Ieri sera volevo collegarmi con il sito del New York Times, ma non c’è stato verso.
Molto strano. Allora ho fatto un brutto pensiero e ho cliccato il sito del Washington Post, trovandolo attivo. Ho
pensato che non era in atto un attacco informatico come invece avevo temuto
dando retta al mio pessimismo (leggi: realismo). E, invece, questa mattina
leggo che il sito web del New
York Times, il più cliccato media del mondo, era stato oscurato da un attacco
esterno di hacker, e così anche l'Huffington
Post e USA Today. Naturalmente
sono stati accusati hacker pro-Assad !! Com’è prevedibile il mondo in
mano a burattinai così poco brillanti.
Quando nel post dell’altro giorno
scrivevo che il prossimo conflitto globale non sarà
semplicemente combattuto sul piano della contesa terrestre e aero-navale
classica, con propaggini extraterrestri (satelliti, ecc.), ma sarà centrale la
contesa sul piano delle nuove tecnologie, con un ruolo rilevante della nuova
intelligence, di controllo sulle comunicazioni e sullo stato psichico, emotivo,
culturale e informativo delle popolazioni in misura inedita rispetto al
passato, mi riferivo proprio a questo.
Ma ciò che è accaduto ieri sera sono
sciocchezzuole, bagatelle.
Scrivevo in un post del 2 marzo scorso: È vero che ci sono voluti seimila anni per passare dalla
ruota all’invenzione del trolley, ma è altrettanto vero che sono bastati alcuni
secoli per cambiare radicalmente il mondo come mai nel passato. Ma che cosa sappiamo comunemente di
Internet? Si sente anche dire spesso di dematerializzazione per descrivere
la separazione tra supporti fisici e contenuti, ma si tratta solo di una delle
tante illusioni. I nostri file, foto e video sono duplicati su un disco rigido
da qualche parte. Per esempio, nessuno di noi può dire in quale luogo siano
immagazzinate le parole che state leggendo, senza contare che sono i
proprietari del software a dominare sugli utenti, a utilizzare i nostri dati
che affidiamo loro per scopi commerciali vendendoli ad altre società.
Come sempre con qualche mese d’anticipo rilevavo ciò che è
noto da molto tempo e che i media hanno poi “scoperto” nel pieno dell’estate a
proposito dello spionaggio di massa effettuato da tutti i servizi d’intelligence, ma soprattutto da quelli Usa.
Aggiungevo nel citato post: Siamo dunque abituati a
considerare Internet come qualcosa di perso nell’etere, in definitiva
d’immateriale. Almeno è questo che molto interessatamente taluni vorrebbero
portarci a credere. E invece – come rileva il NYT – «la realtà fisica di Internet è ben distante
dalla narrazione mitologica, quella per cui si vive in un mondo virtuale e ogni
sorta di memoria è stoccata nelle nuvole».
Poi: Globalmente le connessioni a Internet in banda larga su
rete fissa sono circa 600 milioni, quindi oltre un miliardo di connessioni su
rete mobile (dati Itu del 2011). Oltre il 90% del traffico intercontinentale,
voce e dati, transita attraverso la rete di cavi in fibra ottica posati sui
fondali marini, per poi diramarsi attraverso le grandi dorsali terrestri e i
ripetitori cellulari. Oggi l’intera rete sottomarina raggiunge il milione di
chilometri, quasi trenta volte la circonferenza della terra. Ha richiesto
l’equivalente di trentacinque anni di lavoro h24. Poche società, la
giapponese NTT, l’inglese Global Marine,
l’americana Tyco e France Télécom Marine, svolgono
il lavoro necessario alla posa sui fondali marini dei cavi della rete,
posizionando ogni 70 chilometri circa dei ripetitori di segnali, circa 15mila
al costo di 1 milione di dollari l’uno.
Vengo ora al dunque: ecco verso quali obiettivi – più
ancora delle basi militari, dei centri industriali, delle vie di comunicazione
tradizionali – verrà combattuta, almeno inizialmente, la prossima guerra globale.
E ora che abbiamo un qualche barlume su un aspetto saliente della prossima
contesa interimperialistica, auguriamoci buona giornata, almeno fino a quando
possiamo farlo con questo mezzo inventato per la guerra e che si chiama
Internet.
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