Siamo
sicuri che Hitler sia morto? Certo che no, egli si nasconde dietro molte
maschere. E poi porre la questione in questi termini rivela una concezione
idealistica della storia. Possiamo considerare Hitler come un mostro, ma egli
fu innanzitutto il prodotto di una società e della sua storia, e non si può spiegare un’epoca con le categorie dell'assurdo e della follia. Senza la prima
guerra mondiale, Versailles, la crisi del primo dopoguerra, la crisi del
Ventinove, l’impasse politico di Weimar (ah, le leggi elettorali!), il nazismo
sarebbe rimasto tutt’al più una curiosità storica per specialisti. E però anche
elencando questi motivi, pur molto veri, si resta sempre ancorati
all’evenemenziale. Tuttavia, occupiamoci di
efferatezze e lasciamo stare, per questa volta, le cause.
Che
forse gli ebrei sono stati gli unici ad essere perseguitati ed uccisi? Appena
un poco prima di loro non era capitato agli armeni? E con quanto sprezzo
razzista è avvenuta l’espansione europea a partire dal XV secolo? E come non ricordare le stragi compiute da santa romana chiesa? E andando ancor più indietro nella storia?
Quanto ad efferatezze ce n'è per tutti i disgusti. Leggo su wikipedia: «Durante la ritirata Attila non si astenne dal commettere atrocità. Fece massacrare ostaggi e prigionieri. “Duecento giovani fanciulle furono torturate con disumana ferocia: i loro corpi vennero legati a cavalli selvaggi e squartati, le ossa frantumate sotto le ruote dei carri e le membra abbandonate sulle strade in pasto ai cani”».
Non
fu Attila a commettere quelle efferatezze e non gli Unni, bensì i Turingi. La
citazione esatta è in Edward Gibbon (1737-1794), nel secondo volume (Einaudi,
p. 1265) della sua celebre opera:
«I Turingi militavano nell’esercito di
Attila e attraversarono, sia all’andata che al ritorno, i territori dei
Franchi; e fu probabilmente in questa guerra che commisero quelle crudeltà che
circa ottant’anni dopo furono vendicate dal figlio di Clodoveo. Essi uccisero
gli ostaggi e i prigionieri, duecento fanciulle furono torturate con crudeltà
raffinata e rabbia inesorabile, i loro corpi squartati da cavalli selvaggi, o
le loro ossa stritolate sotto le ruote dei carri, e le loro membra abbandonate
sulle strade in preda ai cani e agli avvoltoi. Tali erano quei selvaggi
antenati, le immaginarie virtù dei quali – sottolinea il Gibbon – hanno talvolta eccitato la lode e l’invidia
dei secoli civili».
Ottant’anni
dopo quelle vittime furono vendicate dal figlio di Clodoveo, scrive Gibbon con
una sorta d’implicito compiacimento. Gibbon è un grande storico, non possiamo
sospettarlo di nulla, nemmeno di simpatie per l’imperialismo inglese? Se il Mein Kampf avesse delle qualità
letterarie, lo leggeremmo a scuola? Eppure con quanta puntigliosa cura ci hanno
fatto tradurre il De bello gallico (*).
Plinio
il Vecchio, nel VII libro della Storia
naturale, ci racconta il ruolo del civilissimo Giulio nel massacro di
1.200.000 persone allo scopo di far bella figura in Gallia (Plutarco, più
benevolo, certifica un milione tondo). Se avesse potuto disporre di ferrovie e
acido cianidrico avrebbe fatto sicuramente meglio. Cominciò con 200mila Elvizi,
il cui torto maggiore era quello di non assecondare i suoi piani; quindi decine
di migliaia di Aquitani e affini, poi mise a morte tutto il senato dei Veneti
(popolazione locale) che si era arreso a discrezione; sterminò tutto il popolo
degli Eburoni e per soprammercato 180mila Usipeti e Tencterii che gli si
trovarono tra i piedi; a Bourges liquidò, per vendetta e senza riguardo per
sesso ed età, 40mila abitanti. Luciano Canfora, nel suo saggio dedicato a Cesare
(pp. 118-19), ci racconta come, nel ricevere a colloquio i capi germanici, li
fece “trucidare a tradimento e quindi assaltò gli avversari sbandati e senza
guida, ed estese indiscriminatamente il genocidio a tutti, donne e bambini
inclusi”.
