La crisi della rappresentanza è nella
fine delle ideologie, delle appartenenze, e ciò è il segno che la società
stessa è cambiata, nello stravolgimento dei suoi riferimenti e nell’idea che
noi abbiamo di essa. Ciò nonostante è innegabile che le nostre condizioni di
vita poggino su concreti rapporti sociali che non sono cambiati, prova ne sia
quando cerchiamo un lavoro e quando lo perdiamo. E però a cambiare è stata la
nostra concezione di tali infrangibili rapporti. Il salariato non crede più in una
società di uguaglianza e di solidarietà, ma in quella del consumo e più ancora nei
modelli del lusso, vero o fasullo. Il suo orizzonte è a due passi, concreto e
immediato, gli sorride dalle vetrine della boutique e lo solletica da quelle
del concessionario. Troppo potente è l’arma della lusinga, inestinguibile il
desiderio alienato, lo sanno bene i pubblicitari e i padroni per i quali
lavorano.
*
Il socialismo, pare abbia affermato
a suo tempo Benedetto Craxi, “nessuno sa che cazzo è”. Bastava chiedesse a
Nenni e a Lombardi, oppure a Lelio Basso, per sapere anzitutto che cosa non è il socialismo. Al fianco
di Craxi, come sua eminenza grigia, sedeva Giuliano Amato che nel Partito
socialista italiano militava da lunga pezza. Possiamo immaginarcelo Giuliano
Amato leggere le Glosse marginali al
programma di Gotha?
Il partito fu usato come un taxi,
strumento esclusivo della gestione del potere nell’unica prospettiva che uno
come Craxi poteva concepire: quella degli affari. Canalizzare un flusso sempre
più cospicuo di denaro pubblico verso appalti e imprese per lucrare
finanziamenti per il partito e per l’arricchimento personale dei dirigenti. Lo
scambio illegale di denaro e favori, il furto e la corruzione, diventarono
scopi precipui dell’attività politica. Amato, galantuomo, non sospettò di nulla
in quegli anni, fin quando non lo lesse sui giornali.
*
Era la primavera del 1992, c’erano
state le elezioni il 5 e 6 di aprile, le ultime svoltesi con sistema elettorale
proporzionale con preferenze. La Dc ottenne il suo minimo storico, ma non andò
meglio all’ex Pci di Occhetto. Il 23 maggio, con la situazione politica ancora
in alto mare e l’elezione del presidente della repubblica che avveniva nel caos
parlamentare più completo, l’attenzione degli italiani fu attratta dal dito che
indicava la Luna.
Poi, il 28 giugno 1992, fu varato il
governo presieduto da Giuliano Amato, il quale già pochi giorni dopo
l’insediamento a palazzo Chigi emanava il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, “Misure urgenti per il risanamento della
finanza pubblica”, convertito nella legge n. 359 dell’8 agosto 1992.
Eravamo troppo occupati dal prelievo forzoso del 6‰ nei conti correnti per
prestare attenzione al fatto che tale legge dava il via al più massiccio
processo di privatizzazione delle imprese pubbliche italiane.
Fu del pari il governo Amato a
varare la legge n. 421 del 23 ottobre 1992 che prevedeva, fra l’altro,
la trasformazione in società per azioni di IRI, ENI, INA ed ENEL e l’attribuzione
al ministero del tesoro delle azioni della Cassa depositi e prestiti nel
capitale dell’IMI.
E fu la delibera del Cipe del
dicembre successivo a stabilire che il valore delle partecipate statali da
privatizzare doveva essere determinato mediante l’assistenza di “primari o
intermediari specializzati”, nazionali o internazionali, che ormai anche i
bambini sanno oggi essere le grandi banche d’affari.
È dunque questa l’interpretazione
autentica di Amato del socialismo, quella di favorire lo smantellamento del
sistema industriale e finanziario pubblico come ipotetica soluzione dei
problemi della concorrenza internazionale, assecondando in tal modo l’indirizzo
neoliberista dato all’Europa dai tecnocrati nella prospettiva della
globalizzazione, del processo di unificazione europea e dei conseguenti
parametri di Maastricht.
È dunque prevalsa la necessità di
risanare le finanze pubbliche ignorando non solo ogni compatibilità sociale, ma
creando l’occasione per operare un vero e proprio saccheggio del patrimonio degli
stati più deboli al quale hanno partecipato grandi gruppi e banche
d’intermediazione, cui si è ben volentieri unita parte rilevante della classe
dirigente europea, i cui nomi hanno figurato sul libro paga di banche d'affari
spesso al centro d’indagini che non porteranno a nulla.
