Il
Domenicale de Il Sole 24 ore ultimamente non presentava per me quasi alcun
interesse. Invece nel numero di ieri c’è materia di cui godere. Anzitutto
l’articolo di prima a firma di Alvar González-Palacios, uomo di cultura a tutto
tondo, straordinario conoscitore dell’arte (anche se non calca gli studi
televisivi) e sicuramente il maggior esperto di arti decorative in circolazione
(anche se ultimamente come collezionista guarda con interesse all’Oriente). Indeciso
tra Parigi e Roma, alla fine decise per quest’ultima e andò ad abitare in un
appartamento di palazzo Caetani, già abitato dalla penultima discendente della
famiglia, cioè Lelia Caetani, figlia del compositore Roffredo Caetani, e consorte
di Hubert Howard (*).
L’articolo
è una recensione a un volume molto specialistico che ha come oggetto principale
il cosiddetto Stipo di Sisto V. In poche righe González-Palacios ragguaglia il
lettore sulla differenza tra pietre dure e pietre tenere, oltre a indicare gli
elementi distintivi tra la tipologia romana e quella fiorentina nelle
decorazioni di questo tipo. Quindi scrive che benché “le opere più antiche siano
romane tale fu l’impeto dato da Ferdinando de’ Medici [già cardinale prima di
essere granduca] alle tarsie in pietre silicee da far dimenticare, fino a ieri
l’altro, che l’origine di ogni cosa era Roma e non Firenze”.
Ed
infatti, posta la primazia romana per quanto riguarda l’origine dei lavori
d’intarsio con le pietre, non c’è dubbio che il ramo collaterale dei Medici,
quindi quello granducale, ha avuto un ruolo fondamentale per quanto riguarda le
arti decorative, come del resto conferma, tra l’altro, il più straordinario dei
musei, quello degli Argenti di palazzo Pitti.
*
Mi
piace segnalare un altro articolo del Domenicale,
a firma di Arnaldo Benini, in cui si parla di Lee Smolin, fisico teorico
statunitense, fondatore del Perimeter Institute di Toronto e autore di Time Reborn. In buona sostanza,
riprendendo l’articolo, Smolin sostiene che “La fisica selezionerebbe frammenti
dell’universo in subsistemi e si perderebbe in drastiche approssimazioni della
realtà, vittima di un’autoreferenzialità che l’avrebbe portata ad un vicolo
cieco. L’errore capitale, a partire da Einstein […] è la negazione del tempo,
sostenuta non con lo studio della realtà ma con i risultati di equazioni. Il
tempo non solo è reale, ma è l’esperienza che più si avvicina al cuore della
natura. Se la scienza vuole uscire dal box, dalla scatola, in cui si è chiusa
da decenni studiando fenomeni piccoli e locali, e rioccuparsi dei problemi
fondamentali della cosmologia e della realtà, deve reintrodurre nella visione
delle cose il tempo come dimensione essenziale”.
(*)
Contrariamente a quanto si può ricavare in rete, Lelia non fu l’ultima ma la
penultima dei Caetani. L’ultima fu Sveva, figlia di Leone Caetani, noto
islamista.
«James
Lees-Milne, il ben noto diarista, così scriveva il 3 maggio 1972 (a Lelia non
restavano cinque anni di vita): “Gli Howard sono stati qui a colazione lunedì.
Alvilde si è data da fare per preparare una degna accoglienza che ricambiasse i
loro frequenti inviti a Ninfa e per rendere presentabile il nostro giardino…
Lelia Caetani ha un aspetto nobile, bello e gentile ma nello stesso tempo è
rigida e fredda nella conversazione a causa della sua timidezza. È diffidente.
Non si fa chiamare Principessa Caetani ma Mrs Howard e in Italia ci si rivolge
a lei appellandola Donna Lelia. Hubert è un uomo di vasti interessi e di grandi
letture ed ha un buon senso dell’umore, di facile approccio e pieno di charme.
Ma sono sempre in guardia con queste vecchie famiglie cattoliche [gli Howard,
imparentati coi Duchi di Norfolk, sono da sempre cattolici] perché, nonostante
l’apparente tolleranza e la garbata ironia sui principi altrui, sotto sotto
sono très dévots e niente, veramente niente al mondo per un solo minuto li
convincerà a concederti la possibilità di considerarli come il resto
dell’umanità. Hanno una sottile e ben radicata arroganza che compare grattando
appena in superficie.” (A. González-Palacios, Tutto il sapere del mondo, Electa, p. 112)».
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