venerdì 19 settembre 2014

Contro l'eresia


Oggi ci rompono il cazzo col referendum scozzese, laddove gli scozzesi dovevano scegliere se rimanere sotto la dittatura della borghesia inglese oppure passare sotto la cappella dell’élite locale. Resta comunque acquisito un fatto, e cioè che le burocrazie statali sono un ostacolo alla libertà dei popoli.

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C’è un forte accanimento contro ogni forma di "eresia", non solo da parte della classe egemone (e questo va da sé), ma anche da parte di tutti quei proletari che sono stati convinti che solo il denaro sia adatto a governare il mondo. La nostra è una società plasmata secondo le aspirazioni dei padroni, secondo il loro modello culturale, facile da assimilare, che è diventato quello dell’uomo comune, laddove i problemi importanti ma complessi e noiosi sono messi da parte nelle coscienze e nell’intimità degli individui per lasciare spazio allo stesso e medesimo massaggio, quello pubblicitario, quello dei nuovi eroi della comunicazione, vuoi travestiti da politici o da specialisti di qualunque altra cosa.

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Chi accetta passivamente questo sistema
è per il mantenimento della schiavitù.


L’abolizione sostanziale di ciò che resta dell’art. 18, o qualunque nome vorranno affibbiare a tale nefandezza, serve per licenziare quella minoranza di schiavi che ancora gode (oh, se gode!) di un contratto a tempo indeterminato per assumere poi altri schiavi privi di diritti se non quello di sgobbare per quattro soldi.

Scriveva un antico proprietario di schiavi:

Illiberales autem et sordidi quaestus mercennariorum omnium, quorum operae, non quorum artes emuntur; est enim in illis ipsa merces auctoramentum servitutis. […] Opificesque omnes in sordida arte versantur; nec enim quicquam ingenuum habere potest officina (De officiis, I, CL).

Passarono molti secoli prima che il principio della libertà individuale assumesse un carattere universale iscritto solennemente negli statuti dei popoli, consentendo così al servo di vendersi davvero liberamente.

Un cittadino ateniese o romano avrebbe riso della cosa e invece noi schiavi del mondo moderno consideriamo questo come il più alto traguardo raggiunto, come il bene più prezioso che abbiamo, non potendone vantare altri.

Anche un economista borghese, come Maffeo Pantaleoni, in un’epoca culturalmente molto più libera dell’attuale, poteva scrivere:

Allorché un individuo è costretto a pagare e a lavorare per altri, questo individuo è lo schiavo degli altri (La caduta della Società Generale di Credito mobiliare Italiano, UTET, 1988).

Il più grande pensatore moderno, a sua volta, scriveva:

Lo schiavo romano era legato al suo proprietario da catene; l’operaio salariato lo è al suo da invisibili fili. L’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris del contratto (Il Capitale, I, cap. XXI).

Il contratto è quindi il mezzo che formalizza la schiavitù. Il primo passo per affrancarsi dalla schiavitù salariata è abolirne le forme concrete e quelle giuridiche sulle quali essa poggia. Per fare questo è necessario abolire la classe sociale che ha interesse a mantenere lo statu quo: la borghesia. È facilmente intuibile che la borghesia non si farà cancellare per vie amministrative, anche perché essa, attraverso lo Stato, controlla l’uso legale della forza.  

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Un antico proprietario di schiavi – escluso ogni eventuale scrupolo morale – avrebbe mai potuto ammettere che il modo di produzione schiavistico portasse in sé il germe della propria dissoluzione? E il feudatario ecclesiastico – costringendo le plebi a un mero e precario stato di sussistenza – non voleva forse confermare che l’immutabilità di quell’ordine sociale corrispondeva a quanto stabilito dal padreterno? Infine, un moderno proprietario di schiavi salariati potrebbe tollerare che l’aumentata produttività del lavoro possa tradursi in una diminuzione della durata del tempo di lavoro e con ciò alludere alla rimodellazione delle forze produttive, della tecnica e della scienza entro un nuovo quadro di razionalità fondato sulla liberazione del lavoro e il rispetto della natura?

3 commenti:

  1. Rilegga la prima parte del post, vi sono delle sviste grammaticali che è un peccato.
    La saluto.

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    1. a parte il salto di una consonante in "travestiti", però non vedo altre sviste grammaticali, perciò mi farebbe piacere me le segnalasse per eventualemnte correggerle. molte grazie e saluti

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    2. ora ho visto che c'è anche un "una" in vece di "un", ma si tratta, come già ebbi modo di dirle qualche giorno addietro, di errori di battuta, non di errori grammaticali (peraltro sempre possibili). lei questi errori di battuta fa bene a segnalarmeli, e perciò la ringrazio sinceramente.

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