Ma
tornando a Hitler, vogliamo dire di come furono trattati milioni di prigionieri
dell’Armata rossa? A fine dicembre 1941, stando ai registri della Wehrmacht, il
numro dei prigionieri aveva raggiunto i 3.350.000. Di essi, solo 1,1 milioni
erano ancora vivi e appena 400mila erano in condizioni fisiche sufficientemente
buone da renderli abili al lavoro. Dei 2,25 milioni che avevano perso la vita,
almeno 600.000 erano stati fucilati conformemente al Kommissarbefehl, che
autorizzò l’esercito tedesco e le Einsatzgruppen a eliminare tutti i cittadini
sovietici ritenuti politicamente pericolosi.
Adam
Tooze, nel suo monumentale Il prezzo
dello sterminio, può scrivere a pagina 582:
«Se l’orologio si fosse bloccato
all’inizio del 1942, questo programma di sterminio avrebbe costituito il più grande
crimine contro l’umanità perpetrato dal regime di Hitler.»
E
chi ricorda che all’inizio di ottobre 1941 le tenaglie tedesche e finlandesi si chiusero intorno a
Leningrado (un toponimo che sarebbe stato opportuno conservare anche solo per
ciò che vi accade in tale circostanza), imprigionando 2,5 milioni di civili e
soldati in un gigantesco assedio che durò fino al 1944. Solo tra il periodo
natalizio del 1941 e la fine di gennaio 1942, uomini, donne e bambini perirono
al ritmo di 4.000 al giorno. Nei soli primi undici mesi d’assedio morirono
653.000 leningradesi.
Chi
ricorda più quelle vittime?
(*)
È curioso osservare come ogni fondamentalismo poggi la propria verità
sull’interpretazione di un libro. A cominciare dal fondamentalismo religioso
ovviamente, ma anche da quello economico (anche il neoliberismo è un
fondamentalismo!).
Le ho scritto più di una volta e sempre ho dovuto premettere di non aver mai trovato grossa consolazione nel sapere di non sapere. Anche questa volta Le farò questa doverosa premessa: non so e me ne rincresce. Forse è da questo non sapere che nasce le mie sbagliatissime pensate, che però Lei in parte col post di oggi conferma. Io, che al momento non vorrei nemmeno avvalorare certe tesi spingendomi fino a Giulio Cesare, a Attila o ai Turingi, ho sempre - forse erroneamente - pensato che l'operazione Barbarossa e i 900 giorni di assedio di Leningrado, Marzabotto, Sant'Anna di Stazzema, il Padule di Fucecchio e certi episodi di El Alamein riferiti da sfortunati fantaccini che ne furono testimoni e, in parte, vittime (per dire di quel poco che so) mostrassero quantitativi di crudeltà difficilmente comprensibili, nonostante la guerra: superiori, intendo, rispetto a qualsiasi necessità bellica, tattica o strategica che fosse. Ho sempre pensato che forse più a torto che a ragione (e già questo, mi crea qualche inimicizia) la Germania avesse cominciato a considerare anche gli ebrei come nemici ma trattandosi di un popolo, quello ebraico, disperso, l'unico modo per fargli la guerra era radunarlo per chiuderlo in qualche recinto per farlo prima lavorare e poi sterminarlo con comodo (speculare, quasi, a chi non potendo chiudere in prigione i terroristi, bombarda tutti gli altri). Non andò meglio ai Testimoni di Geova, a qualche slavo errante, agli sparsi comunisti, agli omosessuali. Ma mi pare che nesuno storico neghi che lo stesso destino era previsto per gli slavi (o forse solo per i sovietici). Questo non nega l'olocausto, mi sembra: lo afferma, ma lo afferma come atto bellico, anche se, come molti altri, più crudele del necessario. Questo spiega, almeno alla mia ignoranza, l'orrore dei campi di sterminio, anche se chiarisce poco o niente dei fini di chi insiste su una memoria parziale, cioè un mezzo oblio...
RispondiEliminaSaluti Ale
effettivamente l'orrore dei campi di sterminio non chiarisce ai fini di chi insiste su una memoria parziale. spero di ritornare sull'argomento. grazie per l'interessante commento.
Elimina[..] lo afferma come atto bellico.
EliminaNel contesto, come dettaglio,forse vale la pena di sottolineare la differenza che vi fu tra Wehrmacht e SS.
che cosa cambia?
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