Ripensando a quanto è accaduto in questi ultimi mesi sulla
scena politica italiana non si può non rintracciare una logica (non
propriamente un piano), che è in definitiva quella di sempre: perpetuare il
sistema, sopravvivere sperando nella buona stella, convinti che le cose si sistemeranno
in qualche modo da sole.
Se si guardano le cose da un punto di vista parziale,
ossia dalla prospettiva del cabotaggio politico e del messaggio mediatico, esse
sembrano avere un significato reale. Se invece tali avvenimenti sono
considerati da un punto di vista del movimento storico essenziale e generale, si
può cogliere la loro vacuità.
Le cose notevoli sembrano accadere improvvisamente,
ma esse sono già qui.
* * *
Gaetano Mosca parte dal presupposto che nelle società
storiche sono date essenzialmente due grandi classi sociali, quella dei
governanti (una minoranza) e quella dei governati (la maggioranza), con le
ovvie conseguenze. Anche «se il malcontento delle masse riuscisse a
detronizzare la classe dirigente, dovrebbe necessariamente trovarsi […] nel
seno delle masse stesse un’altra minoranza organizzata, che all’ufficio di
detta classe adempisse» (in La classe
politica, a cura di N. Bobbio, Laterza, 1966, p. 61).
E fin qui Mosca pone, dal punto di vista dell’ideologia corrente, un problema vero, in
realtà falso. Poi sostiene che la storia è sì lotta di potere, ma tra élites,
contrariamente a Marx che ne individua il movente principale nella lotta
economica, cioè di classe. È quella di Mosca una tesi che sembra cogliere effettivamente l’evidenza storica e perciò gode molti
estimatori (tra questi, p. es., Giuseppe Tomasi che nel Gattopardo parla esplicitamente di “lenta sostituzione di ceti”).
In realtà si tratta di una concezione idealistica
della storia, laddove le élites rappresentano un mero concetto classificatorio.
Se la storia fosse solamente lotta per la conquista del potere tra élites
antagoniste e non tra classi sociali portatrici di peculiari interessi
economici, l’Egitto sarebbe governato oggi da una nuova ed ennesima dinastia di
Faraoni e la Sicilia sarebbe divisa in feudi. Perciò non si tratta soltanto di
una “lenta sostituzione di ceti” ma di un processo nel quale la “lenta
sostituzione” è in rapporto dialettico con il movimento essenziale della
trasformazione storica, cioè con lo sviluppo delle forze produttive e la
trasformazione dei rapporti di produzione.
Quando poi queste trasformazioni sono recepite a
livello politico e giuridico, basta poco a volte per provocare una vera e
propria rivoluzione. Ad esempio, in una norma del
codice napoleonico – in materia di successione nella proprietà, sia essa mortis
causa che inter vivos – si è voluto vedere sancito un
principio giuridico che ha di fatto mandato al macero intere biblioteche e
mutato radicalmente il corso degli avvenimenti più di quanto non abbia fatto il
diuturno lavoro della ghigliottina. Ciò è vero nella misura in cui tale norma è
stata il risultato di un processo durato secoli (*).
Ed è proprio perché le concezioni alla Mosca – non
neutrali ideologicamente – tendono a privilegiare il punto di vista politico
che non funzionano. La lotta tra le diverse fazioni politiche o religiose,
rientra nel novero degli avvenimenti evenemenziali, per dirla alla Braudel,
ossia delle cose fortuite. Tanto è vero che i fini dichiarati dalle parti in
causa non sono quelli reali per i quali si lotta e ci si sbudella, ma ideali, per
cui si sono avute costituzioni assai liberali pur perdurando la schiavitù nelle
forme classiche. E gli obiettivi raggiunti quasi mai coincidono con quelli
prefissati, e si assiste infine – volenti o nolenti – al compiersi nel tempo
lungo della necessità generale del movimento storico, ossia delle leggi di
sviluppo che agiscono con la stessa forza di leggi di natura (ecco perché la
storia è una scienza se intesa correttamente, ossia dal punto di vista della
dialettica materialista), ma con una
“variante” di non poco conto. Dirò in un’altra occasione, per il momento
guardiamo il cielo in direzione delle Pleiadi e facciamo “voti”.
(*) La ricca borghesia mercantile e
usuraia «che possedeva la maggior parte del capitale francese», mirava a
ottenere un riconoscimento politico equivalente al raggiunto potere economico.
A tal fine occorreva colpire l'aristocrazia terriera proprio minando le basi
del potere fondiario. Ed il momento propizio, in cui il bene si presenta più
vulnerabile, è la successione nella proprietà, sia essa mortis causa che inter vivos.
Abolite le disuguaglianze tra eredi e l'istituto del maggiorasco, si
stabilì che «al padre e alla madre succedono i figli o i loro discendenti,
senza distinzione di sesso né di primogenitura […]. Essi succedono in eguali
porzioni.» (Code Nap. art. 745, il quale riprende la legge del 17 nevoso anno
II della Rivoluzione); era ragionevole sperare che in capo a poche generazioni,
mediante la divisione ereditaria, sarebbero tornati a circolare atomi di quelli
che erano stati ingenti patrimoni familiari.
Alla borghesia serviva accelerare la
circolazione dei beni, particolarmente quelli immobiliari, per favorire il turn-over politico-economico. Lo scopo fu raggiunto privando i contratti traslativi
di quegli inutili formalismi di tradizione romanistica che in Francia erano il vest e il devest. Il giudice o il sindaco, seduto sopra uno scranno, teneva da
un capo il bastone che gli aveva offerto il venditore; il compratore, in
ginocchio davanti a lui, prendeva l'altro capo del bastone, mentre quattro
individui schierati dietro il venditore renderanno pubblica testimonianza
dell'avvenuta alienazione. Le leggi del 20 e 27 settembre 1790, abolendo le
formalità feudali del vest e del devest aprirono la strada al principio secondo
il quale la proprietà doveva poter circolare con il solo consenso delle parti,
cioè senza gli ostacoli del passato, vedi le eredità inalienabili e gli altri
impedimenti alla vendita e alla suddivisione basati sulla proprietà nobiliare.
Questa è la rivoluzione francese, la lotta di
classe della borghesia, la sua dittatura, non le chiacchiere dei sociologi e
degli storici borghesi! Il primo obiettivo era di trasformare la terra in una
merce qualunque. Questo profondo cambiamento sarà poi recepito nell'art. 1138 del
napoleonico, al quale si affiancano, perché informati alla stessa logica, anche
l’art. 938 in materia di donazione, e il 1583 in materia di compravendita.
Da una spiaggia della terra natia di Napoleone leggo con partecipazione e godimento. Saluti
RispondiEliminadal solito afoso posto ti rispondo con vive e vibrante partecipazione et invidia. se hai occasione visita il museo Fesch. ciao bocia
EliminaLei scrive sempre post molto belli, alcuni pero' sono strepitosi.
RispondiEliminaQuesto e' uno di quelli. In poche parole riesce a non farmi perdere il punto rispetto alle cose che accadono e ciò mi rende felice.
Non potrò mai ringraziarla abbastanza.
Ciao. Annick
Non sono molto brava a scrivere, ma spero che abbia ugualmente capito il senso.
è una grande soddisfazione avere lettori interessati e ... gentili. ciao
EliminaAnnick
RispondiEliminaè la stessa sensazione che provo io,
che da due anni seguo quotidianamente il blog.
Lunga vita, Olympe....
Giorgio
ah, c'è qualcuno che legge anche con questo caldo :)
Elimina