggi questa una questione che va da sé, altrimenti una questione eminentemente
filosofica e lontana nel tempo, ma essa invece ci riguarda ancora da vicino anche
se viene posta in termini mutati e più sofisticati, in ambiti in cui non si
sospetterebbe. Infatti, mutatis mutandis
è un po’ quello che succede, per esempio, alla fisica teorica e in particolare
alla meccanica quantistica: è la realtà che si deve uniformare alle equazioni
matematiche!
La
risposta che diedero i materialisti, per contro, fu più ingegnosa che profonda,
per dirla con Engels. La confutazione più decisiva di questa ubbia idealistica
è data dalla pratica, particolarmente dall’esperimento e dall’industria. Se
possiamo dimostrare che la nostra comprensione di un dato fenomeno naturale è
giusta, creandolo noi stessi, producendo le sue condizioni e, quel che più
conta, facendolo servire ai nostri fini, l’inafferrabile “cosa in sé” di Kant è
finita. Sia chiaro che con il progredire della scienza e dell’industria anche i
sistemi idealistici si riempivano sempre più di contenuto materialistico e
cercavano di rimuovere il contrasto tra lo spirito e la materia a loro modo.
Insomma, il neokantismo è rimasto una semplice curiosità speculativa. Alla fine
anche gli idealisti divennero, per il contenuto delle loro idee, dei
materialisti, ma di un materialismo posto idealisticamente con la testa
all’ingiù.
Anche
il materialismo, sia ben chiaro, è passato per una serie di fasi di sviluppo,
quello ottocentesco e per larga parte anche quello novecentesco era
prevalentemente meccanico, ossia incapace di concepire il mondo come un
processo, come una sostanza soggetta a un’evoluzione storica.
Infatti, mutatis mutandis è un po’ quello che succede, per esempio, alla fisica teorica e in particolare alla meccanica quantistica:
RispondiEliminaDa fisico con una certa conoscenza della meccanica quantistica posso dire che in fisica il problema e' stato perfettamente risolto proprio nell' esigenza di introdurre questa "meccanica".
E'infatti la realta' che determina la teoria come sua spiegazione e la teoria trova la sua validita' non solo nello spiegare aspetti noti della realta' quanto nel prevederne di nuovi poi effettivamente verificati.
Quindi la quantizzazione della materia " c'era prima di noi " , essa e' un dato di fatto " a priori" di qualunque nostra idea che per essere considerata giusta ne deve conseguire "a posteriori"
Va detto pero' che questo tipo di chiarezza conoscitiva e' valida solo nelle scienze " esatte", cioe' in quelle i cui fenomeni sono misurabili in modo riproducibile pur nei limiti statistici dell' inderminatezza delle nostre osservazioni.
Stando fuori da questo ambito le scienze "umane" sono invece un luogo dove le teorie POSSONO esistere anche " a priori" cioe' essere in grado di determinare una realta' " a posteriori" ( che è poi quello che stiamo osservando nel trionfo della "teoria liberista" :-) )
Per tornare quindi all' argomento, le scienze esatte sono sempre socialmente neutre . Non e' la "tecnologia" che determina il nostro mondo ma l' uso che ne viene deciso da " chi può" usarla .
ci sono fisici che hanno opinioni molto diverse dalla sua, in un senso e nell'altro. non spacci la fisica teorica per ciò che non è e non può, allo stato, essere.
Elimina"Forse ora la citazione di Marx riportata sopra è più chiara: per gli idealisti di ogni risma il pensiero pensante è l’uomo reale e il mondo pensato è, in quanto tale, la sola realtà."
RispondiEliminama quando mai ! Il pensiero pensante ( l' Io di Fichte o lo Spirito di Hegel ) non si può mai identificare con l'uomo reale, empirico.