Scrive Scalfari:
Il 25 luglio del '43 restituì
al Re i poteri che il fascismo gli aveva confiscato.
Confiscato? La crisi attraversata nel dopoguerra
dallo Stato italiano fu molto profonda e denunciava l’incapacità dalle classi
dirigenti di soddisfare i bisogni delle masse proletarie e le aspirazioni della
nuova piccola borghesia urbana. Il fascismo fu il movimento politico che meglio
di altri si prestò e riuscì a coinvolgere la piccola borghesia, trasformandola
da elemento di squilibrio sociale a strumento idoneo alla difesa dell’ordine
sociale minacciato dall’azione del movimento proletario. A ciò si aggregò,
all’inizio, la reazione degli agrari contro il movimento sindacale dei
lavoratori agricoli diretti dalle organizzazioni socialiste.
Perciò non si trattò da parte del fascismo di
confisca dei poteri della monarchia, ma dell’utilizzo strumentale del fascismo
da parte della monarchia e delle classi dirigenti italiane. Scalfari sa bene che
è così perché nel Ventennio – al contrario di moltissimi di noi – lui c’era,
vestiva la camicia nera e portava orgoglioso i pantaloni a sbuffo alto (*).
La monarchia – in accordo con le forze economiche del
paese, l’alta burocrazia e il Vaticano – conferì a Mussolini dei poteri che poi,
arrivato il momento, revocò in un istante. Non solo il Re privò delle cariche e
dei poteri il capo del governo, ma ne ordinò l’arresto in casa propria, a Villa
Savoia, come si trattasse di un ladro preso con le mani sull’argenteria.
Mussolini non ha mai controllato né l’esercito e
tantomeno l’arma dei carabinieri. A sua volta, anche nei momenti del suo
massimo trionfo, fu spiato e le sue telefonate registrate. Insomma, era tenuto
sott’occhio. Tanto è vero che lo stesso Hitler dovette ammettere che
“Mussolini non ha alcun potere reale”. E lo disse ripetutamente
all’interessato, soggiungendo, in una conversazione con Keitel: “Glielo hanno
anche impedito perché non avesse un qualche mezzo di potere”.
Nessuno obbligava il Re a promulgare,
controfirmandole, le leggi adottate dal fascismo. Leggi razziali comprese. Nessuno
costringeva il Re-imperatore a presenziare l’inaugurazione del decimo anno
dell’Accademia d’Italia, il 20 novembre 1938, plaudendo la relazione
dell’anziano e universalmente stimato storico e archeologo Roberto Paribeni su L’ebraismo in riferimento al suo ciclo
storico e alla sua naturale condanna, nella quale si dimostrava
“l’originalità e la storicità” del razzismo fascista, risalendo agli antichi
romani!
Mussolini ogni settimana si recava dal monarca per
riferire sulla situazione interna e internazionale, sulle decisioni importanti
non poteva fare di testa sua senza l’avallo del monarca. Il capo dello Stato, e
non solo formalmente, era il Re. Se la monarchia fosse stata contraria
all’alleanza con i tedeschi e alla guerra, Mussolini avrebbe dovuto recedere
dai suoi propositi, ovvero trovare un compromesso con la monarchia. Invece nel maggio 1938, il monarca pretese il
pieno rispetto del protocollo e delle sue prerogative di rango nell’accogliere
Hitler a Roma.
Del resto, la figlia del
monarca aveva contratto matrimonio con un alto gerarca tedesco, della prima
cerchia del Führer, un suo intimo, ed ella era divenuta a tutti gli effetti cittadina
tedesca (come lo erano i suoi figli, ossia i nipoti del Re), molto amica di Göring (al
quale il Re conferì il collare dell’Annunziata, ossia la massima onorificenza
di casa Savoia, facendolo diventare in tal modo “cugino del Re”).
Quanto alla farsa recitata dal gran consiglio del
fascismo, basti dire che questi era un organo esautorato, privo di poteri
decisionali propri, la cui ultima convocazione, prima di quella fatidica,
risaliva a ben quattro anni prima. Nella decisione di entrare in guerra, così
come in ogni altra decisione importante, non aveva avuto storia. Fu un organo
costituzionale tanto per dire, bensì un organo sussidiario, consultivo,
ininfluente. Tanto è vero che con il 25 luglio, esso si estinse e l’atto
formale del 2 agosto successivo fu superfluo.
Una frasetta buttata lì, e il pesce abbocca. Passa la
vulgata della monarchia confiscata dal fascismo. Suvvia, un po’ di decenza. Naturalmente
si tratta di pescetti di bocca buona, minutaglia semicolta che si fa catturare
facilmente delle esche scalfariane, e che è ben contenta di farsi friggere.
(*) Eugenio Scalfari, più tardi, tra il 1941-’42,
aderì a un gruppo di universitari fascisti che prese a muoversi all’interno del
GUF di Roma, anzi del suo organo ufficiale Roma
Fascista, diretto allora da Ugo Indrio e, successivamente, da Mariano
Pintus.
Ottimo post.......Grazie!
RispondiEliminagrazie a te
EliminaForse sono passati molti anni e Scalfari ha i ricordi un po' confusi.
RispondiEliminaPer fortuna ci sono i suoi scritti che sono sprazzi di luce che squarciano questo buio.
Buona giornata.
Annick