domenica 11 agosto 2013

Vecchie ciarle spacciate per nuove verità


Scrive Scalfari:

Il 25 luglio del '43 restituì al Re i poteri che il fascismo gli aveva confiscato. 

Confiscato? La crisi attraversata nel dopoguerra dallo Stato italiano fu molto profonda e denunciava l’incapacità dalle classi dirigenti di soddisfare i bisogni delle masse proletarie e le aspirazioni della nuova piccola borghesia urbana. Il fascismo fu il movimento politico che meglio di altri si prestò e riuscì a coinvolgere la piccola borghesia, trasformandola da elemento di squilibrio sociale a strumento idoneo alla difesa dell’ordine sociale minacciato dall’azione del movimento proletario. A ciò si aggregò, all’inizio, la reazione degli agrari contro il movimento sindacale dei lavoratori agricoli diretti dalle organizzazioni socialiste.

Perciò non si trattò da parte del fascismo di confisca dei poteri della monarchia, ma dell’utilizzo strumentale del fascismo da parte della monarchia e delle classi dirigenti italiane. Scalfari sa bene che è così perché nel Ventennio – al contrario di moltissimi di noi – lui c’era, vestiva la camicia nera e portava orgoglioso i pantaloni a sbuffo alto (*).



La monarchia – in accordo con le forze economiche del paese, l’alta burocrazia e il Vaticano – conferì a Mussolini dei poteri che poi, arrivato il momento, revocò in un istante. Non solo il Re privò delle cariche e dei poteri il capo del governo, ma ne ordinò l’arresto in casa propria, a Villa Savoia, come si trattasse di un ladro preso con le mani sull’argenteria.

Mussolini non ha mai controllato né l’esercito e tantomeno l’arma dei carabinieri. A sua volta, anche nei momenti del suo massimo trionfo, fu spiato e le sue telefonate registrate. Insomma, era tenuto sott’occhio. Tanto è vero che lo stesso Hitler dovette ammettere che “Mussolini non ha alcun potere reale”. E lo disse ripetutamente all’interessato, soggiungendo, in una conversazione con Keitel: “Glielo hanno anche impedito perché non avesse un qualche mezzo di potere”.

Nessuno obbligava il Re a promulgare, controfirmandole, le leggi adottate dal fascismo. Leggi razziali comprese. Nessuno costringeva il Re-imperatore a presenziare l’inaugurazione del decimo anno dell’Accademia d’Italia, il 20 novembre 1938, plaudendo la relazione dell’anziano e universalmente stimato storico e archeologo Roberto Paribeni su L’ebraismo in riferimento al suo ciclo storico e alla sua naturale condanna, nella quale si dimostrava “l’originalità e la storicità” del razzismo fascista, risalendo agli antichi romani!

Mussolini ogni settimana si recava dal monarca per riferire sulla situazione interna e internazionale, sulle decisioni importanti non poteva fare di testa sua senza l’avallo del monarca. Il capo dello Stato, e non solo formalmente, era il Re. Se la monarchia fosse stata contraria all’alleanza con i tedeschi e alla guerra, Mussolini avrebbe dovuto recedere dai suoi propositi, ovvero trovare un compromesso con la monarchia.  Invece nel maggio 1938, il monarca pretese il pieno rispetto del protocollo e delle sue prerogative di rango nell’accogliere Hitler a Roma.

Del resto, la figlia del monarca aveva contratto matrimonio con un alto gerarca tedesco, della prima cerchia del Führer, un suo intimo, ed ella era divenuta a tutti gli effetti cittadina tedesca (come lo erano i suoi figli, ossia i nipoti del Re), molto amica di Göring (al quale il Re conferì il collare dell’Annunziata, ossia la massima onorificenza di casa Savoia, facendolo diventare in tal modo “cugino del Re”).

Quanto alla farsa recitata dal gran consiglio del fascismo, basti dire che questi era un organo esautorato, privo di poteri decisionali propri, la cui ultima convocazione, prima di quella fatidica, risaliva a ben quattro anni prima. Nella decisione di entrare in guerra, così come in ogni altra decisione importante, non aveva avuto storia. Fu un organo costituzionale tanto per dire, bensì un organo sussidiario, consultivo, ininfluente. Tanto è vero che con il 25 luglio, esso si estinse e l’atto formale del 2 agosto successivo fu superfluo.

Una frasetta buttata lì, e il pesce abbocca. Passa la vulgata della monarchia confiscata dal fascismo. Suvvia, un po’ di decenza. Naturalmente si tratta di pescetti di bocca buona, minutaglia semicolta che si fa catturare facilmente delle esche scalfariane, e che è ben contenta di farsi friggere.



(*) Eugenio Scalfari, più tardi, tra il 1941-’42, aderì a un gruppo di universitari fascisti che prese a muoversi all’interno del GUF di Roma, anzi del suo organo ufficiale Roma Fascista, diretto allora da Ugo Indrio e, successivamente, da Mariano Pintus.

3 commenti:

  1. Forse sono passati molti anni e Scalfari ha i ricordi un po' confusi.
    Per fortuna ci sono i suoi scritti che sono sprazzi di luce che squarciano questo buio.
    Buona giornata.

    Annick

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