*
È vero che la galassia delle
partecipazioni statali aveva inderogabile necessità di essere radicalmente
ristrutturata, eliminando produzioni obsolete e fuori mercato, tagliando posizioni
parassitarie e ponendo rimedio alla crescita del rapporto tra indebitamento e
fatturato. Missione quasi impossibile posto che dalle partecipazioni statali i
partiti traevano posti, prebende e fiumi di denaro. E anche il sindacato del
resto era poco interessato ad un’effettiva riforma ma molto più alla conta
delle tessere. Quanto all’imprenditoria privata italiana, essa si era sempre
mostrata antagonista a quella pubblica, e dunque non aveva interesse per una
seria riforma delle partecipate, ed infatti i grandi gruppi privati attesero
l’occasione di diventare i maggiori acquirenti delle imprese che lo stato
avrebbe ceduto.
I processi di privatizzazione sono
assai complessi e si tratta di operazioni di carattere essenzialmente politico,
per cui è richiesta una definizione degli obiettivi ultimi e la verifica delle
compatibilità strategiche nazionali (vedi Telecom), e un’attenta selezione di
ciò che è oggetto di privatizzazione (vedi la vicenda del nuovo Pignone),
eccetera. Quanto di tutto questo è avvenuto? E per contro, le privatizzazioni
solo nelle dichiarazioni di principio hanno risposto a obiettivi di
miglioramento di competitività e di efficienza del sistema economico, e invece
esse hanno puntato anzitutto a ingrassare profitti e rendite (“plusvalenze
private da capogiro“ le definì uno che se ne intende), e favorire un nuovo
regime di monopolio (pensiamo solo all’acqua e ai servizi pubblici in genere,
alle autostrade, ecc.).
Non ci voleva molto a capire che
il confronto aperto e diretto con i grandi competitori europei e internazionali
ci avrebbe condotto alla situazione odierna, e tuttavia quello stesso eccelso
protagonista di allora ora siede come giudice costituzionale e appare come uno
dei più probabili candidati alla presidenza della repubblica. Ed un altro di
quei massimi leader, D’Alema, ci viene oggi a raccontare di quanto sia audace
la finanza internazionale, di come sarebbe necessario eccetera eccetera
eccetera.
Ci chiediamo per quale motivo la
rappresentanza è in crisi?
Olympe, a completamento del post precedente. Nel 1984 i pretori d’assalto sequestrano gli impianti di trasmissione di Bussoloni. Craxi si scatena e prepara un decreto di dissequestro:
RispondiElimina“Poi, per far decadere gli emendamenti, pone la questione di fiducia. Tanto, si dice, gli effetti del decreto scadono il 6 maggio 1985: da quella data Berlusconi non potrà più trasmettere senza una nuova legge Antitrust: “Sino all’approvazione della legge generale sul sistema radiotelevisivo – si legge nel decreto – e comunque non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è consentita la prosecuzione dell’attività delle singole emittenti televisive private...”. Ma la nuova legge non arriva e l’ultimatum di sei mesi è pura finzione: Palazzo Chigi (i soliti Craxi & Amato) concede all’amico Silvio un’altra proroga fino al 31 dicembre 1985. Data peraltro fittizia pure quella: il governo Craxi & Amato stabilisce che il decreto non è “provvisorio”, bensì “transitorio”. In pratica, eterno. Il 3 gennaio 1986, scaduta la proroga, basta una “nota” del sottosegretario Amato per comunicare che la normativa non necessita di ulteriori proroghe legislative. Con tanti saluti alla legge, che dice “comunque non oltre sei mesi...”. Silvio è salvo. Nel 2009 l’inviato di Report Bernardo Iovene gli ricorderà quel trucchetto del decreto “transitorio” che diventava perpetuo. E lui, anziché arrossire e nascondersi sotto il tavolo, s’illuminerà d’immenso e d’incenso: “Sa, noi giuristi viviamo di queste finezze: la distinzione fra transitorio e provvisorio è quasi da orgasmo per un giurista... Quando discuto attorno a un tavolo tecnico e qualcuno dice ‘questa cosa è vietata’, io faccio aggiungere ‘tendenzialmente’...”. Dev’essere per questo che oggi è giudice della Corte costituzionale”.
.
Ho conservato la registrazione dell’intervista ad Amato, con la faccia da furetto e l’espressione lubrica, tipica dei titillatori di movimenti peristaltici, che cercano di scaricare il loro degrado inchiappettandosi qualcun altro.
Saluti