Quella
che segue è una lettura adatta al momento stagionale e può favorire l’abbiocco
già dopo le prime due righe e mezza. Perciò è sconsigliata a chi sia alla guida
di pattini, gommoni, natanti in genere, ma anche tagliaerba sui campi di golf.
È vietata la diffusione con mezzi sonori.
*
È
fatto quotidiano la sopravvalutazione della funzione della coscienza umana e il
credere, conseguentemente, di poter risolvere, da un punto di vista
soggettivo-volontaristico, la dialettica necessità/libertà a favore di
quest’ultimo termine. E non sono pochi quelli che mettono in dubbio la
possibilità delle scienze sociali di consentire una conoscenza oggettiva, ossia
la scientificità delle scienze sociali e dunque, facendo di ogni erba un
fascio, anche del materialismo storico.
Questa
sfiducia nelle scienze sociali è motivata dai palesi fallimenti di queste
scienze, anzitutto dall’economia che non riesce a rendere ragione di ciò che
accade se non ex post. Per quanto riguarda invece il materialismo storico in
generale la sfiducia nasce da un sostanziale pregiudizio cui ha notevolmente
contribuito da un lato la lotta ideologica e le tensioni sociali del Novecento,
e dall’altro – quando va di lusso – un’esegesi di quarta mano (*).
Per
contro è presente anche l’atteggiamento opposto, ossia una concezione del
materialismo che, postulando la priorità della materia rispetto allo spirito,
ammette unicamente il condizionamento dell’essere sociale sulla coscienza e
nega che vi sia qualsiasi rapporto dialettico. Sia chiaro, con ciò non si vuol
sostenere che le forme della coscienza sociale non siano determinate, in ultima
istanza, da rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di
sviluppo delle forze produttive materiali indipendenti dalla loro volontà dei
singoli soggetti. Qui è in discussione la negazione che vi sia, tra struttura
economica e sovrastruttura sociale, un’influenza reciproca.
Non
è questione questa per così dire solo “filosofica”, bensì eminentemente
pratica. Pensiamo, per rifarci a un esempio concreto, all’atteggiamento di
Plenkanov (ma anche di altri marxisti), il quale privilegiava nella storia
soltanto quei processi oggettivi che fossero indipendenti dalla volontà degli
uomini e sottoposti a “ferrea” necessità. Ciò conduceva a concepire il
procedere della storia in modo deterministico e a privilegiare unilateralmente
il “corso oggettivo delle cose”.
A
tutta prima sembra questa una concezione coerente, da cui discende la
convinzione profonda che le leggi inesorabili dello sviluppo economico
determinino il momento e la possibilità della rivoluzione sociale e il
superamento del modo di produzione capitalistico. E ciò sarebbe avvalorato, per
esempio, da una famosa frase che Marx ebbe a scrivere nella prima Prefazione alla prima edizione de Il Capitale: “Il mio punto di vista, […]
concepisce lo sviluppo della formazione
economica della società come processo di storia naturale […]”.
Da
parte degli esegeti trasformare la categoria marxiana di “formazione economica” in quella di “formazione economico-sociale”, come se esse fossero equipollenti, è
stato un passo decisivo per imprimere un taglio “economicista” al marxismo, con
ripercussioni non secondarie dal punto di vista sia ideologico e sia pratico, con
spiccati riverberi specie negli ordinamenti sociali sedicenti “socialisti”.
Del
resto, detto tra parentesi, concepire una formazione sociale nella sua totalità
come “processo di storia naturale” non sarebbe mai venuto in mente a
un’eminenza dialettica come Marx.
È
venuta così a stabilirsi quasi una dicotomia tra i rapporti materiali (rapporti
di produzione), che si creano fuori dalla volontà e dalla coscienza degli
uomini, e i rapporti ideologici, questi ultimi concepiti solo come una
sovrastruttura dei primi. Per cui, secondo tale tesi, solo i rapporti di
produzione possono essere oggetto di un’indagine scientifica in quanto,
fondandosi senza passare attraverso la coscienza degli uomini, sono
“oggettivi”.
Ecco
dunque che il materialismo storico diviene in tal modo un materialismo
economico, in cui si tende a sottovalutare il concetto di formazione
economico-sociale come “totalità” per privilegiare unilateralmente quello di
“struttura”.
Se
è pacifico che ogni formazione economico-sociale è retta da una struttura
economica che le è propria e che la distingue da altre formazioni sociali, è
altrettanto vero che appiattire la formazione economico-sociale sul suo modo di
produzione significa non rendere conto della specificità di questa categoria, dunque
della maggiore complessità rispetto a quella che le fa da fondamento storico.
In
questo modo di concepire le cose, manca il riconoscimento che la conoscenza
approfondita della formazione economico-sociale, una volta stabilito il
carattere fondamentale dei rapporti di produzione materiali, implica lo studio
dettagliato dei rapporti sociali nella loro particolarità, nelle loro
interrelazioni e nelle loro rispettive leggi di movimento.
(*)
Marx è molto più giudicato di quanto non sia letto, e il materialismo dialettico
assai più creduto di quanto non sia frequentato.
Non posso dirti come sarebbe a leggere tale post su un 24 metri, però posso dirti che leggerlo in una gelateria vicina al porto mangiando un cono non è affatto male.
RispondiEliminadubito che su un 24 leggeresti diciottobrumaio
Eliminasei appena arrivato e già ti dai alla bella vita eh
Ottima sintesi, mi ha aiutato a fissare un paio di cose ...
RispondiEliminaCara Olympe,
RispondiEliminacompito dei "rivoluzionari" di professione ,sarebbe adunque,quella di non dimenticare mai di studiare ed in funzione di questo calibrare il lato politico delle loro azioni,sulle risultanze di tale studio,o no ?
caino
In tutti i casi sull'ignoranza su Marx ,contribuiscono diversi fattori.
I tuoi post ,alla fine mi hanno costretto a tirar fuori dagli scaffali i miei vecchi appunti sulle categorie marxiane ,li ho ritrovati misti ad un numero del Politecnico e ad alcuni numeri di Tango.
Utile.
secondo me ti aspetti troppo dalla necessità e troppo poco dalla libertà, mi riferisco ad una impressione complessiva degli scritti
RispondiEliminapreferisco di gran lunga anch'io una teoria dei bisogni ad una idealistica dei desideri, rilevo però che la prima è al momento è impraticabile, a dispetto della sua stringente logica, nonostante la crisi sistemica in atto