Joe
Pesci, interpretando Frankie Monaldi nel
film C’era una volta in America, se ne esce con questa frase: “La vita è
strana, strana come la merda”. Non certamente un esempio di finezza, ma rende
bene il concetto. Del resto lo stesso Pesci, chiamato in un primo momento da
Leone per interpretare il ruolo di Max Bercovicz, amico di Noodles e co-protagonista della storia, poi si dovette
accontentare di recitare la parte di Monaldi, un ruolo molto importante nella sceneggiatura
originale, ma limitato nella versione definitiva del film.
Anche
la vicenda di un altro personaggio della storia americana, quella autentica, fu
ben strana. Nato in una capanna di tronchi a Hodgenville (Kentucky) il 12
febbraio 1809, dunque un acquario, divenne un avvocato delle ferrovie, poi
intraprese con determinazione la carriera politica. Un tipo astemio, alto di
statura e magrissimo, che non amava il cibo, affetto da una stitichezza molto
severa che raramente gli permetteva una seduta al cesso più di una volta a
settimana nonostante bevesse litri di un lassativo chiamato Blu Mass. Era
tuttavia un uomo di buona tempra e grande forza, non solo fisica.
Fu
deputato per una legislatura e poi, nel 1859, fu sconfitto alle elezioni
senatoriali dal famoso Stephen A. Douglas. Con un curriculum così le sue chance
di carriera politica erano praticamente nulle. Eppure nel 1860 riuscì ad essere
rivale del governatore Seward alla convenzione del Partito repubblicano per la
candidatura alla presidenza.
Il
Partito repubblicano era nato solo sei anni prima e in quell’occasione rischiò
di spaccarsi: da una parte gli abolizionisti che volevano la liberazione degli
schiavi a ogni costo – rappresentati se non proprio guidati da Seward – e
dall’altra i moderati dell’Owest, contrari solo all’espansione dello
schiavismo, rappresentati dal nostro uomo sobrio e terribilmente stitico.
Contro le previsioni Seward fu sconfitto dal rivale, il quale fu perciò
candidato alla presidenza degli Stati Uniti, nonostante fosse astemio.
Ma
non aveva speranza di essere eletto presidente, poiché sulla sua strada c’era l’ex
rivale, quel famoso Stephen A. Douglas che già l’aveva sconfitto alle
senatoriali poco tempo prima. E, come se non bastasse, sulla scena erano
presenti due altri candidati di peso, il democratico del Sud John C.
Bercknridge e il conservatore John Bell. Solo un miracolo poteva fargli superare
questi scogli imponenti, ma i miracoli non esistono.
Però
esistono altre “congiunture” che se ben manovrate possono far succedere cose
che alle anime comuni sembrano miracolose. L’uomo astemio di Hodgenville riuscì
a diventare, con il 40% dei voti, il primo presidente del Partito repubblicano
e il 16° presidente degli Stati Uniti.
Washington,
pur essendo una città del Sud, è siberiana d’inverno. Il neo eletto presidente
arrivò nella squallida stazione all’alba di un giorno di febbraio, poco dopo
aver compiuto il 52° compleanno. In incognito, poiché temeva attentati (una
costante della storia americana). Ad attenderlo non c’erano guardie federali,
ma solo alcuni scagnozzi di un’agenzia privata.
Salì
su una carrozza a nolo e si diresse all’albergo, il Willard, all’incrocio tra
la Quattordicesima e Pennsylvania Avenue, ad un solo isolato dalla Casa bianca
(esiste ancora, sia la Casa che l’hotel). Non era atteso per quell’ora
antilucana e la suite numero sei nella quale alloggerà non è ancora
disponibile, il signor William Dodge di New York che l’occupa è ancora a
letto a quell’ora.
Il
neo presidente sedette al tavolo dove lo stava attendendo il governatore
Seward, il quale chiamò un cameriere. Il negro disse loro che fino alle otto
non si sarebbe servito “niente”. Ecco cosa può succedere quando si dà la
libertà ai negri. Ma poi fu servita una colazione molto ricca a base di
aringhe del Potomac (evidentemente le sue acque erano più trasparanti di
quanto non lo siano oggi).
I
proprietari degli Stati del Sud, latifondisti e capitalisti, godevano di
manodopera gratuita. Quelli del Nord la dovevano pagare, sicuramente poco, ma comunque
retribuire. Una situazione questa che non poteva durare a lungo. Bisognava
trovare un nobile motivo per indurre – ovviamente non sarebbero state
sufficienti le buone maniere – i latifondisti e capitalisti del Sud a mutare la
manodopera gratuita in forza-lavoro salariata, mettendo fine formalmente a
quell’anacronismo economico, a quella concorrenza ingiusta sulla pelle dei
poveri negri. Ma questa – lo riconosco – potrebbe essere una considerazione viziata
da pregiudizio politico.
Secondo me la battua non la pronuncia Frankie Monaldi bensì Joe (Burt Young), raccontando dell'amico che gli aveva proposto "l'assicurazione do' pacchio", quando incarica Noodles e compari di rapinare il gioielliere.
RispondiEliminauno di noi due si sbaglia, e questo è sicuro. forse ricordo male. non essendo a casa non posso controllare ma se lei l'ha fatto mi fido. in ogni caso non è grave poiché il concetto resta salvo. fa piacere avere dei filologi cinefili tra i lettori. è sempre bene essre precisi, quando si può. grazie veramente
EliminaFilm, battute e pregiudizi politici.
RispondiEliminaQueimada, 1969, film di Gillo Pontecorvo, con Marlon Brando nella parte di William Walker, l'inviato della Corona Britannica, che opera in maniera fredda e razionale in nome del profitto: “Cosa pensate che vi convenga di più: vostra moglie o una di queste ragazze?... Con una prostituta i costi diminuiscono… Chi è più conveniente: uno schiavo o un operaio salariato?... I sentimenti non fanno parte dell’economia…”