Il mondo è sconvolto, non riesce a trovare un asse intorno al quale si
possa organizzare una convivenza accettabile. L'Europa è sconvolta per le
stesse ragioni; in un mondo multipolare ogni area continentale deve avere i
propri punti di riferimento che contribuiscono all'equilibrio generale, ma in
Europa quei punti di riferimento mancano, ogni nazione fa da sé e per sé e la
multipolarità diventa a questo punto ragione di conflitto e di guerre.
Così appare oggi il mondo nell’editoriale
di Eugenio Scalfari. A queste parole che colgono la superficie della realtà, seguono
poi delle considerazioni di storia patria d’impronta evenemenziale, come quella
secondo cui Mussolini governava da solo senza “ corte e oligarchia”. Oppure,
semplificando, dicendo che “gli italiani, nella loro ampia maggioranza, si
rifugiano nell'indifferenza, gli piace avere un sovrano purché gli lasci piena
libertà privata”. Chiedo: gli italiani o le classi dirigenti italiane, perché
tale distinzione non è inessenziale, posto per esempio che il fascismo non
nacque per caso e che poi per decenni l’Italia ebbe ad annoverare il più forte
partito comunista dell’Occidente? Quello di Scalfari è un modo suggestivo ma idealistico
e soggettivo di raccontare la storia, poiché non tiene conto degli effettivi rapporti
sociali di cui quelli politici sono in ultima analisi espressione diretta.
*
La millenaria storia europea ci
racconta, da ultimo e in particolare nel tragico decorso della prima metà del
Novecento, come qualsiasi piano che contempli un’organizzazione politica
europea basato sulla conquista e l’annessione, e anche solo sull’egemonia di un
solo Stato o di più Stati associati, sia destinato prima o poi al fallimento.
Anche nell’esperienza presente, mi
pare evidente che l’unione politica ed economica europea di fatto non poggi sul riconoscimento paritario delle diverse
individualità nazionali, condizione essenziale per il duraturo successo di
un’organizzazione di tal genere. E ciò laddove appena si consideri il ruolo egemone
anzitutto della Germania come potenza economica europea più forte e, dopo la sua
riunificazione, come entità nazionale demograficamente più numerosa, meglio
organizzata, politicamente unitaria negli scopi, con uno spirito coeso.
Le difficoltà dell’Europea, percepite
spesso come anzitutto d’ordine monetario, trovano nei modi in cui la Germania
usa a proprio vantaggio la moneta comune e in cui impone politiche economiche
restrittive un non ingiustificato risentimento da parte delle popolazioni di
altri paesi dell’unione. Quando mai, solo per citare un esempio, un ministro
delle finanze di un qualsiasi altro paese si permetterebbe tanto platealmente
di smentire il presidente della Banca centrale europea sostenendo che ciò che
questi afferma non va interpretato secondo le chiare parole espresse
dall’interessato?
Ecco ribadito il motivo per cui molti
sostengono che l’Unione europea così com’è organizzata e la sua moneta così
com’è politicamente gestita, serve anzitutto agli interessi della Germania nel
suo ruolo di potenza nella contesa globale. Di per sé la Germania è piccola sul
piano della statistica mondiale, ma come potenza economica continentale è
troppo forte per non assumere un ruolo egemone nel continente e dunque oggi anche in
materia di politica monetaria. Ciò coglie ora un’indubbia verità che affonda le
sue radici storiche almeno fin dall’epoca di Bismarck.
E tuttavia se la leadership
tedesca è colta nei fatti e nel comune sentire come l’origine delle difficoltà
della UE e dell’euro, a me pare che la contraddizione fondamentale che caratterizza
l’organizzazione unitaria europea vada cercata ben oltre la superficie di
questi temi, pur importanti, cioè in una contraddizione fondamentale che non può
essere, pur nelle eventuali e migliori intenzioni, bypassata con espedienti di
ordine politico e congiunturale, con degli aggiustamenti dei meccanismi
politici e di revisione dei trattati.
