L’inquietudine
agita l’Europa. Oltre 120 milioni di poveri sono un motivo sufficiente. Le
condizioni generali che per alcuni decenni hanno permesso ai paesi
capitalisticamente più avanzati un welfare diffuso, stante anche il saccheggio
degli altri paesi, non ci sono più e non si riproporranno.
Quale
rimedio? C’è chi suona la campana per più tasse ai ricchi e distribuzione delle
elemosine, e tuttavia una maggiore equità, pur necessaria, non rimuoverebbe una
sola delle cause del disastro. L’altra campana rintocca la solfa sulle riforme,
quelle che negli ultimi decenni sono servite a impinguare il grande esproprio.
La
borghesia sa bene che non è possibile operare alcun reale mutamento dell’ordine
vigente senza che tutto vada all’aria. Non c’è riforma che tenga, i “rivoluziobari” delle promesse sono solo delle
macchiette. Lord Castlereagh, ministro degli esteri inglese, nel 1815 poteva
assicurare che i rivoluzionari di quel tipo “non sono mai meno temibili di
quando sono al governo, mescolati agli altri” (*).
Alla
base di tutto c’è un’antinomia logica che perfino i borghesi non stupidi
conoscono molto bene (all’argomento ho dedicato centinaia di post in questo
blog, perciò non voglio ripetermi), dunque sono ben contenti che si facciano
avanti di questi riformatori, i quali sono come dei fisici incapaci di misurare
con esattezza posizione e velocità dell’elettrone e che perciò tentano con
tutte le forze di fermarlo.
(*)
Charles Kingsley Webster, The Foreign
Policy of Castlereagh, vol. II, p. 547 (Appendice).
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