Quasi un miliardo di persone soffre la fame (quella
vera), la denutrizione uccide diversi milioni di bambini nel mondo, e più di 30
milioni di persone muoiono d’inedia o di malattie a causa di carenze di
micronutrienti. Paradossalmente altre centinaia di milioni di persone muoiono a
causa d’iperalimentazione e malnutrizione, ossia perché mangiano troppo e male,
e altre centinaia di milioni ricorrono per gli stessi motivi a cure mediche, con
un aggravio per la spesa sanitaria enorme.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni
cinque secondi una persona nel mondo viene colpita da cecità, e la stessa sorte
tocca a un bambino ogni minuto. Si stima un’incidenza della cecità pari a circa
200 casi ogni 100.000 abitanti nelle nazioni con standard di assistenza medica
elevati, e una incidenza dieci volte
maggiore in quelle con una mediocre assistenza medica. Alcune delle
patologie responsabili della cecità, quali il tracoma e l’oncocercosi, sono
presenti quasi esclusivamente nelle aree depresse del mondo.
Tutto questo, considerato nell’insieme, non è opera
del caso e nemmeno di chissà quale necessità legata a leggi oggettive. Gli
uomini non sono una colonia di topi, essi pur soggetti alle leggi della natura,
nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità legata a questa
conoscenza, possono farle agire secondo un piano
per un fine determinato.
A pensarci bene non
è casuale il tentativo, ben riuscito, da parte degli ideologi borghesi di sostituire le
categorie oggettive socio-economiche con categorie logiche o biologiche, o psico-soggettive.
Il motivo ideologico fondamentale delle concezioni borghesi risiede nella
tendenza a trovare le ragioni delle cose al di fuori di ciò che è storico e
sociale, sottomettendo ogni aspetto storico e sociale all’organico oppure a un materialismo largamente esposto al naturalismo
onnipotente.
Essenzialmente gli ideologi ci vogliono far credere
che l’uomo è anzitutto un animale. Sulla scorta di questa sbalorditiva rivelazione,
l’ideologia borghese – bypassando perfino Aristotele (l’uomo è un animale sociale) – rivede i propri giudizi sui
valori del mondo e della storia. Il destino dell’uomo, tutto il contenuto della
sua vita e della sua attività, deve apparire totalmente vincolato dalle vicende
di avvenimenti riconducibili essenzialmente a processi biologici.
Anche se le questioni il più delle volte sono esposte
in forme più accattivanti e “complesse”, in ultima analisi la sostanza è sempre
questa. In questo modo si mistifica il criterio di giudizio sull’aspetto
storico e sociale per giustificare le contraddizioni patenti di un sistema sociale
in crisi, oggi manifestamente irreversibile.
Affermando che l’uomo non è il risultato dalla sua
essenza storica, ma il prodotto di quella biologica, si possono poi spiegare le contraddizioni
di una società irrazionale e sperequata, dal lato oggettivo, ed ingiusta, dal lato morale, come effetto della natura propria ed intrinseca dell’uomo.
Su tale presupposto, le crisi diventano "disarmonie" nel libero gioco delle forze di mercato, la miseria e le grandi ricchezze si giustificano con l’essere l’uomo naturalmente competitivo e il suo essere
biologicamente egoista. Del resto, ci fanno
credere, è sempre stato così. Perciò non ci resta che assoggettarci di buon
grado alle sorti magnifiche e progressive di un’organizzazione sociale che, pur
“imperfetta” a causa delle “umane debolezze”, è la migliore possibile.
L’aspirazione
è di fondare un mondo di là dello storico e del sociale. Bisogna ammettere che
i risultati ottenuti in tal senso dagli “specialisti” sono eccellenti.
Il punto di vista marxista, sulla base della
dialettica materialista, è opposto sia al soggettivismo che all’oggettivismo di
marca borghese. L’uomo non esiste semplicemente come organismo, come individuo
biologico, non esiste l’uomo al di fuori della società, e così le sue pulsioni
e i suoi egoismi sono mere astrazioni se non sono considerati nell’ambito di
una determinata realtà storica e sociale.
Il marxismo è ben lontano dal negare la realtà dell’agire
individuale e delle sue motivazioni, ma tale attività non può mai esistere ed
essere correttamente intesa se non nel complesso del movimento storico-sociale,
laddove ogni attività essenziale e fondamentale dell’uomo è connessa a stimoli
sociali in un ambiente sociale.
L’uomo esiste come proprietario o come salariato,
come borghese o come proletario, ossia nell'insieme come classe sociale che detiene la ricchezza
o come classe che a tale ricchezza deve sottomettersi per sopravvivere. L’uomo
non è lo stesso uomo se vive in un attico o in un appartamento a pigione.
L’uomo non è lo stesso uomo se è proprietario della terra o se è costretto dal
bisogno a lavorarla come bracciante a giornata. Soltanto entro la collocazione
storica e sociale l’uomo diventa reale
e definisce il contenuto della sua attività vitale e culturale.
Collocata nella sua dimensione storica e sociale, la
realtà umana, nei suoi caratteri d’insieme così come nelle sue peculiarità
soggettive, diventa finalmente intellegibile per ciò che essa è in quel momento
e in quel dato contesto sociale. Solo in tal modo l’uomo può fondare la propria
libertà, nel dominio di se stesso e della natura esterna fondato sulla
conoscenza delle necessità naturali. Perciò la sua libertà è necessariamente un
prodotto dello sviluppo storico.
In effetti Darwin, e in generale tutto quello che è poi disceso dalle idee di Darwin, lo hanno preso a pretesto per giustificare "il sistema", cioè tutto si spiega con la "loro" interpretazione della famosa lotta per l'esistenza e la selezione del più adatto.
RispondiEliminaSaluti,
Carlo.
ciao Karl!
EliminaAccumulare capitali non è come accumulare ghiande per l'inverno, non ha senso senza l'impiego sociale.
RispondiEliminainfatti, il punto di partenza non è rappresentato dall'uomo in quanto "oggetto sensibile" come credeva Feuerbach, ma dal suo lavoro, dalla attività umana sensibile, generatrice e trasformatrice dell'intera vita sociale.
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