E che si tratti di una
contraddizione essenziale è presto detto laddove si consideri che ogni
valutazione di questo tipo, sullo stato dei rapporti d’ordine economico e
politico tra i diversi paesi aderenti all’unione, va posta in rapporto al
modo di produzione capitalistico, alle sue leggi di movimento, e valutata anche
in relazione alla sua fase monopolistica avanzata. Per farla breve, chiedere alla Germania, e dunque anzitutto al
capitale tedesco, dei cui interessi la politica tedesca è ovvia espressione, di
recitare una parte in commedia che non gli è propria, è puro velleitarismo. Si
è visto bene, per esempio, alcuni anni or sono quando s’è trattato, nei modi e
nei tempi decisi da Berlino (e Parigi), di rientrare dalle esposizioni bancarie
tedesche nei paesi del sud Europa.
E dunque per quanto siano
auspicabili gli accordi politici tra gli Stati nazionali europei e i piani di
organizzazione economica unitaria, con tutte le misure d’aiuto e di
compensazione possibili tra gli uni e gli altri, resta il fatto che nell’ambito
di un sistema economico capitalistico, della lotta sui mercati per fare un solo
esempio, è illogico pensare di poter superare gli antagonismi economici e
conseguentemente le diverse individualità nazionali sul piano politico. In
altri termini, non solo è illogico, ma è altresì non dialettico, laddove si
consideri che gli accordi pacifici sono indissolubilmente legati, per quanto si
vogliano mettere in ombra, con i conflitti puramente capitalistici, dappertutto
determinandosi la tendenza al dominio e non già alla libertà, come ogni santo
giorno dimostra.
P.S. : ringrazio Luca per la foto la quale ci ricorda come ci si è ridotti.
P.S. : ringrazio Luca per la foto la quale ci ricorda come ci si è ridotti.
Grazie cara. Aggiungo soltanto che tale bacheca del fu PCI è ubicata in una via di un suggestivo borgo medievale del Centro, là dove pulsava il cuore rosso d'Italia.
RispondiEliminami piaci quando fa il romantico
EliminaLa distinzione tra popolo e classi dirigenti è essenziale non solo per l'Italia ma per ogni Paese del mondo dove un popolo non è identificato con i propri dirigenti e viceversa. Riferendomi ad un recente post, resta da definire la differenza fra massa e popolo.
RispondiEliminaQuello di Eugenio Scalfari non è un modo suggestivo o idealistico di raccontare la Storia ma una caratteristica di molti anziani di rielaborare in profondità oltre il fisiologico,non intenzionalmente, il proprio archivio neuronale evenemenziale (fenomeno non sempre esclusivo della terza e quarta età). Situazione, da ciò che qui viene riportato episodicamente, che ritengo ormai difficilmente superabile dal vetusto giornalista.
[...] 'Mussolini governava da solo senza corte e oligarchia' [...] Ma Scalfari da quando il Potere di qualsiasi natura ha fatto a meno di corte e oligarchia?
[...] 'Il mondo è sconvolto, non riesce a trovare un asse intorno al quale si possa organizzare una convivenza accettabile' [...] Ma Scalfari lei ha attraversato due guerre mondiali e aspetta ancora il sole dell'avvenire?
Adesso che De Benedetti ha piazzato Massimo Giannini a Ballarò vi beccate due stoccafissi, uno per iscritto con barba ieratica, l'altro orale via TV con pizzetto moschettiero.
Che 'agli Italiani piaccia avere un sovrano purché gli lasci piena libertà' oltre ad essere il leitmotiv patrimonio dell'ironia letteraria nazionale di tutti i tempi è la nostra apoteosi dell'istituto della delega.
Nel cuore rosso d'Italia pulsa un sangue ormai solo venoso, ed è ,paradossalmente, questo cuore la dimostrazione pratica dell'impossibilità di una società comunista in questo Paese.
Al momento, come per l'Europa, la 'sovrastuttura' ha una grande autonomia.