Il post che segue tratta di un tema dell’economia con semplicità
elementare, perciò è rivolto specialmente a quelli che affermano,
schermendosi, di comprendere poco o nulla di tale materia (e come facciano ad
occuparsi di tutto il resto un po’, per me resta un mistero).
*
In questi giorni si parla molto
della distribuzione della ricchezza nel mondo, spesso accompagnando i dati con
considerazioni etiche, come potrebbe un Ratzinger, e moralistiche, come fa
Bergoglio. La “spirale della disuguaglianza perpetua” la chiama quel bel tomo
che risponde al nome di Piketty, ed Obama prende per buona l’”utopia utile”
pikettiana per proporre maggiori imposte sulla ricchezza come leva
dell’imperialismo per regolare il “capitalismo patrimoniale globalizzato”, in
realtà per ridurre il fardello dei suoi rentier nella competizione mondiale
(leggi Cina, anzitutto).
Ciò che invece m’interessa è un
altro aspetto di questa disuguaglianza, la quale oggi appare più abnorme che un tempo (*).
Secondo il Credit Suisse, la ricchezza privata nel mondo viene calcolata in 262
trilioni di dollari, vale a dire, facendo una media, 56mila dollari per adulto,
con un aumento tra il 2013 e l’anno scorso dell’8,3 per cento. E ciò nonostante
la crisi, o forse anche grazie ad essa.
Queste sono solo medie, la realtà,
come sappiamo, è ben diversa. Oggi il 94,5% delle risorse è nelle mani del 20%
della popolazione adulta, vale a dire che l’80 per cento della popolazione
globale o non possiede nulla o possiede il giaciglio in cui dorme, tanto è vero
che basta possedere solo 3.150 euro per appartenere alla metà più ricca della
popolazione. Invece sono solo 128 mila gli adulti con un patrimonio netto
superiore ai 50 milioni di dollari, e metà di loro sono negli Stati Uniti.
Tale squilibrio comporta effetti
devastanti su quella che chiamano “crescita economica”, ben oltre gli asettici
coefficienti di Gini, poiché larga
parte di questa ricchezza non trova alcun impiego produttivo, e semmai è
investita in speculazioni finanziarie che, com’è noto, solo in piccola parte partecipano
all’attività economica vera e propria e pertanto la massa non crea ricchezza (**).
Qui si tratta evidentemente dei
rapporti di distribuzione della ricchezza prodotta che al senso comune appaiono
come rapporti naturali, come rapporti che scaturiscono dalla natura di tutta la
produzione sociale, dalle leggi della produzione umana in generale. E tuttavia
il prodotto sociale si ripartisce da un lato in capitale, dall’altro in
redditi. Uno di questi redditi, il salario, non assume mai la forma di un
reddito, il reddito dell’operaio, se non
dopo essersi contrapposto all’operaio stesso nella forma di capitale.
E ciò per dire che se il modo di
produzione capitalistico presuppone questa forma sociale determinata delle
condizioni di produzione, le riproduce anche continuamente. Non riproduce
solamente i prodotti materiali, ma riproduce
continuamente i rapporti di produzione, nell’ambito dei quali quelli
vengono prodotti, e con essi anche i
rapporti di distribuzione corrispondenti.
In altri termini, spero più semplici, i
rapporti di produzione e le forme con le quali il prodotto sociale viene
ripartito, presuppongono una
ripartizione che è in ogni caso l’espropriazione degli operai dalle condizioni
di lavoro, la concentrazione di queste condizioni in mano a una minoranza di individui.
Ciò su cui punta prevalentemente la
pubblicistica borghese (e il cazzeggio “de sinistra”) riguarda l’aspetto etico e
morale di questa ineguaglianza distributiva, oppure, come detto sopra, l’aspetto distorsivo di tale polarizzazione ai fini della “crescita”, oppure i problemi che la caduta del reddito può avere sulla riproduzione della
forza-lavoro più qualificata (***).
Ciò serve a distogliere
l’attenzione dalla natura oggettiva dei rapporti di produzione capitalistici, cui i rapporti di distribuzione sono una
conseguenza, e dunque distoglie l’attenzione dal tema reale dei rapporti di sfruttamento.
Il pensiero separato,
a-dialettico, vede le cose con la lente deformante dell’ideologia borghese, ha cioè
tutto l’interesse di cogliere il capitalismo solo da un lato, quello della
distribuzione. E anche volendo considerare solo tale aspetto, e cioè la sempre
maggiore polarizzazione della ricchezza, è evidente che ciò ha conseguenze
anche sotto l’aspetto della benedetta “crescita”, laddove tanto più la forza
produttiva si sviluppa e tanto maggiore è il contrasto in cui viene a trovarsi
con la base ristretta su cui poggiano i
rapporti di consumo. Neppure Dio può rendere due più due uguale a cinque!
(*) Alla vigilia della prima
guerra mondiale il rapporto di disuguaglianza fu analogo. Significativo il
fatto che dei 15 punti addizionali di reddito guadagnati dopo gli anni 70 dal
10% più ricco, 11 punti sono andati all’1% dei ricchissimi.
(**) Gli analisti borghesi non
riescono a cogliere la differenza tra patrimonio e capitale (differenza che qui
ho trascurato per mantenere fede alla promessa di semplicità espositiva), e
quando parlano di capitale ne hanno un’idea fisica, come in Piketty, e ne
calcolano la massa a prezzi di mercato. Rilevava J.K. Galbraith che
la quantificazione “finanziaria” del capitale fisico è fonte di terribile
confusione. E lo diceva senza strizzare l'occhio a Marx!
(***) Va rilevato che la perdita
patrimoniale delle famiglie della classe media si riflette sulla diminuita
possibilità di garantire ai figli un’istruzione superiore, ossia la posta in
gioco è la riproduzione di una forza-lavoro adatta allo sviluppo tecnologico e
specialistico dell’industria e dei servizi. E però figuriamoci se ciò può
turbare in qualsiasi modo le preoccupazioni dei due statisti che stamani
s’incontrano per discutere di cose di ben altro momento.
altre volte hai messo in evidenza che la forma più certa di tassazione sarebbe quella sulle successioni, giacché alla morte non si scappa; ma da quello che se ne ricaverebbe in termini economici, sembra da considerarsi preponderante l'effetto pedagogico: t'immagini in Italia? da noi a seguito di tassazioni patrimoniali è piuttosto facile prevedere bombe nei treni, in autostrada, è stata la mafia ecc. E lo stesso dicasi di una norma stringente sul conflitto d'interessi che fondamentalmente (e fondamentalisticamente) interdica qualche familismo amorale. Bergoglio allora non si limiterebbe ai pugni in aria, c'è da scommetterci. Domanda: la combinazione di patrimoniale, tasse di successione, conflitto d'interessi, sarebbe un buon metodo di liquidare la borghesia italiana come classe? (Olly, devi rispondere di no, son provvedimenti liberali classici! saluti)
RispondiEliminale buone domande contengono almeno in parte le risposte
EliminaCapiscono..uhhh se capiscono di economia dal mattino alla sera non fanno altro che capire e anche dopo aver chiuso bottega continuano a capire....
RispondiEliminac