Con
il denaro si controllano i media e con questi s’influenza pesantemente tutto il
resto, politica compresa ovviamente. È questo il senso della democrazia
borghese, e non solo in Italia. In questo modo sono stati convinti gli schiavi
che questo è, in definitiva, non solo il miglior sistema sociale possibile, ma
anche quello definitivo. Se vi pare poco.
Per
la realizzazione di tale stato di cose non c’è stato bisogno di nessun piano
preordinato, infine è seguita la necessità storica. Sarà così anche per il
futuro, saranno le stesse leggi dello sviluppo storico a determinare la nostra
sorte? E quali? Noi non siamo come gli altri animali soggetti alle mere leggi
biologiche e di evoluzione, noi possiamo altresì dare un indirizzo alla nostra
storia. Dipende da noi quale.
* * *
È
singolare che il presidente degli Stati Uniti d’America che ha abolito la
schiavitù in realtà non fosse per nulla un abolizionista, tanto è vero che nel
suo discorso d’investitura, il 4 marzo 1861, richiamandosi alla Costituzione
vigente, ebbe a dichiarare che gli schiavi fuggiaschi dovevano essere
riconsegnati ai loro legittimi padroni. Egli si espresse esattamente così:
There is much controversy about the
delivering up of fugitives from service or labor. The clause I now read is as
plainly written in the Constitution as any other of its provisions:
No
person held to service or labor in one State, under the laws thereof, escaping
into another, shall in consequence of any law or regulation therein be
discharged from such service or labor, but shall be delivered up on claim of
the party to whom such service or labor may be due.
It is scarcely questioned that this
provision was intended by those who made it for the reclaiming of what we call fugitive slaves; and the intention of
the lawgiver is the law. All members of Congress swear their support to the
whole Constitution—to this provision as much as to any other. To the
proposition, then, that slaves whose cases come within the terms of this clause
"shall be delivered up" their oaths are unanimous.
Questo
discorso, redatto da Lincoln stesso, fu letto e approvato da alcuni influenti
personaggi della scena politica e del patriziato americano, compreso il nuovo
segretario di stato e primo ministro che vi apportò lievi modifiche. Insomma,
pur di mantenere unita la nazione Lincoln avrebbe accettato lo status quo.
Altri ambienti puntavano a un piano diverso, pronti a sbarazzarsi degli Stati
del cotone e del loro problema della schiavitù. Un piano velleitario per molti
aspetti.
Pertanto,
sulla posizione di Lincoln in merito alla schiavitù praticata negli Usa mi pare
che non vi possano essere dubbi e pretestuose “controversie”, se non alimentati
ad arte per confondere, come solito. La questione della restituzione dei fugitive slaves fu decisiva nella controversia tra gli Stati dell’Unione e gli
Stati Confederati. Solo in seguito alla Guerra di secessione Lincoln cambiò
atteggiamento, ma anche in tal caso in modo ambiguo (vds. il cosiddetto
proclama di emancipazione). Uno dei maggiori fautori dell’abolizionismo fu Thaddeus Stevens, personaggio carismatico e caustico oratore, il quale si appellò per una
guerra totale contro i confederati, che doveva comprendere anche la confisca e
la conseguente liberazione degli schiavi, prevedendo in questo modo di privare
la confederazione di preziosa forza-lavoro gratuita, mettendone in ginocchio il
sistema produttivo ed economico.
In
definitiva, la questione dell’abolizione dello schiavismo va vista storicamente
non sotto il profilo morale, bensì dal punto di vista pragmatico, ossia degli
interessi reali in campo.
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